Il 30 novembre 2023, dopo una vacanza contrattuale di ben vent’anni dall’ultimo rinnovo (!), è stato faticosamente siglato il Ccnl per le Fondazioni Lirico Sinfoniche (Fls). La trattativa è stata lunga e non indolore. Si è resa necessaria da parte dei sindacati di categoria (Slc Cgil in prima linea) l’apertura dello stato di agitazione, che si è poi trasformato il 23 ottobre nella proclamazione di uno sciopero per la “Prima” di ogni produzione in tutte le Fls diffuse nel territorio italiano.
Lo sciopero è poi stato sospeso grazie allo stanziamento di maggiori fondi da parte del ministero della Cultura, fondi che hanno favorito il raggiungimento di un’ipotesi di accordo siglato l’ultimo giorno di novembre dello scorso anno.
È necessario precisare che il rinnovo di cui stiamo parlando – che vede peraltro un incremento ancora modesto del potere d’acquisto dei salari – non interessa il triennio in corso, ma copre il periodo 2019-21. L’impegno è (o meglio sarebbe stato) quello di proseguire senza soluzione di continuità nel negoziato, per rinnovare la parte economica e normativa del triennio 2022-24.
Si dà il caso però che a luglio 2024, a distanza di oltre sette mesi dalla firma dell’accordo, la situazione sia la seguente: il Ccnl per il 2019-21 non è ancora entrato in vigore, e tanto meno è partita la trattativa per il rinnovo del triennio successivo.
Come può determinarsi una condizione del genere? Per capirlo bisogna fare un passo indietro. Una peculiarità di questo tipo di rinnovi contrattuali è la presenza al tavolo della trattativa non solo delle controparti datoriali (Anfols per la categoria), ma anche del ministero della Cultura. Questo perché, come si sa, la maggior parte dei settori della cultura e dello spettacolo dal vivo si sostengono grazie ai finanziamenti pubblici.
In questa tornata contrattuale inoltre, anche a maggior garanzia della continuità delle relazioni sindacali, si è stabilito che il contratto delle Fls venisse inserito nelle procedure dei rinnovi dei Ccnl del pubblico impiego, chiamando in causa anche l’Aran (Agenzia per la rappresentanza negoziale delle Pubbliche amministrazioni). Ciò ha comportato la necessità di sottoporre il Ccnl ad una procedura di validazione certamente più complessa del solito, ma che in nessun modo può essere la giustificazione per lo stallo in cui ci troviamo, con un contratto che a distanza di sette mesi dall’approvazione, non è ancora esigibile e applicabile.
La gravità della situazione ha indotto i sindacati ad aprire, lo scorso 23 maggio, un nuovo stato di agitazione delle lavoratrici e dei lavoratori delle Fls, e ad organizzare un presidio unitario presso il ministero della Cultura per sollecitare il dicastero a richiedere al ministero di Economia e Finanza ed alla Corte dei Conti - considerati i veri responsabili di questo ritardo per non avere ancora sciolto la riserva - ad arrivare ad una rapida definizione dell’iter di approvazione.
Il silenzio sostanziale che ne è seguito ha portato il primo luglio scorso le segreterie unitarie di Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom Uil a diffondere un comunicato stampa nel quale si sottolinea il disagio per le lavoratrici e i lavoratori delle Fls, richiamandosi ad un precedente comunicato che così si esprimeva: “In un momento di particolare interesse per il Canto Lirico Italiano, che è stato celebrato come patrimonio dell’Unesco il 7 giugno all’Arena di Verona alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, c’è una grande sofferenza nel settore che vede i lavoratori ancora privi dell’applicazione dell’accordo siglato nel novembre scorso”.
Il comunicato termina con la dichiarazione di apertura, a partire dal mese di luglio, di una stagione di mobilitazioni che potrà prevedere anche azioni di sciopero del comparto. Insomma si conferma ancora una volta l’estrema difficoltà a riconoscere i più basilari diritti per le lavoratrici ed i lavoratori del settore della cultura, considerati di serie B. Anche perché, peraltro, sono stati annunciati dal ministero ulteriori pesanti tagli agli investimenti nel comparto.
Va detto che la mancanza di attenzione verso un settore fondamentale e strategico come quello della cultura non è una novità. Tuttavia, mentre i governi precedenti hanno spesso considerato la cultura come un costo che meritava il minor sforzo economico possibile perché, si diceva, “con la cultura non si mangia”, questo governo è andato oltre: la cultura (quella vera) è uno dei nemici da combattere. È un luogo da occupare come centro di potere, con il preciso obiettivo di produrre una propria cultura, o più correttamente una sub-cultura.
Minculpop: un film già visto.