Articolo 27, i diritti in carcere - di Denise Amerini

Il 3 aprile scorso si è tenuta, in Cgil nazionale, l’iniziativa dal titolo “Articolo 27 – I diritti in carcere”. Da tempo si sentiva l’esigenza di riprendere con determinazione il tema dei diritti delle persone ristrette, per la drammatica situazione in cui versano troppi istituti penitenziari dal punto di vista strutturale, igienico e sanitario, e dopo l’alto numero di suicidi che ha caratterizzato questo inizio d’anno: un numero che, se non si interviene con misure efficaci di prevenzione, rischia di superare ogni triste record degli anni passati. Una media di un suicidio ogni tre giorni è un dato che dovrebbe interrogarci tutti. E angosciare chiunque.

I dati ufficiali resi disponibili dal ministero parlano chiaro: al 29 febbraio di quest’anno il sovraffollamento medio è del 119%, fra i più alti in Europa. Ed è un dato che tiene conto dei posti regolamentari, non di quelli effettivamente disponibili, che sono molti meno, vista l’inagibilità di molti spazi. Sovraffollamento che tocca punte del 153% in Puglia, del 213% a Brescia e del 152% a San Vittore, solo per fare alcuni esempi.

Un sovraffollamento di questa portata, insieme alle condizioni materiali in cui sono costrette a vivere le persone ristrette, con celle dove i servizi sono a vista, manca spesso l’acqua calda, mancano le attività 'trattamentali' e le opportunità di lavoro, sicuramente ha ricadute assolutamente negative sul benessere psicofisico dei singoli, sulla convivenza e sulle relazioni all’interno delle strutture.

All’iniziativa ha portato un importante contributo, con una lectio magistralis di apertura, Luigi Ferrajoli, che ha rilanciato il tema del diritto penale minimo, di un modello normativo che riduca in maniera sostanziale la “violenza” dell’intervento punitivo. Ha argomentato quanto le politiche sociali, la scuola, il lavoro, l’assistenza sanitaria, le garanzie dei diritti sociali siano le sole in grado di aggredire le cause strutturali di ogni tipo di devianza.

Oggi invece il diritto penale è declinato in termini di “certezza della pena” quale fonte di consenso elettorale. Ferrajoli ha quindi rilanciato il tema della “Costituzione della Terra” quale risposta alla crisi globale che ci minaccia, richiamando la sua teoria del garantismo costituzionale, per assicurare ad ogni cittadino i diritti fondamentali della persona.

Si sono poi succeduti gli interventi di Valentina Calderone, garante dei detenuti della città di Roma, che ha posto l’accento sul ruolo importante che questa figura ricopre; di Alessio Scandurra dell’associazione Antigone, che ogni anno visita numerose carceri e produce importanti rapporti sulle condizioni di detenzione nel nostro paese; di Sandro Libianchi, che ha posto l’accento sul tema della garanzia del diritto alla salute, ancora oggi non compiutamente declinato (basti pensare al numero di persone ristrette con problemi di dipendenza, di salute mentale, alla difficoltà di accesso alle cure e agli esami diagnostici anche per patologie comuni); di Carla Ciavarella, che ha posto un focus sulle condizioni degli operatori; di Francesca Malzani, che ha incentrato il proprio contributo sul tema del lavoro, e dei diritti del lavoro, per le persone ristrette. Le conclusioni sono state svolte dalla segretaria confederale Daniela Barbaresi.

Uno Stato che si voglia definire civile ha la responsabilità su chi è detenuto, deve prendersi cura delle persone, soprattutto delle più deboli e delle più fragili, comprese le persone ristrette, rispettare e far rispettare i loro diritti: lavoro, salute, affettività, genitorialità, sessualità, istruzione e formazione. Se non si rispetta l’articolo 27 non si potrà mai avere giustizia, le pene non potranno mai avere le caratteristiche e la funzione attribuita loro dalla Costituzione.

La Cgil, in questo, può svolgere un ruolo importante, a livello centrale e a livello territoriale. Oltre alla indispensabile tutela dei diritti nel rapporto di lavoro, sia intra che extra murario, pensiamo per esempio alla promozione e al funzionamento delle commissioni per l’inserimento lavorativo previste sia dall’ordinamento penitenziario che dal Dlgs 124/2018, ai consigli di aiuto sociale, e a tutto il lavoro da fare per quanto riguarda le pratiche previdenziali e assistenziali, a partire dal riconoscimento della Naspi.

Inoltre promuovere, in accordo con gli enti di formazione, percorsi di istruzione e formazione per le persone ristrette perché acquisiscano professionalità spendibili nel mercato del lavoro una volta libere: questo è reinserimento e abbattimento della recidiva. Tener conto, nella contrattazione sociale territoriale, dei diritti e dei bisogni delle persone più fragili, promuovere politiche di inclusione quali strumenti anche per prevenire la commissione di reati.

In tempi come questi, dove le insicurezze e le paure sono enfatizzate e strumentalizzate a scopo di propaganda elettorale, parlare di sicurezza non in termini securitari o di decoro ma come promozione di diritti per tutti, anche per le persone che vivono in carcere, diventa fondamentale per una società più giusta e inclusiva.

 

 
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