Aide Esu, Violare gli spazi. Militarizzazione in tempo di pace e resistenza locale, Ombre Corte, pagine 138, euro 13.
È disponibile l’ultima pubblicazione di Aide Esu, docente di Sociologia dell’Università di Cagliari, “Violare gli spazi. Militarizzazione in tempo di pace e resistenza locale”. Il tema è centrale per la vita delle sarde e dei sardi, per la loro storia recente e per le loro prospettive future. Anche se accuratamente accantonato dalla politica, che pensa che chi affronta la militarizzazione della Sardegna metta a rischio la propria personale carriera.
Esu offre un quadro chiaro, minuzioso, dal quale non si può scappare. “Sotto il profilo metodologico questo studio si basa su un’analisi delle fonti istituzionali, e su materiali originali di ricerca qualitativa condotta in un arco temporale di otto anni”. Il libro è strutturato in quattro capitoli: militarizzazione e costruzione del consenso, politiche dell’incertezza, isole e militarizzazione, proteste, resistenza e azioni dirette.
Un tema trasversale, centrale almeno sino a venti anni fa nella vicenda della militarizzazione sarda, è l’utilizzo della dicotomia “tradizione/modernità”, con la modernità che significa accettare la militarizzazione, che porta ricchezza, servizi, benessere.
Fino a qualche decennio fa le lotte contro la militarizzazione della Sardegna, talvolta anche con una partecipazione di massa, erano legate a grandi organizzazioni politiche, che rispondevano anche a logiche di posizionamento internazionale. Una eccezione, momento-spartiacque, fu la lotta vittoriosa di Pratobello del 1969. Ed infatti Esu suddivide la storia del movimento contro la militarizzazione in tre fasi: la prima dal dopoguerra a Pratobello, la seconda da Pratobello ai primi anni duemila, e la terza, quella attuale, dei movimenti “no-bases”. Quest’ultima fase è anche quella in cui, grazie ai processi, ad una diversa postura dei media ma non solo, la narrazione sulla positività delle basi viene intaccata. Il senso comune si modifica.
Nel 2018, per esempio, “la relazione finale della Commissione parlamentare sull’uranio impoverito richiama la necessità di mitigare la presenza militare nell’isola (…). Questo contenimento avrebbe dovuto comportare la progressiva riduzione delle aree soggette a servitù militare, la dismissione dei Poligoni di Capo Teulada e Capo Frasca, la riqualificazione del Pisq (Poligono Sperimentale e di Addestramento Interforze di Salto di Quirra, ndr)”.
Oggi, a distanza di sei anni, queste posizioni sembrano impensabili. La “terza guerra mondiale a pezzi”, nella quale siamo immersi, e la complicità italiana nel genocidio del popolo palestinese rendono impensabile, per la totalità dello scenario politico e mediatico, anche solo ipotizzare una riduzione della presenza militare. Chiaramente, quella relazione finale della Commissione non portò a nulla.
Un elemento interessante del libro di Esu è l’inserimento dell’oggetto di studio all’interno degli “island studies”, collegati alle dottrine militari statunitensi. “Isole della vergogna, così David Vine (2015) definisce gli insediamenti statunitensi delle oltre 800 isole di cui dispongono gli Stati Uniti per le attività militari, la logistica e test sugli armamenti. La Sardegna può anch’essa essere definita un’isola della vergogna al centro del Mediterraneo. Cosa la unisce alle isole del Pacifico?” “… la Sardegna concretizza il modello ideale Mediterraneo, una grande isola scarsamente popolata e distante dalla terra ferma, con un arcipelago già sede storica di insediamenti militari”. Sardegna porta-aerei Usa e Nato del Mediterraneo, insomma.
La pianificazione della presenza coloniale militare in Sardegna torna anche in altri aspetti esaminati dal libro, come la capacità del ministero della Difesa di conquistare gli abitanti di Perdasdefogu con la fornitura di servizi, nonché di regalie. Ma le resistenze, le proteste, e le azioni ci sono, e il libro le copre egregiamente nell’ultimo capitolo, partendo dal dopoguerra per arrivare all’ultimo ciclo che, cominciato nel 2014 con la massiccia manifestazione di Capo Frasca, ebbe un apice nel 2015, con la manifestazione di Teulada. Esu offre informazioni precise fino ad oggi e al movimento “no-bases” di Aforas.
Un aspetto centrale è il continuo tentativo, riuscito fino ad oggi, di insabbiare, nascondere, instillare dubbi, mistificare, rendere incerto ogni ragionamento sulla militarizzazione della Sardegna. Per esempio, sulle questioni sanitarie, “la non visibilità e l’inesistenza di un registro regionale tumori sono i due strumenti su cui fanno leva le autorità militari per minimizzare ogni relazione tra ambiente e salute”.
Il libro di Esu inserisce la vicenda umana di chi vive la Sardegna di oggi e la sua militarizzazione dentro paradigmi conoscitivi “liberatori” e all’interno di una dimensione geopolitica internazionale che rende chiari i termini della questione, demistificando in modo magistrale la decennale narrazione tecno-politica-militare.
Una più ampia recensione è disponibile su http://www.enricolobina.org/situ/la-sardegna-come-unisola-del-pacifico-a-stelle-e-striscie-note-sullultimo-libro-di-aide-esu/