Il presidente uscente della Generalidad, Pere Aragonès, dell’Esquerra Republicana de Catalunya, ha dovuto convocare le elezioni anticipate del Parlamento catalano per il 12 maggio, non avendo trovato una maggioranza sufficiente per l’approvazione del bilancio preventivo del 2024. A determinare la rottura fu la posizione critica assunta dalla coalizione di sinistra En Comù Podem, particolarmente ostile al progetto di costruzione di un mega casinò da installare nella provincia di Tarragona.
Il voto ha prodotto un Parlamento catalano molto frammentato con la presenza di otto formazioni che si suddividono 135 seggi. I Socialisti sono emersi nettamente vincitori dalla competizione, dopo essere già diventati primo partito quattro anni fa. Con una crescita del 4,93%, e la conquista di 9 seggi in più, ora sovrastano nettamente le altre forze e possono aspirare a conquistare la presidenza della Generalidad. I loro 42 seggi sono però lontani dalla maggioranza necessaria e la possibilità di combinare una coalizione o quantomeno di poter garantire un’amministrazione di minoranza sarà tutt’altro che semplice.
Il fronte indipendentista esce diviso e indebolito. Con 61 seggi complessivi non ha più la maggioranza assoluta e si è anche rafforzata la destra, sia quella moderata (Junts dell’esiliato Carles Puigdemont) che quella sciovinista (Aliança Catalunya) che entra per la prima volta nell’assemblea con due seggi.
Esce sconfitta innanzitutto l’Erc, di centrosinistra, che aveva provato a governare prima con Junts e poi con i socialisti. La storica formazione catalanista ha perso un terzo dei voti e 13 seggi. In arretramento anche l’estrema sinistra dell’indipendentismo, gli anticapitalisti della Cup (Candidatura di Unità Popolare) che conservano quattro seggi dei nove che avevano e sembrano in progressivo declino.
L’esito del voto degli indipendentisti ha portato molti commentatori spagnoli a considerare morto il cosiddetto “proces” ovvero quel percorso che sembrava destinato, tra trattative e strappi istituzionali, a condurre inevitabilmente verso l’indipendenza. Il consenso per questa prospettiva, che ad un certo punto sembrava maggioritario, era in parte gonfiato dalla reazione all’ostilità aggressiva della destra madrilena. Una volta riportato il confronto sul terreno del dialogo, con la coalizione guidata da Pedro Sanchez, una quota significativa di elettori di sinistra ha abbandonato l’indipendentismo ed è tornata a votare “spagnolo”.
Questo spostamento elettorale determina uno sbilanciamento dell’indipendentismo verso quella componente moderata (in qualche caso reazionaria) che si apparenta ad una forma di secessionismo dei ricchi.
Contemporaneamente si sono rafforzati i partiti della destra spagnola, Popolari e Vox, che possono contare su 26 seggi.
La sinistra non indipendentista, a differenza di quanto accaduto recentemente in Galizia e in Euzkadi, si è presentata unita con la sigla “Comuns Sumar”. Il risultato ha segnato una flessione dei voti dell’1,05%. Il 5,82% ottenuto corrisponde a sei seggi (due in meno), tutti nella circoscrizione di Barcellona. Tra gli eletti è confermata Nuria Lozano della branca catalana di Izquierda Unida.
Il risultato ottenuto in Catalogna, dopo quello decisamente catastrofico della Galizia e l’altro di mera resistenza in Euzkadi, ha rappresentato una boccata di ossigeno per la coalizione guidata da Yolanda Dìaz che dovrà misurarsi con le prossime, e non facili, elezioni europee. Un passaggio importante per consolidare Sumar, all’interno della quale non mancano espressioni di malcontento tra alcune delle componenti organizzate, tra le quali Izquierda Unida (che ha appena eletto come nuovo leader l’andaluso Antonio Maillo).
Il Partito Socialista Catalano, guidato da Salvador Illa, ha avviato le difficili trattative per dar vita alla nuova Generalidad. I primi interlocutori sono evidentemente l’Erc e i Comuns con i quali si raggiungerebbero i 68 seggi necessari. Al momento l’Erc, dopo aver dichiarato di passare all’opposizione a seguito della pesante sconfitta elettorale, lascia aperte varie strade.
I Comuns di Jessica Albiach e Ada Colau sostengono la proposta della formazione di una coalizione di centro-sinistra. Ma Puigdemont che guida Junts e ha fatto campagna elettorale dalla Francia, contando sull’esito positivo del processo di amnistia che la destra cerca di ostacolare in ogni modo, non rinuncia all’idea di poter tornare alla guida al governo catalano anche se con una coalizione di minoranza.