Paolo non sa darsi pace. Tiene per mano una sedia di plastica, quelle per anziani disabili che hanno incorporato il vaso per i loro bisogni e proprio non capisce quale “dual use” possano aver visto gli israeliani quando hanno respinto i pallet destinati a Gaza che le contenevano. Siamo ad Al Arish all’hub della Mezzaluna Rossa egiziana. Qui sono stipati, ancora impacchettati, i beni di prima necessità respinti dai controlli israeliani. Bombole di ossigeno, generatori, saponi per l’igiene, incubatrici, refrigeratori per le medicine, stampelle, perfino biscotti al cioccolato, evidentemente considerati beni voluttuari. Le insegne sono quelle delle principali ong internazionali e dei governi donatori. Quelli del governo del Brasile, tantissimi, ci appaiano subito una chiara ritorsione politica. Ma c’è anche un moderno generatore con lo stemma dell’Unione europea ed altre merci provenienti da quei paesi arabi con i quali Israele voleva fare “la pace di Abramo”.
Siamo qui con la carovana solidale organizzata da Aoi (Associazione delle Ong Italiane), da Assopace Palestina e da Arci. Una carovana di una cinquantina di persone composta da società civile, giornalisti e 14 parlamentari. Tra quest’ultimi una ex presidente della Camera e un ex ministro (Laura Boldrini e Andrea Orlando), due segretari nazionali di partito (Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni) e la coordinatrice dell’intergruppo per la pace in Palestina e Israele, Stefania Ascari (M5S). Tutti e 14 sono deputati dell’opposizione: l’appello a partecipare rivolto a quelli della maggioranza è caduto nel vuoto.
Avvicinarsi a Rafah significa farsi strada tra colonne di tir di aiuti umanitari bloccati da settimane. Quando scendiamo, gli autisti ci circondano disperati. Sono fermi sotto il sole del deserto del Sinai da settimane. Trasportano coperte, sacchi di farina, cibo in scatola, riso, tende da campeggio, casse d’acqua. Tutto ribolle per il caldo ma non ricevono l’ordine di muoversi. Nella rappresaglia collettiva scatenata da Israele dal 7 ottobre contro tutta la popolazione di Gaza, ci sono le bombe che stanno incenerendo la Striscia ma anche la fame e la sete a cui il governo Netanyahu ha deciso di condannare i civili.
Al valico di Rafah, sotto il sole ed una cappa di calore, ci viene incontro Scott Anderson, direttore Unrwa di Gaza. Viene dall’inferno e prova a descrivercelo. Sono ormai decine i bambini morti per denutrizione e disidratazione. Si beve acqua delle fogne o quella salata del mare. Le malattie gastrointestinali si stanno decuplicando e colpiscono in particolare bambine e bambine. Con l’avvicinarsi dell’estate si teme un’ecatombe umana di colera. L’escursione termica qui è forte e al caldo asfissiante del giorno si sostituisce il freddo pungente della notte. Le persone stanno sotto rifugi di fortuna, ammassate come sardine. Prima del 7 ottobre Rafah aveva 280 mila abitanti, ora, in un lembo di terra sempre più compresso, “ospita” un milione e 400mila esseri umani. C’è un bagno chimico ogni 600 persone (gli standard dell’Oms ne prevedono uno ogni venti), i pochi camion che passano rischiano di essere assaltati dalla gente affamata. Ormai si mangia ogni tre giorni e si sta consumando anche il cibo per animali.
L’Unrwa è nel mirino degli israeliani: è la spina dorsale della sopravvivenza dei palestinesi non solo a Gaza ma anche in Cisgiordania e nei campi profughi in Siria, Libano e Giordania. L’accusa di Tel Aviv: una dozzina di dipendenti, su oltre 13mila, che, a vario titolo, avrebbero partecipato alle azioni del 7 ottobre. Di prove nessuna traccia. L’Unrwa li ha licenziati e aperto un’inchiesta. Ad Israele non basta. L’obiettivo dichiarato è quella di estirparla da tutti i territori occupati. Che i palestinesi si arrangino, crepino di fame e rimangano senza istruzione, così almeno capiranno che se ne devono andare via, lasciare la loro terra “al popolo degli eletti”. Se non ce la fanno le bombe e i cecchini, possano farcela la fame, la sete, le malattie. Una vera strategia da pulizia etnica. Come nel genocidio dei popoli nativi delle Americhe. La solita mistura di suprematismo bianco e di colonialismo.
Il blocco dei finanziamenti all’Unrwa da parte di Usa, Giappone, Germania ed Italia è una vergogna senza limiti. Si delegittima l’Onu e si mette sotto i piedi il diritto internazionale. Si invocano iniziative di facciata come “Food for Gaza” del ministro Tajani, e contemporaneamente si fa collassare l’unica struttura in grado di garantire la sopravvivenza dei palestinesi. Noi carovana solidale siamo venuti a Rafah perché non possiamo voltarci dall’altra parte. Occorre agire. La raccolta fondi “Emergenza Gaza” di Aoi e quella “Acqua per Gaza” di Un Ponte Per sono solo una goccia in un mare di disperazione, ma sono anche il segno dell’esistenza di un’Italia solidale. Occorre aumentare la pressione sul governo italiano e su quelli della Ue affinché si spendano sul serio per il cessate il fuoco immediato, sanzionino Israele, blocchino il commercio delle armi e riconoscano lo Stato di Palestina. Occorre fare presto prima che avvenga l’irreparabile.