L'introduzione all’iniziativa del 22 febbraio scorso a Milano, promossa da Lavoro Società Filcams nazionale e Cgil Milano.
Il conflitto israelo-palestinese ha radici lontane, profonde e complesse. È un conflitto che dura da più un secolo. Non si può cedere a semplificazioni. Perciò mi limiterò a dire che la “storia” non inizia il 7 ottobre 2023 e che l’espansione degli insediamenti israeliani e l’occupazione della Cisgiordania, che ha sfrattato ingiustamente i palestinesi dalle loro case, ha favorito le disuguaglianze, ha privato i palestinesi dei loro diritti economici e sociali, ed ha creato una frammentazione territoriale che rende più difficile il raggiungimento di una soluzione a due Stati. Il segretario generale dell’Onu, Guterres, è finito sotto accusa da parte del ministro degli esteri israeliano dopo averlo affermato.
L’attacco compiuto da Hamas il 7 ottobre contro la popolazione israeliana, contro donne, bambini e anziani, è un atto ignobile. Non può essere giustificato il brutale massacro di oltre 1.200 persone e il rapimento di circa 240 civili, tra cui più di 30 bambini e 24 lavoratori immigrati dalla Thailandia.
La reazione del governo israeliano contro la popolazione palestinese è stata sproporzionata e indiscriminata. L’aggressione di Hamas è stata usata come scusa per ogni barbarie, più di un milione di abitanti di Gaza sfollati, più di 28mila persone, tra cui donne anziani e bambini, uccisi, migliaia di feriti. L’esercito israeliano ha raso al suolo case, ospedali, scuole e infrastrutture.
Siamo difronte ad un vero crimine contro l’umanità, il cui obiettivo è quello di rendere impossibile la vita a Gaza. Urge una soluzione politica all’odio e alla violenza, ma la tragedia, la perdita di vite umane e il caos del momento attuale sono un appello urgente alla comunità internazionale, compresa la società civile, affinché dia priorità alla riconciliazione, alla pace e ad un percorso verso una soluzione.
In un momento in cui le emozioni sono forti e la retorica è amplificata dai politici e dai canali dei social media, è importante riconoscere che il sostegno ai diritti e all’autodeterminazione dei palestinesi non è antisemita. Allo stesso tempo, l’antisemitismo e l’islamofobia sono in aumento; nessuno dei due sentimenti può essere accettato o lasciato trionfare.
I tribunali sono le sedi in cui i crimini di guerra devono essere perseguiti, non il campo di battaglia. Tutte le parti in conflitto hanno l’obbligo legale di sostenere il diritto umanitario internazionale e i diritti umani, compresi i diritti dei bambini e delle donne. Si stima che i bambini rappresentino il 40% di tutti i morti a Gaza dall’inizio della guerra.
L’abuso sessuale sul corpo delle donne è un’aberrante costante storica in tutti gli scenari di guerra sin dai tempi più antichi, da parte di uomini di qualsiasi origine e religione. Le donne sono le più esposte al rischio di sfruttamento e di violenza di genere e non vi è alcuna parte di mondo, purtroppo che non la usi.
Che fare? La sorprendente mobilitazione popolare che ha attraversato le capitali europee a sostegno del popolo palestinese ha rotto la semplificazione dominante che vede l’equazione palestinesi-Hamas-Isis costruita dalla narrazione israeliana e occidentale, così come la riduzione della resistenza palestinese a solo fenomeno terrorista. Ha aperto un varco di speranza. Un varco che però va riempito con una proposta politica in grado di mobilitare ancora.
Il mondo del lavoro può levare la sua voce di indignazione e praticare azioni concrete in supporto e in difesa dei civili palestinesi, per ottenere il cessare il fuoco e per fermare la mattanza. Il lavoro organizzato, in un’ottica internazionalista, di giustizia globale e di rispetto dei diritti umani, può e deve mobilitarsi per dire no al massacro.
Il 16 ottobre 2023, facendo anche riferimento agli arresti e alla detenzione amministrativa subiti da molti lavoratori palestinesi in Israele, sindacati, lavoratrici e lavoratori palestinesi hanno lanciato un appello globale di solidarietà per allargare e intensificare la mobilitazione contro l’invio di armi a Israele. Le risposte non hanno tardato ad arrivare.
I sindacati indiani si sono pronunciati contro un nuovo accordo per la fornitura di manodopera come forma di ostilità al genocidio in corso. Hanno denunciato l’ipersfruttamento del popolo palestinese colonizzato che è funzionale allo sfruttamento normalizzato di altri lavoratori migranti, e per questo hanno affermato che la manodopera indiana andrebbe a coprire le posizioni maggiormente subalterne all’interno dell’economia israeliana.
Unison, il sindacato dei servizi pubblici britannici, in un comunicato ha chiesto un immediato cessate il fuoco, facendo riferimento al crescente numero di morti causato dai bombardamenti israeliani e al collasso dei servizi vitali a Gaza (come quelli sanitari), chiedendo al contempo il rilascio degli ostaggi rapiti da Hamas, nonché mostrando preoccupazione per la crescita di islamofobia e antisemitismo.
