Come sfruttare i rifugiati - di Riccardo Chiari

Erano i migranti lasciati a se stessi nel Cas Le Caravelle, centro di accoglienza straordinaria nella frazione di Riotorto di Piombino, il miglior “serbatoio di manodopera” per il fertilissimo territorio della Val di Cornia. A portarli nei campi si usavano grossi furgoni, in un disinteresse generale rotto solo da un controllo dei carabinieri. Così è partita l'indagine che nei giorni scorsi ha portato all'arresto di dieci caporali pakistani che sfruttavano la necessità di lavorare di loro connazionali e di bengalesi. Ragazzi che, dovendo aspettare per implicita volontà governativa anche più un anno prima di ottenere uno straccio di documento, accettavano condizioni di lavoro indegne e pagate una miseria pur di mettere qualche euro da parte. Anche per non deprimersi, visto il meccanismo infernale messo in piedi dal Viminale per ritardare in ogni modo una pur temporanea regolarizzazione.

I rifugiati erano impiegati nella raccolta di olive, ortaggi, uva e nella pulizia di vigneti con turni anche di oltre 10 ore, quasi senza pause. La paga era ben più bassa rispetto al contratto del settore e senza i contributi, oltre che in violazione delle leggi su sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro, riposi e ferie. Una paga oraria, in nero, che variava fra i 3 e i 9 euro, in un caso addirittura a 0.97 euro. Una miseria che veniva pagata anche con mesi di ritardo, talvolta mai.

“Quest'ennesimo caso è la fotografia di un'economia agricola sofferente – tira le somme Mirko Borselli della Flai Cgil toscana - nonostante i continui sforzi per riportare la legalità”. E la Flai nazionale ricorda come la legge 199/16 preveda le Sezioni territoriali del “lavoro agricolo di qualità” per l'incontro fra domanda e offerta di lavoro, le politiche di accoglienza e il trasporto dei braccianti. Prevenzione insomma. Ma basta il dato locale – otto anni dopo in metà delle dieci province toscane le Sezioni territoriali non esistono - per capire che a molti va bene così. A partire dal governo.

 

 
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