La scuola è finita, nel senso che è terminato un altro anno scolastico, ma anche la scuola pubblica nazionale, così come l’abbiamo conosciuta, rischia di scomparire o comunque di essere fortemente compromessa, se viene portato a compimento il disegno regressivo che questo governo intende riservare al sistema scolastico in particolare, e al Paese più in generale. I motivi sono diversi.
Un primo motivo riguarda il personale della scuola che sempre più è chiamato a farsi carico di ogni tipo di compito e responsabilità nei confronti di alunni e alunne che né la famiglia, né la società, né la politica sono in grado di affrontare e risolvere: dai problemi dell’alimentazione alla legalità, all’affettività, alla parità di genere, al razzismo, al bullismo e chi più ne ha più ne metta. Senonché ci si dimentica di come viene trattato il personale della scuola, a partire dai docenti, non solo sempre più limitati e compressi nelle loro funzioni (oltre che sempre più vittime di aggressioni e violenze), ma anche sempre più impossibilitati a esprimere liberamente il proprio pensiero - nonostante la Costituzione tuteli la libertà di insegnamento e di espressione - perché soggetti a quel codice di comportamento dei lavoratori pubblici che impedisce “qualsiasi intervento o commento che possa nuocere al prestigio, al decoro o all’immagine dell’amministrazione di appartenenza o della pubblica amministrazione in generale” (Dpr 81/2023). Per cui se un docente esprime - ad esempio via social - una critica rispetto alle politiche scolastiche del ministro di turno, è passibile di un procedimento disciplinare, come purtroppo sta già accadendo, con casi eclatanti di cui anche la stampa nazionale si è occupata.
A fronte di ciò, e veniamo al secondo motivo, il personale della scuola non solo non gode di alcun trattamento retributivo privilegiato, anzi è destinatario degli stipendi più bassi di tutta la pubblica amministrazione, oltre che rispetto agli omologhi europei. A ciò si aggiunga il fatto che i contratti di lavoro del comparto vengono rinnovati con estremo ritardo, per cui il Ccnl 2019-21 è stato sottoscritto solamente a gennaio 2024 (sic!). Questo perché sistematicamente i vari governi di turno tardano a stanziare in legge di bilancio le risorse necessarie per finanziare i contratti dei lavoratori pubblici, poiché ben altre sono le priorità e le categorie da accontentare (il numero di sanatorie e condoni realizzati sta lì a dimostrarlo).
Con il governo attuale la situazione, se è possibile, è anche peggiorata, nonostante le tante dichiarazioni a favore dell’importanza dell’istruzione: non solo non è stata ancora avviata la trattativa per il rinnovo del Ccnl 2022-24 pur essendo ormai già al termine del triennio, manca addirittura l’atto di indirizzo del ministero dell’Istruzione, e soprattutto mancano le risorse. Infatti il governo con l’ultima legge di bilancio ha stanziato risorse che consentono un incremento dei salari solo del 5,78% a fronte di un’inflazione nel triennio 2022-24 che è del 16,5%. Come si può pensare di sostenere e valorizzare il sistema scolastico nazionale impoverendo ulteriormente il personale docente, ausiliario, tecnico e amministrativo che, nonostante le difficoltà, ogni giorno e ogni anno scolastico si fa carico di portare avanti un compito e una funzione qual è l’istruzione delle nuove generazioni, indispensabile per il futuro del Paese?
Infatti, e veniamo all’ultimo motivo, l’impressione è che l’intenzione di questo governo sia proprio quella di smantellare la scuola pubblica nazionale. Apprendiamo proprio in questi giorni dell’approvazione di un disegno di legge che attribuisce una delega in bianco al ministero dell’Istruzione per “semplificare” (leggasi: ridimensionare) le funzioni e le competenze degli organi collegiali di scuola a livello territoriale e nazionale.
Si tratta di quel sistema, nato negli anni ’70, che ha consentito fino ad oggi, seppur con difficoltà crescenti, la gestione democratica e collegiale della scuola, con la partecipazione attiva di tutte le sue componenti (docenti, Ata, dirigenti, genitori, studenti). Se così fosse, anche la scuola pubblica subirà le sorti di quel progetto più complessivo di segno autoritario e antidemocratico con cui questo governo vuole riscrivere la Costituzione: dall’autonomia differenziata, per disarticolare il Paese in tante regioni separate, al “premeriato” per rafforzare il potere del capo del governo a scapito del Parlamento. Tutti interventi con obiettivi tanto evidenti quanto inaccettabili, perché contrari ai principi e ai valori costituzionali.