Giovanna Marini è morta lo scorso 8 maggio. Era nata nel gennaio del 1937, dunque non era una bambina, ma la sua agilità mentale, la sua umanità, la sua curiosità intatta fino all’ultimo respiro, ce la rendevano necessaria. Lo so che è ingiusto e forse persino egoista, ma ci piaceva pensare Giovanna lì, sempre raggiungibile, pronta a confrontarsi con chiunque, coi principi e coi poveri della musica (con una certa preferenza per questi ultimi). Ugualmente attenta alle proposte, che venissero da De Gregori come della più scalcinata corale di un Arci della periferia d’Italia, Giovanna era non solo una grande anima ma un punto di riferimento essenziale.
Si spiega solo così la reazione in certi casi disperata alla sua scomparsa: non soltanto il cordoglio, bensì un vero e proprio smarrimento, misto ad un’ondata di - non saprei definirlo in modo diverso - amore. Per tutti coloro che vedono nella musica e nel canto non l’esercizio di un’arte raffinata, ma la ricerca costante della relazione con la vita reale, Giovanna c’era.
Motivo particolare di gratitudine, credo che Giovanna abbia composto il più bel canto sindacale, uno dei più grandi canti narrativi: “I treni per Reggio Calabria”. Una canzone che abbiamo sentito mille volte, tanto che la diamo quasi per scontata e non ne valutiamo l’originalità. Sull’impianto colto di un accompagnamento barocco, una passacaglia, un anello armonico che si ripete sempre uguale, la melodia si svolge, il testo vi si appoggia liberamente per accumulo, ora rallentando, ora accelerando, come appunto i treni del racconto.
Soffermiamoci per un attimo sulla storia: il 22 di ottobre del 1972, nel contesto ancora drammatico dell’insurrezione di Reggio Calabria, strumentalizzata due anni prima dai fascisti, i sindacati unitariamente convocano una grandiosa manifestazione, che porta, anzi potremmo dire ri-porta a casa dal nord migliaia di lavoratori emigrati dieci, vent’anni prima. Lungo i binari della ferrovia vengono rinvenute delle bombe (siamo nel pieno della strategia della tensione): la prudenza consiglierebbe di fermare tutto, di tornare indietro, e invece, grazie ad un’attenta sorveglianza di un servizio d’ordine lungo quanto l’Italia intera, i coraggiosi treni portano il loro carico umano a destinazione. Giovanna era su quel treno e restituisce l’ansia e l’orgoglio di quelle ore, attraverso una fitta serie di notazioni particolari, frammenti, aneddoti. Ipnotico e grandioso questo canto è un’epopea senza eroi, o con mille eroi, un’odissea del lavoro, il vangelo dell’orgoglio operaio.
“Famiglie intere a tre generazioni / son venute tutte insieme da Torino / vanno dai parenti fanno una dimostrazione / dal treno non è sceso nessuno: / la vecchia e la figlia alle rifiniture / il marito alla verniciatura / la figlia della figlia alle tappezzerie / stanno in viaggio ormai da più di venti ore. / Aspettano seduti sereni e contenti / sopra le bombe, non gliene importa niente, / aspettano ch'è tutta una vita / che stanno ad aspettare: / per un certificato mattinate intere, / anni ed anni per due soldi di pensione. / Erano venti treni più forti del tritolo / guardare quelle facce bastava solo”.
Solo per questo Giovanna merita un posto d’onore nel cuore della classe che ha saputo cantare senza retorica, con vera ammirazione. Ma Giovanna è stato molto altro e molto oltre. Nonostante i coccodrilli ipocriti e la fiera delle banalità apparse sui giornali, “la pasionaria del folk”, “la Joan Baez italiana”, dobbiamo tristemente riconoscere che Giovanna Marini ha avuto meno di quanto ha dato. Poche voci si sono alzate per ribadire che Giovanna era innanzi tutto una grande compositrice, una musicista geniale ed una donna di lettere e di poesia. Per tutta la vita ha fatto la compositrice, la chitarrista, la poetessa, la docente. Era una persona molto coraggiosa: è andata a testa bassa contro moltissime convenzioni, sconvolgendo il maschilismo, la melomania reazionaria, e irridendo tre o quattro ortodossie assieme. Forse per questo le hanno dato il minimo possibile di allori e di glorie: questa è una vergogna che non riguarda lei, ma noi e il nostro provincialismo, la nostra paura dell’intelligenza femminile, il sospetto per gli artisti che si sono messi al servizio di una causa.
Le legioni di allievi che ha seminato per il mondo, gli appassionati di musica popolare, le persone che hanno scoperto grazie a lei che passione, studio, ricerca, umiltà, ascolto, sono una sola rivoluzionaria essenza, però sanno chi era Giovanna, e per questo oggi la piangono smarriti, ma domani sapranno mettere a frutto il suo insegnamento. E questo sarà il teatro che non le hanno mai affidato, il conservatorio che non le hanno fatto dirigere.