Continuano ad aiutarsi a casa loro… - di Leopoldo Tartaglia

Dopo la pandemia le migrazioni internazionali hanno ripreso il loro corso. Le cosiddette migrazioni permanenti, dopo il collasso del 2020 e il forte rimbalzo nel 2021, sono cresciute nel 2022, riportando gli ingressi nei paesi dell’Ocse a un livello superiore del 14% a quello del 2019.

Nel nostro paese, secondo l’Istat, il saldo migratorio con l’estero degli iscritti in anagrafe è stato di +248mila nel biennio Covid 2020-21, e +535mila nel 2022-23. Se questo saldo positivo ha provocato un aumento assai minore dello stock di cittadini stranieri lo si deve a due fenomeni, uno positivo dei 213mila (2022) e 200mila (2023) stranieri che hanno acquisito la cittadinanza italiana; uno negativo, invece, per gli stranieri che, loro malgrado, sono costretti a vivere in situazione irregolare e non sono iscritti in anagrafe (circa mezzo milione secondo l’Ismu - XXVIII Rapporto sulle migrazioni 2022).

Nonostante la politica di ostilità dell’attuale governo verso l’immigrazione – ultimo atto il decreto ministeriale Piantedosi del 7 maggio che ha aggiunto Bangladesh, Camerun, Colombia, Egitto, Perù e Sri Lanka alla lista dei “paesi sicuri”, rendendo quasi impossibile per i loro cittadini presentare domanda di asilo o protezione internazionale in Italia – il decreto flussi ha previsto 452mila ingressi da autorizzare nel triennio 2023-2025: una quota ben più alta che nel recente passato, ma largamente insufficiente rispetto alla domanda effettiva di imprese e famiglie.

Né le alterne vicende economiche né la pandemia hanno interrotto la crescita nel mondo delle rimesse degli emigrati. Risorse monetarie inviate alle proprie famiglie d’origine, utilizzate per migliorare l’alimentazione, adeguare l’abitazione, proteggere la salute, mandare i figli a scuola, fare investimenti.

Nella graduatoria mondiale delle rimesse, l’India è al primo posto, il Messico al secondo, seguiti da Cina, Filippine e Egitto. L’India ha la diaspora più numerosa nel mondo, ma beneficia anche di un alto numero di emigrati molto ricchi che vivono negli Stati Uniti.

Le rimesse ricevute dai paesi di basso o medio reddito si avvicinano al 2% del loro prodotto lordo. Senza contare i canali informali di trasmissione delle rimesse – sia legali che illegali – che le statistiche ufficiali non colgono, quindi è plausibile che l’apporto dei migranti alle economie dei paesi di origine sia parecchio superiore al 2%.

L’evoluzione delle rimesse nel mondo non ha conosciuto interruzioni nell’ultimo ventennio: dal 2017 le rimesse hanno superato gli Investimenti diretti esteri (Ide) e la forbice si sta allargando. Negli ultimi anni sono all’incirca uguali al valore della somma degli Ide con quanto erogato dall’Aiuto pubblico allo sviluppo (Aps).

In alcuni paesi – repubbliche ex-sovietiche dell’Asia centrale, Nepal, Libano, in centro America e nei Caraibi – le rimesse valgono più di un quinto del Pil, e sono vitali per l’equilibrio economico e sociale.

Secondo la Banca d’Italia, le rimesse verso l’estero dal nostro paese hanno avuto un andamento profondamente segnato dalla recessione economica. Da un massimo di invii superiore agli 8,7 miliardi di euro nel 2011, le rimesse sono crollate a un minimo di 5,7 miliardi nel 2017, per risalire gradualmente a oltre 8 miliardi nel 2021-23, nonostante il Covid. Anzi, la pandemia ha rafforzato i vincoli di solidarietà che legano i migranti ai paesi di origine, migranti che pur impoveriti dall’alta disoccupazione nel 2020-21 hanno rafforzato gli invii di denaro.

Con la prudenza legata al fatto che i dati non considerano gli invii informali e la consistenza reale delle comunità, tra legali e irregolari, si possono fare alcune considerazioni. L’invio medio annuo per migrante è di circa 1.600 euro, ma c’è una fortissima variabilità tra comunità, da un massimo di quasi 8mila euro per i bangladesi a un minimo di 47 per gli albanesi. La media più alta è quella dei georgiani (18.221 euro), ma c’è il dubbio che la vicinanza con la Russia permetta “triangolazioni” che inficiano il dato.

I paesi più lontani e più difficilmente raggiungibili (Bangladesh, Repubblica Dominicana, Pakistan, Senegal, Filippine) con più di 4mila euro annui inviati sono in testa alla graduatoria; i paesi geograficamente più vicini (Albania, Egitto, Tunisia, Europa dell’est) sono in coda.

Le rimesse dall’Italia costituiscono il 18,4% di tutte le rimesse ricevute dal Senegal, l’11,2% per l’Albania, il 7-9 % per le Filippine, la Moldavia, il Perù, il Mali.

 

 
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