Senti, leggi, guarda: un disco, un libro, un fumetto - di Alessio Lega

I Garofani d’aprile e Fausto

Il 25 Aprile è una bella data, noi italiani lo sappiamo bene (“noi italiani”, questo è uno dei pochi contesti in cui si può usare questa locuzione, alludere a questa comune appartenenza, senza ambiguità). Dal 1974 però il 25 Aprile è doppiamente una bella data: non dovremmo scordarcelo, ma ce lo scordiamo. Il 25 aprile del 1974 il Portogallo si liberò attraverso un’insurrezione incruenta da una dittatura fascista durata quasi mezzo secolo. Il 25 Aprile portoghese è una ricorrenza bella e importante anche perché mette in crisi delle idee che diamo per scontate, per esempio che una rivoluzione debba pagare il suo tributo di sangue. A parte pochissimi scontri, dovuti all’ostinazione della Pide (la terrificante polizia politica salazarista) che, armi in pugno, negoziava il tempo per far sparire le prove delle sue malefatte, la rivoluzione portoghese non fece e non subì vittime. Fu invece una grande esplosione di gioia libertaria, che fece giustizia senza fare vendetta.

Altro mito sfatato dalla “Rivoluzione dei garofani” (prese appunto questo nome) è quello di identificare l’esercito con l’istituzione più reazionaria: a Lisbona nel ‘74 l’insurrezione fu promossa proprio dai “capitani di aprile”, militari che non ne potevano più di perdere la propria giovinezza per opprimere altri popoli in lotta per la libertà.

Non voglio e non posso in poche righe raccontare questa bella storia, solo riportare alla mente un pezzo di memoria. L’altro mito che il Portogallo sfata è quello sintetizzato dalla frase (resa nota da Guccini) “a canzoni non si fan rivoluzioni”: ebbene no, uno ce l’ha fatta! si chiamava Zeca Afonso e la sua canzone “Grândola, vila morena” fu proprio scelta per dare, alla mezzanotte del 25 aprile 1974, l’inequivocabile segnale della rivolta. Jose “Zeca” Afonso (morto nel 1987) era solo il più noto e stimato dei cantautori portoghesi di quella generazione, che aveva innovato la nobile ma ormai sterile tradizione del Fado, con una poesia sociale e con i ritmi provenienti dall’Africa e dal Brasile.

Proprio il primo luglio scorso, a due mesi dalle celebrazioni ufficiali del quarantesimo anniversario dei garofani, è scomparso Fausto Bordalo Dias, uno dei protagonisti, una delle figure più rappresentative di quella tradizione. Noto col semplice nome di Fausto, è stato il più innovativo musicista portoghese degli anni settanta e ottanta del secolo scorso, la sua maestria e la sua umiltà lo avevano portato a occuparsi anche della produzione musicale per alcuni dei suoi colleghi: oltre a due dischi di Zeca, aveva arrangiato per Adriano Correia de Oliveira il disco “Que nunca mais”, su testi del poeta Manuel de Fonseca.

Vasta, profonda e molto varia la sua produzione come cantautore, al cui apice si trova una sorta di romanzo sonoro della storia della navigazione e del colonialismo portoghese. Questo progetto si declina in tre dischi doppi usciti nell’arco di un trentennio: “Por este rio acima” (1982), “Cronicas da terra ardente” (1994) e “Em busca da montanhas azuis” (2011).

Il mio consiglio spassionato è quello di ascoltare il primo dei tre “Por este rio acima”, ispirato ad un capolavoro della letteratura di viaggio del 1600. Si tratta di recuperare un’opera poco nota fuori dai confini portoghesi, ma di incredibile ricchezza e profondità, una riflessione sulla scoperta dell’altra parte del mondo, sulle radici chiare e oscure dell’Europa, sul mito eternamente rinnovato di Odisseo.

Realista e visionario assieme, questo disco precede di due anni “Creuza de ma” del nostro Fabrizio De André, e ne anticipa la rivoluzione timbrica e simbolica: probabilmente i due autori erano all’oscuro delle reciproche ricerche, ma si trovarono a portare avanti in parallelo la stessa esigenza contenutistica e sonora, la stessa risposta mediterranea alla world music.

Anni fa era molto difficile procurarsi questi dischi, oggi grazie al web possiamo facilmente ascoltarli, dobbiamo solo sapere cosa cercare. Se volete partire da un punto preciso, ascoltate il brano “Lembra-me um sonho lindo”, basteranno quei pochi minuti a farvi coinvolgere in un congegno perfetto di armonia, ritmo, poesia, cori e percussioni. Da lì, muovetevi a vostro gusto alla scoperta del mondo di Fausto e dell’arcipelago della canzone d’autore portoghese.

Doppio Cd: Fausto, Por este rio Acima.

 

A cosa ci serve scavare nelle storie?

