Padova, 26 febbraio 2024. Un minuto di silenzio per le vittime del naufragio di Cutro, esattamente un anno fa, apre l’incontro, promosso dal circolo Arci XXV Aprile, di presentazione di “J’accuse”, il libro di Francesca Albanese, giurista, Relatrice speciale dell’Onu per i diritti umani nei Territori occupati in Palestina, alla quale Israele impedisce arbitrariamente l’accesso.
Una bussola per orientarsi, specialmente per chi “ha meno di trent’anni e non ha vissuto la storia come l’abbiamo vissuta noi a partire dalla strage di Sabra e Shatila del 1982, con tremila palestinesi trucidati”. “Quanti ‘7 ottobre’ hanno vissuto i palestinesi?” Si chiede la Relatrice Onu. Solo dal 2008 al 7 ottobre, data della strage di Hamas (1.200 morti 240 ostaggi) che ha rappresentato “uno squarcio profondo tra israeliani e palestinesi”, l’esercito israeliano ha attaccato cinque volte Gaza sotto assedio, i palestinesi uccisi sono stati 6.407.
Il libro di Albanese, secondo la filosofa Roberta De Monticelli, è “l’anima del diritto che si rivolge alla comunità, perché agisca affinché la legge non si appiattisca sulle ragioni del più forte, cioè non legittimi la guerra”. “J’ Accuse” è, secondo il presidente del Centro di Ateneo per i dirittiuUmani, Marco Mascia, “un fondamentale contributo alla verità, tanto più importante perché dà voce a chi non ce l’ha, i palestinesi”.
“La verità prima di tutto” è il titolo del primo capitolo di “J’Accuse”. Ed è quello che si prova a fare in quella sala gremita da oltre duecento persone di tutte le età. “Nonostante fuori di qui – annota De Monticelli - l’informazione alimenti una sorte di violenza epistemica affinché si ignorino i fatti, così da essere indotti a tacere. Violenza epistemica è anche corruzione del linguaggio, e spetta a noi ripulirlo dalle fuorvianti, spesso false, interpretazioni che fanno di ogni critica un atto di antisemitismo. Non giustifichiamo il 7 ottobre, come non giustifichiamo quello che Israele ha fatto prima ai palestinesi e quello che sta facendo ora a Gaza come vendetta”.
“Il diritto internazionale – afferma Francesca Albanese - non è un’opinione, è un obbligo, sancisce quello che si può fare, la politica, e quello che non si può fare”. Nei Territori occupati illegalmente dal 1967 da Israele vige un regime di apartheid, che si manifesta principalmente nel “dualismo legale, i palestinesi sono soggetti alla legge militare, i coloni al rito civile”, una sorta di licenzia di commettere reati, fino all’omicidio, impunemente. L’apartheid è un crimine, si verifica “quando atti inumani o disumani sono perpetrati nel contesto di un regime di oppressione e dominio istituzionalizzato”, e come tale è sanzionato dal diritto penale internazionale.
L’apartheid è: confinamento, controllo militare, privazione delle risorse, mare, terra, acqua, cibo, tutto in mano all’esercito di Israele, arresti di massa, un milione dal 1967, 13mila bambini in carcere dal 2010. L’apartheid è “la spina dorsale del colonialismo di insediamento di Israele nei territori occupati illegalmente, secondo tutte le risoluzioni dell’Onu, disattese dagli Stati, e dai governi italiani degli ultimi 30 anni almeno. Solo la fine dell’apartheid e del colonialismo, possono aprire lo spazio all’autodeterminazione del popolo palestinese e quindi alla pace”.
“Trentamila morti, quello che sta accadendo in questi mesi a Gaza, rasa al suolo dalle bombe e dai carri armati che non risparmiano nulla e nessuno, configura il crimine di genocidio, che la Corte Internazionale di Giustizia ha deciso di ammettere e approfondire respingendo il ricorso dei legali israeliani”.
Il professor Enzo Pace non nasconde il proprio pessimismo. Accusa Hamas di avere pesanti responsabilità sul fallimento dell’ipotesi dei ‘due popoli due Stati’ degli accordi di Oslo, oggi impossibile per l’involuzione di Israele da Stato laico a Stato etno-teocratico plasticamente rappresentato da due potenti e inquietanti personaggi del fondamentalismo messianico: il ministro della sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir e il ministro delle finanze Bezael Smotrich, con i quali “ogni ragionamento è impossibile”. Enzo Pace ha manifestato qualche dubbio sul termine “apartheid”: “Manca il requisito razziale. Preferisco il termine pulizia etnica”.
Marco Mascia si chiede “perché l’Occidente deve condannare l’invasione della Russia di Putin ma non Israele in Palestina? Perché le armi a Kiev e non ai palestinesi? Navalny è un eroe e Assange no? È ora di finirla con il doppio standard. Autodeterminazione, diritto all’esistenza, prevenzione del genocidio e identità culturale sono i diritti irrinunciabili del popolo palestinese. Quindi a Gaza deve operare un soggetto internazionale, secondo l’articolo 2 paragrafo 7 della Carta delle Nazioni Unite, che, ricordo, prevale sugli Stati membri”.
Il governo italiano deve scegliere se vuole stare dalla parte del diritto o dalla parte della guerra. Ora sta dalla parte della guerra. L’Unione europea ha perso la bussola, le elezioni continentali di giugno possono essere l’occasione per ritrovarla. Ma non con Ursula von der Leyen.