Nel linguaggio comune, per indicare i meccanismi con i quali le persone vengono collocate all’interno della struttura occupazionale, si parla di mercato del lavoro, concetto che ci spinge a ragionare in termini di mis-match di domanda e offerta, di insufficienza delle competenze possedute da lavoratrici e lavoratori, e della necessità di investire in politiche attive del lavoro.
Tuttavia un’analisi attenta delle novità introdotte attraverso la misura Gol (Garanzia occupabilità lavoratori) e da alcune leggi regionali in Lombardia ci aiutano a individuare un mutamento nascosto del modo di interpretare la dinamica occupazionale: infatti in Gol vengono promosse le costituzioni di reti tra attori territoriali per la gestione delle politiche attive del lavoro, mentre Regione Lombardia ha emanato dei bandi per la costituzione di due tipi di partenariati, uno per gestire le crisi di impresa, l’altro per lo sviluppo concertato delle competenze territoriali e settoriali.
I patti per le competenze si sviluppano su tre linee di intervento: l’analisi continua dello sviluppo delle organizzazioni del lavoro e del fabbisogno di competenze necessarie; la costruzione di percorsi formativi legati all’analisi precedente; la promozione dell’attrattività del settore. Si tratta di un tentativo di governance dello sviluppo economico territoriale e di filiere produttive, nel quale gli oggetti di negoziazione riguardano le figure professionali da promuovere, la qualità del lavoro (concetto multidimensionale), la sicurezza dell’assunzione al termine del periodo formativo, cabine di regia permanenti nelle quali coinvolgere organizzazioni sindacali e lavoratrici e lavoratori.
Viene ribaltato il focus dell’attenzione dalle assenze delle capacità dei lavoratori (le competenze) all’analisi dell’organizzazione del lavoro, della sua qualità, costituendo tacitamente un meccanismo non di ‘mercato’ bensì di ‘rete’ per coordinare il processo di allocazione delle persone nella struttura occupazionale. Questo meccanismo è più efficace perché garantisce una maggiore capacità di previsione degli esiti dei percorsi di inserimento e reinserimento nel tessuto occupazionale, e perché, attraverso un processo democratico a monte, consente in potenza di selezionare i percorsi di sviluppo che abbiano ricadute positive sul territorio.
Ad esempio, nel patto per le competenze che sto seguendo, afferente all’ambito della logistica nella zona omogenea Adda Martesana della città metropolitana di Milano, si sta tentando di negoziare con i Comuni la volontà di coordinare piani territoriali per evitare che il vantaggio economico di un territorio danneggi con esternalità negative (usura strade, inquinamento, traffico, …) quelli limitrofi, e, inoltre, la costituzione di comunità energetiche attraverso l’utilizzo dei tetti delle aziende per la produzione di energia pulita della quale possano beneficiare i residenti.
La terza linea, quella dell’attrattività, è il vero motivo per cui le aziende si avvicinano al patto. Ma anche in questo caso con la presenza del sindacato si può evitare che lo sforzo venga rivolto verso una mera attività di marketing, invece che attraverso una selezione dei modi di lavorare che possano permettere un miglioramento delle condizioni materiali e simboliche dei nostri rappresentati.
Sebbene si tratti di progetti in fase di negoziazione, che devono quindi passare dall’approvazione della Regione, si tenterà qui di proporre la tesi che la regolamentazione sociale del lavoro non è comprensibile con le logiche del mercato. Infatti, la retribuzione non si muove secondo logiche di equilibrio di domanda e offerta ma secondo logiche di potere (altrimenti l’inserimento e l’uscita di persone da una determinata mansione dovrebbe determinare il mutamento del salario); la relazione lavorativa non si esaurisce con lo scambio ma comincia con esso; il mercato richiede merci anonime e le persone non sono anonime (e non sono merci); il mercato richiede simmetria tra le parti mentre il rapporto di lavoro nel capitalismo è fondato sull’asimmetria; le scelte di consumo nel mercato sono reversibili, mentre le scelte professionali spesso hanno effetti irreversibili sulla vita delle persone; infine non esisterebbe disoccupazione involontaria.
Se quanto detto è condivisibile, l’organizzazione sindacale va concepita come soggetto rilevante per lo sviluppo sociale ed economico.