Se questo libro non fosse inaspettatamente transitato dalla prima dozzina di finalisti del Premio Strega, probabilmente la cattiva coscienza dei gendarmi della destra lo avrebbe ignorato. Invece, aizzato dal faro della notorietà, il branco s’è messo a schiamazzare, avendo (nel migliore dei casi) letto sì e no l’incipit del libro. Questo incipit tocca in effetti uno dei nervi scoperti, uno di quei passaggi capaci di smascherare l’aplomb dei fascisti travestiti nel doppiopetto governativo, e fargli scattare il rictus dei saluti romani, del “camerata: Presente!” e tutta la torbida ritualità dei “mai morti” dei nostri giorni.

Parliamo della strage di Acca Larentia: davanti ad una sede romana del Movimento sociale, il 7 gennaio del ‘78 un commando uccise due giovani neofascisti, gli assaltatori sono tutt’ora ignoti. Qualche ora dopo la polizia, giunta sul luogo, uccise in un tafferuglio un terzo militante della destra.

Il libro prende le mosse ma non parla di questa vicenda. Si concentra invece su un’altra storia atroce: nel 1987 (nove anni dopo!) a seguito della delazione di un pentito rivelatosi poi inaffidabile, fu arrestato il militante di sinistra Mario Scrocca, infermiere, sposato, padre di un figlio. Il suo avvocato lo rassicurò: “Non hanno niente in mano”, ma il giorno seguente all’arresto, Scrocca fu trovato impiccato nella sua cella. Ovviamente era innocente, e chi era stato accusato con lui fu prosciolto.

Valentina Mira costruisce un romanzo che è tanto inchiesta quanto autobiografia: scava in quella storia per scavare nel cuore di tenebra del fascismo italiano, quella tenebra ancora intatta e che lei stessa (nata nel 1991) si è trovata a frequentare ed a subire. La discesa all’inferno repentina di Mario Scrocca, il purgatorio perenne della sua compagna, del figlio, della sua cerchia, è necessario all’autrice, e per suo tramite a noi, per strappare la maschera, per togliere le bende sotto cui suppura la piaga della sopraffazione, del vittimismo del violento, di cui si nutre sempre il fascismo.

È un romanzo bello, sincero, doloroso per quanta vita vi brulica dentro, per i personaggi che dalle pagine si affacciano (a un certo punto c'è anche Zerocalcare, il fumettista che ha fatto della solidarietà il suo dogma).

Una volta di più la foga censoria della destra non solo rivela la sua incapacità di fare i conti con la storia, ma anche l’importanza di vegliare, leggere, conoscere affinché il buio non copra la memoria.

Valentina Mira, Dalla stessa parte mi troverai, edizione SEM, pagine 256, euro 17.

 

“La Strada” di Cormac McCarthy, degnamente tradotta nel linguaggio del fumetto

“La Strada”, opera sconvolgente della maturità di uno dei più grandi narratori americani del Novecento, Cormac McCarthy, è un breve romanzo che riprende il mito apocalittico del dopo-bomba, conferendogli una dimensione metafisica, assoluta.

Quasi astratta, la narrazione condensa terrore e dolore in un tratto di viaggio: pochissimo sappiamo delle premesse e quasi nulla delle conseguenze, i due protagonisti sono personificazioni archetipiche di un padre e di un figlio, il vecchio e il bambino, la resistenza e la speranza. Figurette perdute in un paesaggio ostile, popolato da radi e mostruosi incontri, viaggiano lungo la strada, la grande protagonista del mito americano, una strada che costeggia relitti di un mondo devastato, avvelenato, perduto.

Ora questo romanzo è anche una graphic novel, il cui autore è al di sopra di ogni prevenzione perché si tratta di uno dei geni del fumetto contemporaneo, il francese Manu Larcenet, capace tanto di brevi narrazioni comiche interpretate da pupazzetti abbozzati, quanto di lunghe scene di vita familiare degne di Ingmar Bergman, o di racconti d’avventura di concezione tradizionale e soluzioni grafiche sperimentali.

Nonostante la nota bravura del disegnatore, il confronto faceva comunque tremare i polsi, “La Strada” si regge quasi solo sulla potenza della scrittura, è un romanzo molto severo, introverso, che nulla concede all’intrattenimento. Larcenet però, noto per inventarsi uno stile diverso per ogni storia diversa, riesce a metterci davanti agli occhi non un adattamento ma una vera e propria traduzione da un linguaggio ad un altro, dal mondo della narrazione raccontata a quello della narrazione disegnata.

Il tratteggio, i segni, le ferite di cui costella la carta, i personaggi, il mondo intero, è il suo personale duello fra l’ombra e la luce. È una storia cupa che però non cede mai alla rassegnazione, è un viaggio statico che ci sorprende e ci fa tremare ad ogni svolta. L’empatia verso i suoi personaggi non risparmia i dubbi, il cinismo, le piccole vigliaccherie: la grande sfida di restare degni in un contesto impossibile.

Cantico moderno delle creature, possiamo usare per questo lavoro un termine abusato ma in certi casi inevitabile: un capolavoro.

 

Manu Larcenet, La Strada, Coconino press, pagine 160, euro 28.

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