Rapporto Letta: verso un’Unione europea fortezza militare. No grazie! - di Monica Di Sisto

Trentatremila miliardi di risparmi privati: sono il tesoretto finanziario europeo che non riesce ad essere investito in attività produttive ‘Made in Eu’ e che invece, per almeno 300 miliardi, attraversa l’oceano Atlantico ogni anno per finanziare iniziative produttive negli Stati Uniti. Per rilanciare l’economia dell’Unione servirebbe dunque uno sforzo di coordinamento in più: un mercato unico dei capitali senza barriere interne, con regole e un organismo di vigilanza unico che, come la Bce per le banche, possa permettere di creare strumenti finanziari comuni per rilanciare l’economia europea. Questa è la proposta contenuta nel” Rapporto sul mercato interno dell’Unione” che l’ex premier Enrico Letta, su incarico della Commissione europea ha preparato per il Consiglio Ue (i capi di Stato e di governo dei 27), e che anticipa il “Rapporto sulla competitività” che l’altro ex premier italiano, Mario Draghi, dovrebbe presentare dopo il rinnovo del Parlamento europeo.

Energia, welfare, ma soprattutto armi e sistemi di difesa sono i settori di investimento che la proposta di Letta indica come prioritari, ricordando che il solo Atto per la riduzione dell’inflazione (Ira) lanciato di recente dall’amministrazione Biden in crediti di imposta e sussidi, ha immesso virtualmente nel tessuto produttivo americano fino a 3mila miliardi di dollari di investimenti pubblici e privati nel prossimo decennio per le tecnologie energetiche a basse emissioni.

Su questo modello Letta propone di emettere entro il 2026 un “safe asset” unificato che concentri tutte le emissioni di obbligazioni Ue, mobilitando i risparmi dei cittadini europei e direzionandolo nel finanziamento dell’economia reale.

Cos’è, dunque, ciò che non convince del ragionamento di Letta? Prima di tutto che a sostenere questa architettura finanziaria non ci sia, come nel caso degli Stati Uniti, un governo federale tra gli Stati dell’Unione europea che sia capace di fare sintesi politica democratica, sostenuta da un Congresso eletto, e di amministrare questo potenziale tesoretto. La proposta Letta si presenta come l’ennesima scorciatoia finanziaria per rimediare alla costitutiva debolezza democratica e politica dell’Unione europea, cui il mercato comune sicuramente, almeno fino ad oggi, si è dimostrato incapace di sopperire.

Il tesoretto, così, verrebbe gestito prioritariamente dalla Commissione europea, organismo non eletto, e dal Consiglio europeo che - in previsione di un ulteriore allargamento dell’Unione verso i Balcani - potrebbe raggiungere il consenso sufficiente a decidere per gruppi di Paesi, senza potere di veto, indebolendo ancora di più il contenuto democratico delle politiche comuni.

A parte fugaci citazioni di possibili politiche energetiche comuni green, il rapporto Letta si concentra con un capitolo specifico, come oggetto prioritario dell’impiego futuro dei nostri risparmi, sulle produzioni industriali per il riarmo dell’Europa. Se il piano venisse adottato, noi affideremmo nelle mani di organismi non eletti la scelta politica di un’Europa fortezza bellica che nessuno dei nostri Parlamenti ha mai votato, che nessuno dei nostri governi è stato eletto per promuovere, con la possibilità di sostenerla coi nostri soldi, praticamente a scatola chiusa.

A questa proposta, per di più, sottende un’idea di Europa completamente diversa rispetto a quella contenuta nei Trattati. Non un’Unione capace di esercitare un potere di ricucitura globale attraverso la cultura, la cooperazione, una visione di mondo che metta le risorse e i beni comuni a servizio di una fase critica, dal punto di vista sociale, ambientale, della comunità umana sul pianeta. Invece ci viene imposta per via tecnica, e soprattutto ci viene chiesto di finanziare forzosamente, la “Fortezza Europa” dei conservatori e delle destre, senza sottoporla a nessuna campagna elettorale, confidando nei fatti in una svolta a destra del prossimo Parlamento europeo che potrebbe sostenerla.

Una gattaiola tecnicista verso una deriva autoritaria e bellicista che di tecnico non ha proprio niente, ma ci fa scivolare sempre di più verso quella nuova guerra fredda globale che le destre europee agiscono come il principale acceleratore del proprio successo politico.

 

E' questo quello che vogliamo? È questa la lezione del mercato comune e dei suoi vincoli, recentemente rinnovati da un voto sconsiderato del Parlamento Ue, che non vogliamo ancora imparare? È davvero questa l’Unione europea di cui abbiamo bisogno in questa fase difficile? Basterebbero queste tre domande a consegnare il documento Letta al cassetto polveroso delle proposte dimenticate dalla storia. Tre domande che ci dovrebbero aiutare in un sempre più vigile monitoraggio delle scelte tecniche che la Commissione europea assume per noi, e che potrebbero irrimediabilmente condizionare il nostro futuro politico.

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