Sempre dal Regno Unito, Iwgb, sindacato di base molto attivo nel promuovere le lotte dei lavoratori migranti nei settori a bassi salari e basse tutele come i servizi esternalizzati e la gig economy, in un comunicato del 31 ottobre ha condannato duramente l’azione militare, chiedendo la fine dell’occupazione e ricordando come la lotta del popolo palestinese per la propria autodeterminazione sia una “lotta anti-coloniale e anti-apartheid, e come tale è supportata da milioni di lavoratori di tutte le fedi e di ogni provenienza, incluse comunità ebraiche e musulmane, in giro per il mondo”.
Iwgb ha espresso il proprio supporto per: a) campagne nei posti di lavoro a favore delle iniziative di boicottaggio di Israele e delle aziende internazionali direttamente coinvolte nella violazione dei diritti palestinesi; b) il sostegno a iniziative per prevenire la costruzione e il trasporto di armi dirette a Israele; c) campagne di pressione sul governo britannico affinché interrompa la collaborazione militare con Tel Aviv.
Adcu (App Drivers and Couriers Union), sindacato che si occupa della tutela dei lavoratori della gig economy – in concomitanza con la manifestazione nazionale di solidarietà con la Palestina – ha promosso un log-off di massa tra le 12 e le 14 per consentire a fattorini e autisti di Uber, Deliveroo e Just Eat di unirsi alla protesta. Il tema è stato molto sentito da questi lavoratori, molti dei quali vengono da aree del pianeta segnate da guerre e conflitti e pertanto sono stati propensi ad empatizzare con le sofferenze del popolo palestinese ed a partecipare a mobilitazioni per la pace e il rispetto dei diritti umani.
Anche i sindacati belgi dei trasporti hanno preso posizione in maniera forte, invitando i lavoratori degli aeroporti a non gestire alcun volo che trasporti materiale militare nella zona del conflitto. Allo stesso modo si sono mossi molti scali portuali quali Genova, Barcellona e Sidney.
Negli Stati Uniti, il sindacato del settore automobilistico – recentemente protagonista di significativi scioperi che hanno scosso il settore a partire da importanti rivendicazioni salariali – si è espresso per il cessate il fuoco.
In Norvegia c’è stato un importante dibattito parlamentare attorno al riconoscimento dello Stato palestinese. Sia Lo (Confederazione Norvegese dei Sindacati) che Fellesforbundet (Federazione Unita dei Sindacati, che rappresenta lavoratrici e lavoratori del settore privato, affiliata a Lo) hanno esercitato rilevanti pressioni sul Partito Laburista.
In Italia, la Cgil ha dato subito mandato a tutte le strutture dell’organizzazione a costruire e promuovere iniziative sui territori a favore di un immediato cessate il fuoco. È parte integrante di percorsi collettivi che promuovono la ricostruzione di un dialogo di pace, opponendosi ad ogni tipo di violenze e di massacri. È impegnata in una raccolta fondi straordinaria per l’invio di aiuti umanitari alla popolazione di Gaza. Ma c’è tanto da fare. Il mondo del lavoro organizzato può fare di più, attraverso pratiche e strumenti diversi può dire la sua contro la guerra, per la pace e per l’autodeterminazione dei popoli.
Il nostro obbiettivo è fermare una guerra che, se prosegue nel mito della vittoria di una delle due parti, come abbiamo visto per l’Ucraina e la Russia, può portare davvero alla catastrofe. C'è bisogno di un pacifismo critico e concreto, capace di fare leva su tutte le forze in campo. La Cgil in questo processo deve esserci, ed essere promotrice dello smantellamento di quella economia di guerra che affama le classi popolari e arricchisce pochi.
La sicurezza per tutti e tutte richiede che la comunità globale si assuma la responsabilità morale di sostenere i diritti umani di tutte le persone, individuare e attuare soluzioni politiche giuste e rifiutare la forza militare. La guerra è un attacco ai diritti delle generazioni presenti e future. Lo sviluppo non può avvenire in mezzo alla guerra e la pace non è sostenibile senza giustizia. Dobbiamo dare valore alla vita di tutti equamente.
Per questo chiediamo la fine della guerra a Gaza e in Israele, a partire da un immediato cessate il fuoco umanitario, il rilascio immediato e incondizionato di tutti gli ostaggi presi da Hamas, la creazione di corridoi umanitari a Gaza, l’evacuazione immediata dei feriti gravi da Gaza verso strutture dove possano ricevere le cure mediche necessarie, la fine del blocco di Gaza e una rigorosa osservanza del diritto umanitario internazionale e rispetto dei diritti umani di ogni persona a Gaza, in Cisgiordania e in Israele, compreso il diritto di vivere in un ambiente sicuro, libero dal bisogno o dalla paura, con pieno accesso a cibo, acqua, istruzione e assistenza sanitaria.
Ci aspettano due date importantissime: il 25 Aprile e il Primo Maggio. Le nostre parole d’ordine saranno Pace, Lavoro e Giustizia sociale!