Economia civile, qualche riflessione - di Simone Lauria

“L’economia è abitata dalla nozione implicita di finalità organica e di armonia funzionale. C’è allora un ordine provvidenziale e naturale da rispettare, proprio agendo nel senso della più grande coesione dell’utilità e del benessere”. Così scriveva nel 2006 Marie José Mondzain, filosofa e studiosa delle società e delle economie che si interroga sull’esistenza di modelli di sviluppo economico alternativi a quelli attuali: esistono modelli alternativi al paradigma capitalista di stampo neoliberista che caratterizza l’attuale contesto storico?

L’economia civile ne è un esempio, e ha una consolidata tradizione nel pensiero economico italiano. Antonio Genovesi, con “Lezioni di economia civile” del 1765, pose le basi per una riflessione relativa a un modello economico alternativo a quello predominante, che si ispirava al pensiero di Adam Smith ed era dominato dalla logica dell’‘homo oeconomicus’ e della ‘mano invisibile’ che avrebbe garantito il buon funzionamento del mercato.

Del resto, l’articolo 41 della nostra Costituzione prevede che “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà`, alla dignità umana. […]”. Già la Costituzione sancisce quindi un principio: l’attività economica deve favorire l’utilità sociale, non deve nuocere alle donne e agli uomini, e non deve violare la libertà e la dignità umana. Un’affermazione di alto profilo, non scontata in un momento storico in cui il capitalismo sta agendo in modo aggressivo, sempre più orientato al profitto e minando il bene comune.

Anche un imprenditore come Adriano Olivetti sosteneva che un’impresa che voglia essere responsabile deve avere un “fine”, e insisteva sul concetto di comunità: il modello economico attuale non tiene conto di alcune questioni come il capitale umano, le relazioni, l’ambiente, il benessere collettivo e, soprattutto, acuisce le disuguaglianze economiche e sociali.

L’economia civile non contrappone Stato e mercato o mercato e società civile, ma teorizza che anche nella normale attività di impresa debbano trovare spazio concetti quali la reciprocità - che presuppone la relazione, senza però la pretesa della ricompensa, ma basata invece sull’aspettativa – il rispetto della persona, la ‘simpatia’ (nel senso di “condivisione”). L’impresa, fondata su questi presupposti, diventa un soggetto che ha un ruolo fondamentale nella comunità, protagonista della crescita e del progresso della comunità stessa.

L’economia civile propone un modello di gestione del bene pubblico a partire dalla ‘comunità’, concetto trascurato tanto dalla gestione privatistica del bene pubblico quanto da quella esclusivamente pubblicistica; il modello è quello del principio di sussidiarietà tra ente pubblico, operatori economici e società civile organizzata.

In un modello del genere, quale sarebbe il ruolo dello Stato? Riconoscere l’auto-organizzazione dei soggetti della società civile in tutti gli ambiti in cui i loro membri ritengono, in piena autonomia, di avere interessi legittimi da tutelare. Lo Stato non deve semplicemente delegare o distribuire quote di sovranità all’organo inferiore – questa sarebbe una sussidiarietà concessa – ma deve riconoscere e perciò favorire quanto il soggetto auto-organizzato è in grado di realizzare da sé.

Certamente, lo Stato deve poi garantire la disciplina di esercizio di questa auto-organizzazione (trasparenza, regole di accesso alle fonti di finanziamento, regimi fiscali), facendo in modo che sia la competizione leale a stabilire chi deve produrre che cosa.

Può l’economia civile favorire un nuovo modello di sviluppo sociale? Una società nella quale il lavoro, ad esempio, non sia più funzionale al profitto ma possa generare la felicità, come sostenevano i benedettini? Intanto è necessario partire da una considerazione: uno dei problemi che affligge la società contemporanea è la ‘mancanza di lavoro’, definita come carenza di ‘impieghi’. Ma ci sono parecchie altre offerte e domande di lavoro che non transitano per il mercato del lavoro - il lavoro di cura, il lavoro che entra nella produzione di servizi alla persona; il lavoro erogato all’interno delle organizzazioni di terzo settore, etc. Attività lavorative che la società riconosce, e che lo Stato disciplina intervenendo a livello legislativo con norme che ne stabiliscono la regolamentazione, senza però che esse siano sottoposte alle regole del mercato del lavoro.

L’Italia ha dato i natali all’economia civile e ci sono esempi significativi, come la finanza etica - Banca Etica - come il cooperativismo, come l’associazionismo organizzato; è fondamentale che il legislatore consenta a tutti questi soggetti non solo di “esistere” ma anche di crescere ulteriormente. La disciplina, certamente complessa e articolata, del Terzo settore, a partire dalla legge delega del 2016, ha senza dubbio sancito un principio: per la prima volta si riconosce legittimità giuridica a forme di impresa che non hanno più come unico scopo il profitto.

 

 
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