Era il 21 aprile dello scorso anno quando le lavoratrici ed i lavoratori del settore del legno, sughero, mobile, arredamento e boschivi e forestali sono scesi in sciopero per rivendicare il proprio contratto collettivo. Le trattative si erano bloccate a fronte del tentativo delle associazioni datoriali di smentire il modello contrattuale che, dal 2016, prevedeva una “doppia pista salariale”: quella dell’incremento salariale, e quella dell’adeguamento, scaglionato anno per anno, del salario all’indice Ipca non depurato dei costi energetici.
Un modello, occorre ricordarlo, sostenuto anche dalle associazioni datoriali quando l’inflazione era pressoché zero; smentito dalle stesse quando l’inflazione (e quindi l’Ipca) ha raggiunto le percentuali che tutti conosciamo, a fronte delle crisi internazionali e delle ripercussioni e speculazioni sulle materie prime e sui costi dell’energia in primis.
La grande partecipazione delle lavoratrici e dei lavoratori allo sciopero e alle manifestazioni regionali, in una fase in cui il settore verificava e verifica un trend in forte crescita, in un comparto particolarmente significativo nella filiera del Made in Italy, costrinse le associazioni datoriali alla firma, seppur con diversi “mal di pancia” di molte imprese, e associazioni datoriali di altri settori che tentarono addirittura di smentire l’ufficialità delle certificazioni prodotte dall’Istat sull’andamento inflazionistico.
A favorire un miglioramento evidente dei rapporti di forza ha pesato il profondo senso di ingiustizia percepito da operai, impiegati, tecnici, designer, quadri, rispetto alla scelta iniziale di Federlegno di non riconoscere più, per il triennio 2023-2025, il modello in vigore dal 2016, mangiandosi di fatto l’inflazione del 2022.
A questo clima nelle fabbriche e negli uffici si sono aggiunti poi i risultati economici di un settore che, dopo la pandemia, ha visto registrare, nel 2021 e nel 2022, profitti e una crescita di fatturati senza precedenti. Sia verso l’estero, conquistando ulteriori fette di mercato in Cina, negli Stati Uniti e nei paesi arabi, sia nel mercato interno, anche a seguito della ripresa delle costruzioni. Ovviamente i primi ad accorgersene sono state le lavoratrici e i lavoratori, con un significativo aumento dell’orario di fatto e dell’uso degli impianti.
Quando Federlegno ha rotto il tavolo del rinnovo, a febbraio 2023, di fronte a un indicatore Ipca che registrava un +8,7%, la mobilitazione è stata vasta e partecipata. Per mesi le lavoratrici e i lavoratori hanno sostenuto il blocco delle flessibilità e degli straordinari con una forza e un’unità che non vedevamo da tempo. E poi, durante le giornate del Salone del Mobile, il grande sciopero del 21 aprile: fabbriche e uffici vuoti, piazze e manifestazioni piene.
Ora, in applicazione del Ccnl siglato nel giugno scorso, quel doppio binario, per la parte del recupero dell’inflazione per l’anno 2023, stabilisce che i 200mila addetti, a partire dal primo gennaio 2024, avranno un incremento sui minimi tabellari pari al valore indice Ipca certificato, stante che l’Istat rileva un parametro pari al 5,9%. Per comprendere si tratta, al livello di addensamento medio dei lavoratori, di un aumento di circa 124 euro, che si somma evidentemente ai 143,80 euro già erogati a luglio 2023 come previsto dal Ccnl.
A gennaio 2025, a fronte dell’annuale verifica dell’indice, ci sarà eventualmente un nuovo adeguamento salariale, all'interno di un modello contrattuale da difendere e da estendere, perché per una volta i costi dell’inflazione e delle speculazioni non vengono scaricati su lavoratrici e lavoratori. Di questi tempi non è poco.