Non è un paese per donne - di Vilma Nicolini

La violenza degli uomini sulle donne non diminuisce. All’apice si trovano i fenomeni più gravi (femminicidi, stupri), alla base ci sono le azioni meno sanzionate: gli atteggiamenti sessisti, le cosiddette battute da spogliatoio, le molestie stradali e tanto altro. Per certo se non ci fosse un sessismo indulgente molto solido alla base, il vertice sarebbe già crollato.

Discriminazioni e violenze sono alimentate da stereotipi di genere, di cui tutt* inconsapevolmente siamo portatori malati, così trasmettiamo ai giovani modelli vecchi che continuano ad attribuire ad ognuno dei sessi doveri e caratteristiche sociali e culturali differenti, incoerenti con le rivendicazioni di uguaglianza e di diritti sociali.

Secondo gli stereotipi di genere, le donne dovrebbero lavorare meno degli uomini o non lavorare affatto, per avere il tempo di dedicarsi alla cura dei figli e alle faccende domestiche. Tuttavia il lavoro è fondamentale per l’indipendenza economica e per crearsi una rete sociale.

In Italia il divario di genere lavorativo è doppio rispetto al resto d’Europa; il tasso di occupazione femminile è del 53%, i part-time delle donne sono tre volte quelli degli uomini e crolla, con la nascita del primo figlio, il tasso di occupazione: una su cinque smette di lavorare, mentre le occupate hanno stipendi inferiori agli uomini e minore progressione di carriera. La conseguenza è una schiera di donne non autonome, con pensioni inesistenti, in condizione di parziale o totale dipendenza economica, costrette a tollerare situazioni tossiche e violente, in una relazione di potere basata sul controllo e sul possesso.

Purtroppo la politica del governo non è amica delle donne. A quasi cinquant’anni dall’istituzione dei consultori ne mancano la metà, ed è legge la norma che prevede e rafforza l’accesso delle associazioni antiabortiste nei pochi rimasti, ostacolando non solo il diritto delle donne di decidere liberamente, ma svuotando ulteriormente la legge 194, già in difficoltà per il numero sempre maggiore di medici obiettori.

Secondo il Global Gender Gap Index 2024, diversi paesi europei hanno fatto sostanziali passi in avanti per ridurre il divario di genere in termini economici, di educazione, di sanità e di partecipazione politica, mentre l’Italia continua a perdere punti; in due anni abbiamo perso 24 posizioni, siamo all’87esimo posto su 146 paesi valutati. Non possiamo accettare che si stimino, ai ritmi attuali, altri 134 anni per raggiungere la parità di genere, negando maggiori opportunità a generazioni di figlie e nipoti.

Ci troviamo in un contesto involutivo, in cui è in atto un ridimensionamento dei diritti collettivi; dal documento conclusivo del G7 a guida italiana è scomparsa la parola “diritto all’aborto”, e sono state cancellate le espressioni “identità di genere” e “orientamento sessuale”. Giorgia Meloni, che si fa chiamare “il” presidente del Consiglio, senza rispetto nemmeno della grammatica italiana, ha imposto la sua agenda e il suo linguaggio di destra sovranista, in cui passa il compromesso di fare riferimento alle comunicazioni finali dei leader del G7 di Hiroshima del 2023. Un chiaro messaggio che “si può fare” e si può rimettere ordine, limitando fino a cancellare uno dopo l’altro i diritti delle donne e delle persone Lgbtq+.

Il ritorno “all’ordine naturale delle cose” dove le donne sono subordinate agli uomini, siano essi padri, mariti o figli, riducendole nei fatti “prigioniere della casa” e “minorenni a vita”, tutelate dal padre prima e dal marito poi, non arriva all’improvviso; in questo caso reagiremmo sdegnate. No, entra nelle nostre vite in modo strisciante, come è avvenuto per la politica, in cui i nipotini del duce non governano con un colpo di Stato, ma sono stati eletti e riconfermati nelle ultime europee, tra tanta indifferenza e complicità.

Adesso la destra fa la destra, ma sappiamo che la democrazia di un Paese si misura dal maggior numero di persone a cui sono garantiti i diritti, e se cadono i diritti delle donne cadranno uno dopo l’altro i diritti di tutti.

Abbiamo bisogno di uomini nuovi, consapevoli, che camminino al nostro fianco, per cambiare quello che è successo in secoli di storia umana in cui la differenza biologica è diventata disuguaglianza sociale.

La democrazia si difende praticandola! Davanti allo smantellamento dello Stato di diritto sancito dalla Costituzione, dobbiamo essere protagonisti consapevoli del cambiamento sociale, unendo le forze e lottando per un futuro migliore per le donne e per tutti.

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