Il Messico verso il voto ancora nella morsa violenta dei narcos - di Vittorio Bonanni

Vista l’importanza dal punto di vista geopolitico delle regioni coinvolte in conflitti sanguinosi - la guerra russo-ucraina da un lato e la recrudescenza del conflitto israelo-palestinese dall’altro - è normale che i riflettori siano puntati soprattutto in quelle aree geografiche a scapito di altre. Ma anche l’America Latina ci propone, purtroppo, scenari terribili in termini di violenza politica diretta e indiretta, con un bilancio di decine di migliaia di vittime ogni anno.

Al riguardo, si stanno approssimando in Messico le elezioni previste per il 2 giugno - finalizzate ad eleggere il nuovo Presidente della Repubblica, rinnovare i membri del Senato e della Camera dei deputati, i presidenti di otto dei trentuno Stati federali messicani e scegliere il nuovo governo di Città del Messico – elezioni alle quali saranno chiamati quasi cento milioni di elettori registrati.

Si svolgeranno in un contesto che, in termini di conflitti interni di vario genere – in primis quello relativo al narcotraffico –, non teme rivali in un continente già violento per definizione. Una carneficina che non risparmia nessuno provocata dai narcos, dall’esercito e da una criminalità organizzata che opera in settori diversi, tra cui il traffico di esseri umani, che colpisce in particolare le donne.

Proprio le donne però, a dimostrazione delle enormi contraddizioni di questo Paese, esprimeranno due candidate, le principali, che si contenderanno la guida del Messico, il paese di lingua spagnola più grande del continente dopo l’Argentina. Si tratta di Claudia Sheinbaum, l’ex governatrice della capitale Mexico City in quota Morena, il partito di sinistra oggi al governo che nasce da una scissione del Prd (Partito Rivoluzionario Democratico) sotto l’attuale Presidente Andrès Manuel Lòpez Obrador (detto Amlo), e di Xóchitl Gálvez, candidata di Fuerza y Corazón por México (Forza e Coraggio per il Messico), una coalizione che potremmo definire di centro-sinistra che raccoglie tutti i partiti tradizionali che hanno caratterizzato la storia politica del Messico: dal Pri (Partito Rivoluzionario Istituzionale), che ha governato per decenni il Paese, al Pan (Partito di Azione Nazionale), un partito conservatore e liberista che per primo ruppe lo strapotere dei “rivoluzionari” fino al Partito della Rivoluzione Democratica (Prd), storica formazione della sinistra messicana soppiantata poi da Morena.

Sheinbaum è nettamente favorita. Viaggerebbe secondo i sondaggi intorno al 60% dei consensi contro un misero 14% di Gálvez, cui segue a ruota Jorge Álvarez Máynez del Movimiento Ciudadano (Movimento cittadino) con il 5%.

La candidata della sinistra ha un curriculum di tutto rispetto: è un ex scienziata ambientale con un dottorato in Ingegneria energetica, dal 2000 al 2005 è stata Segretaria per l’Ambiente per Mexico City. La coalizione che la sostiene si chiama Seguimos Haciendo Historia (Continuiamo a Fare la Storia), formata appunto da Morena insieme al Partido del Trabajo e al Partido Verde Ecologista de México. I contenuti del suo programma sono più o meno gli stessi del governo in carica: dalle spese sociali per i poveri al potenziamento delle infrastrutture chiave per il Paese fino alle politiche energetiche nazionaliste, finalizzate ad irrobustire la sovranità energetica del Messico.

Anche Gálvez ha nel suo programma elementi di progressismo, come la riduzione delle disuguaglianze e più tasse ai ricchi, spostando così il suo programma più a sinistra rispetto al Pan, suo partito di riferimento, nel tentativo vano di sottrarre voti alla sua avversaria.

Come dicevamo, tutto questo avviene mentre la violenza la fa da padrone nel Paese. Negli ultimi due decenni i vari governi che si sono succeduti hanno messo in atto politiche diverse nella lotta contro i narcos: nel 2006 l’esecutivo di destra del presidente Felipe Calderón diede il via ad una politica di dura repressione contro i trafficanti di droga, i quali però non esitarono ad armarsi fino ai denti con il risultato che da quell’anno fino ad oggi sono morte 450mila persone, il 70% delle quali colpite dalla violenza dei narcos.

Una sconfitta delle politiche di Calderón che spinse Lòpez Obrador, arrivato al governo nel 2018, ad adottare una politica finalizzata invece a limitare gli scontri tra narcos da un lato e polizia ed esercito dall’altro, attuando misure di sviluppo sociale nelle aree più povere per ridurre la presa che i cartelli hanno sulla popolazione. Ma anche questo approccio si è rivelato fallimentare, come dimostrano i 30mila morti all’anno per cinque anni di seguito con un calo solo nell’ultimo periodo della presidenza di Amlo. Sheinbaum ha tutta l’intenzione di dare seguito saggiamente a questa politica, in un contesto però dove ogni approccio per mettere fine a questa guerra, non meno cruenta delle altre in corso, sembra destinato al fallimento.

 

 
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