Il manifesto, Carta (di cui è stato tra i fondatori) e Comune (www.comune-info.net): Marco Calabria, scomparso a Roma l’8 febbraio per un malore a 65 anni, ha vissuto esperienze di giornalismo militante per quasi cinquant’anni, dopo il tempo delle lotte studentesche e delle iniziative sulla poesia (portate avanti, tra gli altri, con Roberto Roversi e Maurizio Maldini).
Nel 1982, insieme a Michele Melillo e Gianni Riotta, curò la prima edizione de “Le interviste del manifesto”, stampato nel gennaio 1983 per gli abbonati del quotidiano (negli anni scorsi, il manifesto ne ha distribuito una seconda edizione). L’introduzione della prima edizione era di Rossana Rossanda: su Comune (“Le interviste, il manifesto e il mondo”) è possibile leggere alcune righe scritte da Marco Calabria dedicate a Rossanda.
Come presidente della cooperativa Carta, dal 1998 al 2010, ha riservato molte attenzioni anche in difesa del pluralismo e della libertà d’informazione insieme a tante altre esperienze editoriali. Nel 2004 ha curato con grande rigore la pubblicazione di “Cambiare il mondo senza prendere il potere” di John Holloway (Carta/Intra Moenia edizioni), libro che in diversi paesi del mondo ha aperto una straordinaria discussione sul significato della rivoluzione oggi.
Ecco un bel ricordo di Marco Calabria, scritto da Rosa Mordenti: “Com’era bello quando Marco, nella redazione di Carta, mi passava i pezzi, lentissimamente, utilizzando la freccetta e non il mouse per scorrere le pagine – cosa che a me faceva molto ridere, magari c’era da sbrigarsi ma a lui non fregava niente, ha sempre avuto con il tempo un rapporto strano – prendendomi molto per il culo e fumando, io in attesa in piedi accanto a lui perché al suo giudizio ci tenevo tanto. Perché Marco scriveva da dio, era preso a Carta da mille altre cose ma quando scriveva lo faceva per ciò che amava, articolesse (diceva Gigi) lunghe e bellissime sul Cile, il Messico, l’Argentina, la Grecia, oppure traduceva i pezzi dei suoi amici latinoamericani che glieli mandavano da molto lontano e che lo amavano.
Marco non andava mai dritto, non era mai rapido, non parlava mai poco – i suoi silenzi erano il segno di dubbi, incomprensioni, pensieri. Stava a lungo sulle cose e dentro le cose, un po’ scomodo, le guardava da sotto di lato da vicino, ci tornava sopra e questo ci esasperava a volte. Non andava dritto, girava in tondo, ma era il suo modo di stare al mondo e adesso penso che era un modo complicato, che lo ha stancato troppo. Forse avrebbe voluto insegnarci, a noi che abbiamo lavorato insieme a lui e imparato da lui in quegli anni, a fare lo stesso.
Siccome parlava tanto, ma sapeva ascoltare, i dialoghi con lui non finivano mai. Qualunque fosse l’argomento – i guai del giornale, il giornale, le nostre vicende personali, le sue, il nostro modo di lavorare – avevo sempre la sensazione e ce l’ho adesso, fortissima e dolorosa, che ancora ci fosse tra noi molto da dire, da raccontare, da spiegare. Un cumulo di non detti e di cose da fare che resterà lì, come le montagne di carte e libri sulla sua scrivania incasinatissima.
Però il suo sguardo su di noi era lungo, affettuoso e complice, mai distratto, mai superficiale anzi profondo, e nonostante i casini e nel disastro della fine di Carta ci ha voluto molto bene e noi ne abbiamo voluto a lui. Io so che lo sapeva, sapeva anche quanto ci ha insegnato e che ci sono stati giorni felici e allegri, e adesso mi ripeto e spero che questo sia importante”.