Luigi Saraceni è stato un autentico, leale, profondo, appassionato militante di quello che potrei definire uno spazio sociale, culturale, giuridico e politico progressista. Ha attraversato il Novecento e le sue contraddizioni sempre mettendo al centro la persona, i suoi diritti, le sue libertà, le sue garanzie. Lo ha fatto in tutti i momenti della sua vita: quando era magistrato, quando era parlamentare, quando era avvocato, quando era attivista. Il cambio di ruolo ricoperto non ha mai prodotto in lui un cambio di prospettiva o di azione.
È possibile riconoscere una linea rossa continua nella sua storia, che va dai tempi in cui presta giuramento di fedeltà alla Repubblica, dopo aver superato il concorso in magistratura, il 21 agosto del 1964, giorno della morte di Togliatti, sino a quando si mise al servizio, con la sua arguzia argomentativa, di quelle associazioni che decisero di essere parte del giudizio costituzionale contro la legge proibizionista sulle droghe che prendeva il nome di due protagonisti della destra di allora: Fini e Giovanardi.
Luigi Saraceni è stato un protagonista straordinario della giustizia italiana, sin da quando, nel solco delle elaborazioni e delle lotte di Magistratura Democratica, interpretava il suo ruolo di pubblico ministero come garante dei diritti della persona imputata. Gli anni ’70 del secolo scorso sono stati gli anni dei pretori d’assalto, della interpretazione della legge penale in un senso costituzionalmente orientato.
Era consapevole che togliere la libertà a una persona è sempre un atto drammatico, come racconta in quel meraviglioso libro autobiografico che è “Un secolo e poco più” (Sellerio). Tutti coloro che studiano giurisprudenza dovrebbero leggerlo. Ho la fortuna di condividere con Susanna Marietti una dedica in cui scrisse: “A Susanna e Patrizio con la gioia di tanti anni di un impegno di passione civile, culturale e politica”. Passione civile di cui è stato interprete unico.
La giustizia non deve essere una spada, ma una bilancia capace di tenere in equilibrio umanità e diritto, diritti e legge. Quell’umanità che Luigi ha sempre avuto, nelle parole e nelle azioni. Luigi ben sapeva - al pari di Luigi Ferrajoli con cui ha condiviso amicizia, speranza, sentimenti di giustizia sociale, lotta politica - che la legge non sempre è uno spazio di libertà. Anzi, può trasformarsi in una gabbia che produce sofferenze, ingiustizie. E solo la Costituzione ci può salvare dalle leggi ingiuste, disumane. Luigi si rammaricava di non essere riuscito a salvare Abdullah Ocalan dal cinismo della realpolitik che lo fece consegnare ai turchi. In quella difesa ci aveva messo l’anima e il corpo. I curdi gliene sono ancora grati.
Luigi si è sempre battuto contro gli eccessi e gli abusi della pena carceraria. Prende il suo nome una legge del 1998, che consentiva, consente tutt’oggi e ha consentito negli ultimi 26 anni a decine e decine di migliaia di persone di scontare la pena detentiva inflitta in affidamento in prova al servizio sociale, evitando così la galera. Una legge giusta e deflattiva allo stesso tempo.
Luigi è stato non solo un grande e raffinato magistrato democratico, non solo un ineguagliabile parlamentare di una sinistra larga, aperta, libertaria, ecologista, non solo un avvocato dalla parte dei diritti umani. È stato anche, e di questo ne siamo orgogliosi, uno dei fondatori della rivista Antigone, nata alla metà degli anni ’80 e sulla cui storia si è poi innestata l’associazione che ora presiedo.
Era sempre al nostro fianco, ogniqualvolta si trattava di ragionare, discutere, programmare azioni strategiche di contenzioso giudiziario. Ultimamente, seppur affaticato, aveva letto tutti gli atti processuali, dico tutti, che avevano portato alla condanna di Mimmo Lucano. L’aveva definita una vicenda kafkiana. Giustizia è fatta, scrisse sui social quando arrivò l’assoluzione in appello. Per lui era un atto di giustizia vero, perché Luigi le carte se le era studiate come se fosse il difensore in aula di Lucano. Questo era Luigi Saraceni. Appassionato, coerente, leale. Si può essere giuristi senza essere noiosi o freddi. Luigi ce lo ha insegnato.