Ilaria Crippi, Lo spazio non è neutro, Tamu editore, pagine 177, euro 14,90.
Lo stigma della disabilità, raccontato attraverso l’inaccessibilità, è il tema proposto da Ilaria Crippi, giovane scrittrice disabile e lesbica nel suo libro “Lo spazio non è neutro”. Ancora oggi non è raro trovarsi di fronte a luoghi o edifici preclusi a chi conviva con qualche menomazione fisica o sensoriale.
Molti esempi mostrano chiaramente la distanza tra l’agire concreto e la sostanziale ipocrisia di chi, a parole, afferma empatia e nega discriminazioni. Nominare un ministro per la disabilità è stato solo un atto propagandistico e inutile sul piano pratico, come dimostrano le posizioni assunte.
Oggi, sul tema della dignità delle persone con disabilità, è più facile concentrarsi sugli aspetti semantici, piuttosto che mettere in atto azioni concrete di integrazione: si dibatte se si debba definire l’individuo disabile, portatore di disabilità, diversamente abile, portatore di handicap, piuttosto che riflettere sui diritti che andrebbero legittimamente garantiti.
Una classe politica così chiaramente in contraddizione con sé stessa rischia di vanificare le azioni forti e determinanti messe in atto dal secondo dopoguerra per garantire i diritti faticosamente conquistati. Meno eclatanti rispetto alle azioni di esponenti del movimento Lgbt e di altre categorie sociali, anche nel mondo dell’handicap (termine che intendo usare in piena dignità nella sua accezione di svantaggio), si sono registrati episodi a forte impatto, da considerarsi azioni di reale attivismo che hanno portato ai risultati, seppur parziali, da ritenersi oggi acquisiti.
Come ben sottolinea la Crippi, una figura determinante nell’ambito delle conquiste legate all’accessibilità è stato Ronald Mace: affetto da poliomielite, diventato architetto, si è impegnato attivamente per l’accessibilità. La sua azione si è compiuta ribaltando totalmente l’approccio al problema, ovvero pensando che ogni spazio dovesse essere fruibile a tutti a prescindere dalle proprie condizioni.
L’accessibilità universale, nei primi anni ‘90, ha spinto alcuni compagni e compagne della Cgil di Milano a compiere un’azione dimostrativa che ebbe un forte impatto: fermando un tram di fronte alla Camera del Lavoro e facendo salire persone costrette a vivere su una sedia rotelle. Il traffico si bloccò in gran parte del centro cittadino. La logica è stata dimostrare che i gradini per salire sul tram siano un ostacolo insormontabile non solo per i disabili, anche una inutile difficoltà per categorie di persone “normodotate” in momenti di temporaneo impedimento: la maternità, una distorsione o il trasporto di pesanti bagagli.
Le barriere architettoniche sono l’aspetto evidente di radicate e inconfessabili barriere ideologiche, più complicate da abbattere. L’eliminazione di ostacoli fisici non dovrebbe essere vista come un costo, ma come un investimento: un mondo accessibile permetterebbe ai disabili di vivere una vita indipendente, migliorandone anche l’accesso al lavoro e l’approdo all’indipendenza economica.
Se poi riflettiamo su lavoro e politica, settori nei quali i pregiudizi sono radicati, la conquista di ruoli apicali di persone invalide rappresenta una vera e propria eccezione.
Nella società attuale si tende a pensare che la soluzione al problema dell’accessibilità sia l’aiuto, ma questo apre il dibattito a due aspetti: non tutti possono essere aiutati e l’aiuto può sopperire ad una difficoltà individuale, ma non risolvere il problema globale. Il poter vivere liberamente spazi ed edifici è il primo requisito per una vita senza ostacoli sociali, pertanto pienamente integrata.
Attraverso l’edilizia, l’urbanistica e la libera circolazione in ogni luogo si definisce la possibilità di integrazione sociale di una persona che abbia delle limitazioni. Non che manchino le leggi: il bagaglio normativo dell’Italia è cospicuo, forse abbondante per non rischiare di trovarsi di fronte a norme in contrasto tra loro. Per l’edilizia, con una storia normativa e una giurisprudenza altrettanto ampie, i problemi da risolvere sono ancora molti, a partire dal fatto che quanto previsto dalle leggi si applica sulle nuove costruzioni o alle grandi ristrutturazioni, riservando agli edifici più vecchi l’opzione dell’adattabilità, visitabilità o la deroga se considerati patrimonio storico e ambientale. Esistono edifici ritenuti totalmente a norma che costringono la persona a servirsi di accessi secondari e, talvolta, a percorsi tortuosi che mettono alla prova forza di volontà e psiche.
Il tema è di carattere più generale: come per tutte le forme di segregazione è necessario porsi l’obiettivo dell’universalità del diritto al vivere le città ed abitare gli spazi, domestici o pubblici, pensati per il lavoro e lo svago.
I politici, secondo Crippi, normalmente accettano e si spendono per le proposte che valutano in un’ottica di immediato riscontro. Le lotte delle attiviste e degli attivisti hanno invece allargato questa finestra sull’handicap, ma il percorso deve portare ad un ulteriore allargamento mediante la realizzazione di opere davvero per tutti e tutte, realmente inclusive ed accessibili.