Il 4 luglio è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale il Dl 92/2024, definito dal ministro Nordio “carcere sicuro”, la risposta del governo all’emergenza carcere. Emergenza ormai insostenibile, visto che al 9 luglio sono 54 i suicidi fra le persone ristrette, sei nella polizia penitenziaria, e il sovraffollamento ha superato il 130% con valori maggiori in molti istituti, fino al 224% di San Vittore.
Le condizioni di vita delle persone ristrette sono ormai quelle che hanno già portato la Corte europea negli anni scorsi a condannare il nostro paese per trattamenti inumani e degradanti. Oggi sempre di più le notizie che arrivano da diversi istituti parlano di condizioni invivibili: zecche, cimici, assenza di acqua corrente, stanze insalubri, celle per quattro persone dove ne sono stipate quindici.
In una situazione come questa, destinata sicuramente a peggiorare, il “decreto carcere” appena varato appare del tutto inadeguato, mera propaganda. Non avrà ricadute concrete sul sovraffollamento, sull’assistenza ai tanti soggetti fragili presenti in carcere, non eviterà nuovi ingressi, non avrà effetti sulle uscite.
Non è previsto alcuno sconto di pena, eppure molte autorevoli voci si sono levate, anche dal mondo accademico, per sottolineare la necessità di pensare a provvedimenti di clemenza, a misure veramente deflattive, compreso l’indulto. Le modifiche previste dal decreto per la concessione della libertà anticipata riguardano solo una possibile semplificazione dell’iter, dai contorni incerti se non farraginosi, e non produrranno nessun reale beneficio.
Visto che si accede ai benefici solo in caso di buona condotta, con la recente introduzione nel codice del reato di resistenza passiva, da molti rinominato “reato di non violenza”, per il tramite del quale possono configurarsi come reati condotte che di fatto non lo sono, fino alle legittime proteste non violente per condizioni di vita insostenibili, viene da chiedersi dentro quali perimetri si definirà da oggi in poi la buona condotta.
Le assunzioni previste nella polizia penitenziaria sembrano più un provvedimento propagandistico che altro: a fronte delle gravi, croniche carenze di personale, mille assunzioni e non immediate - 500 nel 2025 e 500 nel 2026 - quale reale impatto possono avere? Nulla è previsto per educatori, mediatori culturali, personale assolutamente carente ma indispensabile per socializzazione e rieducazione.
Anche l’ipotesi di trasferire i detenuti in comunità, delle quali dovrà essere creato apposito albo, è un provvedimento che, oltre a suscitare diversi interrogativi sulle modalità di attuazione e sul ruolo attribuito alle comunità, necessiterà di tempi non brevi per essere realizzato. Nella sostanza, per come è scritto l’articolo 8, non sembra modificare di molto quanto già viene fatto: già oggi sono numerosi i soggetti fragili in esecuzione penale esterna presso strutture di accoglienza, ed è tutto da capire come le comunità verranno accreditate e con quali risorse finanziate, e come dovranno rispondere alle esigenze restrittive, visto che dovranno accogliere persone in misura custodiale.
Vengono aumentate le telefonate, da quattro a sei al mese, ma i direttori delle carceri già avevano piena deroga di far telefonare le persone in misura maggiore di quanto previsto nel regolamento penitenziario, tanto che in diversi istituti era stato mantenuto il numero incrementato per far fronte all’impossibilità di colloqui in presenza dovuta al Covid. E nulla il decreto accenna rispetto la concreta applicazione della sentenza della Corte Costituzionale di gennaio scorso, che riconosce il diritto all’affettività ed ai colloqui intimi per le persone ristrette.
Allora, dove sta l’umanizzazione della pena, declamata dal ministro? La pena non può essere vendetta, non può essere barbarie, non può consistere in trattamenti inumani e degradanti: il sovraffollamento ed i suicidi ci dicono la distanza del carcere dal principio di umanità e dalla Costituzione. Lo Stato, cui è affidata la custodia delle persone ristrette, è responsabile delle condizioni disumane, degradanti, in cui vivono.
Il decreto non risolve i gravi problemi della detenzione, non umanizza nulla. Il sovraffollamento è il primo problema da risolvere, e non si risolve con la costruzione di nuove carceri. La funzione rieducativa della pena resta un principio inapplicato se non si interviene per garantire il diritto alla formazione, alla salute, al lavoro, alle relazioni affettive. Al di là delle parole non cambierà nulla, né per le persone ristrette, né per chi lavora in carcere.
Riprendendo le parole dell’Unione camere penali, “a fronte delle condizioni di oggettiva inciviltà in cui versano le carceri, auspichiamo che la politica abbandoni inutili slogan e scelga di operare in aderenza ai principi costituzionali, ponendo in essere rimedi urgenti realmente sottesi all’umanizzazione della pena e al superamento delle condizioni di sostanziale illegalità”.
Leggendo i provvedimenti del governo su giustizia e carcere, non sembra che questo sia l’obiettivo.