La forza della ragione degli studenti universitari - di Luca Gabrielli

I27 giugno scorso ho avuto il piacere di partecipare come relatore all’iniziativa sulla Palestina organizzata dal neonato “Collettivo Studentesco Agàpe” del Campus di Arezzo dell’Università di Siena. Così anche ad Arezzo gli studenti universitari, in un’aula stracolma, hanno voluto promuovere un incontro per sensibilizzare la comunità accademica e la cittadinanza sulla drammatica situazione della striscia di Gaza e della Cisgiordania, unendosi alle tante mobilitazioni dei maggiori atenei italiani.

I ragazzi delle tende, delle manifestazioni, i ragazzi criminalizzati manganellati e finiti in ospedale sono il futuro gruppo dirigente di questo Paese e, se allarghiamo lo sguardo alla dimensione mondiale del movimento, il futuro gruppo dirigente del pianeta. Vogliono la Pace. Anzitutto. E denunciano i crimini di guerra commessi dallo Stato di Israele ai danni della inerme popolazione palestinese. Ma denunciano anche i loro atenei, protestando contro i rischi della ricerca universitaria utilizzata per scopi militari, le tecnologie “dual use”.

Non accettano che le università siano strumento per alimentare il genocidio in Palestina: chiedono che gli accordi con le università israeliane e con le multinazionali delle armi vengano rescissi. Ma quali sono questi accordi? Riguardano progetti di ricerca presentati in collaborazione sia con multinazionali dell’industria bellica - ad esempio Leonardo Spa, maggiore esportatrice di armi in Italia, gestita al 30% dal ministero dell’Economia e delle Finanze, che negli ultimi anni ha prodotto, un +35% di utili - sia con le università israeliane. Progetti presentati come a scopo civile ma che poi possono essere applicati in ambito bellico. Non c’è trasparenza su questi accordi.

Di sicuro c’è che, una volta che i progetti di ricerca arrivano ai brevetti, questi vengono ceduti alle aziende, che a quel punto possono con quelle tecnologie produrre armi. È da qui che la protesta degli studenti diventa “intersezionale”. Così le università, luogo del sapere più alto di un Paese, luogo nel quale si produce cultura e conoscenza, diventano asservite al modello economico e di sviluppo dominante, basato sulla colonizzazione e sulle guerre.

I ragazzi denunciano il processo di “aziendalizzazione” che ha portato le università a ricevere sempre meno risorse statali, e a stipulare accordi con aziende private e multinazionali per risultare più in alto nel ranking nazionale e internazionale. La loro richiesta di rescindere gli accordi sta creando subbuglio a livello mondiale.

Ad esempio, alla Sapienza di Roma, l’ereditiera di una delle famiglie dell’aristocrazia mondiale ha inviato, tramite la Fondazione Rothschild, una lettera per fare pressioni sui membri del Senato accademico affinché non approvassero la mozione che chiedeva lo stop alla cooperazione accademica con Israele, come richiesto dagli studenti. Mail dal tono pacato, ma decisamente intimidatorio: “Si avvisa che la mancata collaborazione con le università israeliane comporterebbe una diminuzione del rating internazionale della Sapienza e quindi ‘un evidente danno significativo’ per l’ateneo romano”.

Alla richiesta di un confronto pubblico con la rettrice, gli studenti non hanno mai ricevuto risposta. Le uniche risposte sono state quelle di stigmatizzare come atti vandalici le scritte sui muri dell’università definendoli “comportamenti di inaudita violenza”. Nessuno sdegno solidale, invece, sul fatto che tutte le università di Gaza siano state bombardate e distrutte dall’esercito israeliano.

Gli studenti che compongono la mobilitazione mondiale solidale con il popolo palestinese hanno ragione da vendere. Hanno tanto da insegnare e possono essere un movimento trainante che, partendo dalla questione palestinese, può mettere in discussione un modello di sviluppo opulento e ingiusto.

Resta indispensabile continuare a mobilitarsi, insieme a loro, per ottenere un cessate il fuoco permanente e una soluzione diplomatica, primi obiettivi per poi mettere in discussione, in una lotta più lunga e articolata, le radici coloniali e guerrafondaie dalle quali nasce tutto quello che sta avvenendo.

Gli studenti piantarono le tende prima dell’avvio del genocidio del popolo palestinese, nell’autunno del 2023, avviando la mobilitazione contro il caro affitti, argomento strettamente collegato con la garanzia del diritto allo studio. Gli studenti universitari ci insegnano che, con la forza della ragione, si può creare quel movimento, quella comunità solidale, dalla quale ripartire per costruire un nuovo mondo possibile.

Come hanno scritto gli studenti di Arezzo nella loro piattaforma, la partecipazione attiva e l’impegno di ognuno di noi possono fare la differenza e contribuire a costruire un futuro migliore.

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