Per poter correttamente interpretare la mancata sottoscrizione da parte del governo italiano della Dichiarazione europea del 17 maggio sul contrasto all’omolesbobitransfobia, è necessario tenere conto di alcuni dati di contesto.
Dopo il 2016 e finché erano all’opposizione, i Fratelli e le sorelle d’Italia e i loro cugini fondamentalisti della Lega hanno sempre promesso al loro elettorato la cancellazione della legge sulle unioni civili una volta al governo. Niente di nuovo, peraltro: entrambe le forze politiche aderirono al famigerato Congresso delle Famiglie di Verona nel 2019, la cui parola d’ordine era l’arretramento dei diritti sessuali e riproduttivi. E ancora, la coalizione della quale fanno parte sottoscrisse durante l’ultima campagna elettorale un controverso patto con Provita e Famiglia, principale interprete della posizione no-choice in materia di diritti.
Ma l’apparente contraddizione che caratterizza sia la dichiarazione del 17 maggio della presidente del Consiglio e lo stupefacente spot elettorale che chiede il voto per Fdi alle persone Lgbtqia+ sullo sfondo della rainbow flag, sia la mancata sottoscrizione del documento europeo, emerse già in quella campagna elettorale.
Al patto d’azione con gli oscurantisti di Provita fece infatti da ‘pendant’ un episodio dai più considerato come creato ad arte: durante un comizio a Cagliari un sedicente attivista, misteriosamente sfuggito al servizio d’ordine, irruppe sul palco occupato da Meloni, intimandole l’approvazione del matrimonio egualitario. La candidata premier, con tutto l’aplomb di cui è notoriamente dotata, rispose che le persone dello stesso sesso avevano già le unioni civili, che altro volevano? Un’occasione ghiotta per una parziale marcia indietro: le unioni civili non sarebbero state toccate, al pari dell’interruzione volontaria di gravidanza.
D’altronde, perché suscitare sicure reazioni di piazza? Nel caso dell’aborto, il lavoro sporco viene lasciato alle Regioni “amiche” che rendono spesso inesigibile il diritto. Nel caso delle unioni civili, quella legge è destinata a rimanere una cattedrale nel deserto dei diritti, cristallizzando peraltro – sia detto per inciso - una discriminazione nel prevedere un istituto riservato alle coppie dello stesso sesso ben distinto dal matrimonio di serie A destinato invece alle sole coppie eterosessuali.
Intanto tutto attorno viene creato il vuoto. Basti guardare agli attacchi forsennati e quotidiani alle figlie e ai figli delle famiglie omogenitoriali: è vero che non avevano di che ringraziare nemmeno i precedenti governi, ma finora non avevano conosciuto un’aggressione così virulenta. Sono da ricordare infatti le impugnazioni - ispirate dal ministro dell’Interno - degli atti di nascita formati da anni con due madri, con l’intento di sottrarre a bambini e a bambine già esistenti una delle due figure genitoriali. E la proposta di legge che vorrebbe rendere punibile la gestazione per altri realizzata in Paesi dove è legale e regolamentata con garanzie per tutte le parti.
L'obiettivo è unico: rendere quanto più complicata possibile la vita di quelle famiglie, gettare su di loro lo stigma dell’illegalità, dire a chiare lettere che passino i diritti individuali “ridotti”, ma nessuno si sogni di considerare quei nuclei come famiglie. Una impostazione che fa il paio con la vulgata della fantomatica teoria gender, evocata per attaccare le persone che chiedono di affermare la loro identità di genere.
Anche in questo caso assistiamo alla negazione dell’autodeterminazione delle persone, alla loro psichiatrizzazione e patologizzazione, nonostante le inequivocabili posizioni in senso contrario dell’Oms, alla negazione dei bloccanti della pubertà per minori trans (veri trattamenti salvavita da rischi suicidari, come affermano le principali associazioni di medici, pediatri e psicologi), alle ispezioni minatorie negli ospedali che li somministrano. Pure qui il fine è lo stesso: una paternalistica, formale quanto fasulla, “accettazione” delle persone trans, purché non osino uscire dal loro privato reclamando diritti e autodeterminazione.
In questa chiave è da leggersi l’apparente contraddizione tra la dichiarazione del governo riferita al solo orientamento sessuale, e la mancata sottoscrizione della Dichiarazione europea che correttamente si riferisce a orientamento sessuale e identità di genere. Insomma un generico rifiuto della violenza nei confronti delle persone omosessuali (e ci mancherebbe), accompagnata però dall’ostinato rifiuto di qualunque richiesta di pieni diritti da parte di quella comunità.
In altre parole un minimo tributo da pagare all’Unione europea dentro la quale - almeno per ora - si vuole stare, ma anche una rinnovata alleanza con i paesi più reazionari che, al pari dell’Italia, non hanno sottoscritto la Dichiarazione europea e che si propongono come testa di ponte di quel gruppo denominato “Restaurare l’ordine naturale”, che ha al primo punto la cancellazione dei diritti sessuali e riproduttivi nel nostro continente ed oltre.