“La nostra libertà non sarà completa finché non avremo anche la Pace in Palestina” (Nelson Mandela).
Nel 1993 il leader palestinese Yasser Arafat e quello israeliano Yitzhak Rabin firmarono, con la garanzia degli Stati Uniti d’America guidati allora da Bill Clinton, gli accordi di Oslo, per mettere fine al conflitto più lungo della storia moderna: il conflitto Israeliano-Palestinese. Le speranze erano tante e molti hanno creduto nella possibile pace, che, tuttavia, a distanza di trent’anni esatti, non si è realizzata. L’ingiustizia regna sovrana, e la situazione umanitaria del popolo palestinese è peggiorata da diversi punti di vista.
Gli accordi prevedevano un periodo di transizione di cinque anni, successivamente era stata garantita la nascita dello Stato palestinese, che, in base al diritto e alla legislazione internazionale, doveva essere riconosciuto dalla stessa comunità internazionale, cosa che purtroppo non è avvenuta.
Noi Palestinesi sin dall’inizio abbiamo creduto a questi accordi, convinti di arrivare alla pace, e ancora oggi il presidente Abu Mazen continua a rivendicare i nostri diritti, chiedendo al mondo intero il rispetto degli accordi, senza però essere ascoltato.
L’attuale governo israeliano ha adottato la politica dei “fatti compiuti”, utilizzando la forza per mettere fine, di fatto, non solo agli accordi di Oslo, bensì ad ogni soluzione politica del conflitto, come, per esempio, la politica del sequestro della terra palestinese, per impedire ogni forma di continuità territoriale per il nostro Stato.
Alcuni dati devono fare riflettere: nel lontano ‘93 erano presenti nei territori palestinesi 144 insediamenti illegali nei quali vivevano 155mila coloni israeliani. Oggi sono 550 gli insediamenti costruiti nella terra palestinese, e sono circa 700mila i coloni che vi abitano, armati e protetti dall’esercito israeliano. Questi insediamenti occupano 600mila ettari di terra e rappresentano il 12% del territorio dove doveva nascere il nostro Stato (fonte Anp).
In carcere sono attualmente 5200 palestinesi, di cui 170 bambini. Solo nel 2023 Israele ha incarcerato cinquemila cittadini, di cui 83 sono donne e 2350 detenzioni amministrative, senza capo di accusa né processo (fonte fondazione dei detenuti palestinesi).
La politica della deportazione di quartieri interi è stata portata avanti a Gerusalemme, nella Valle del Giordano, causando la deportazione di decine e decine di famiglie per creare posto ai coloni e svuotare il territorio (fonte Ong).
La grande politica del terrore ha causato, solo nell’anno corrente, l’uccisione di 240 cittadini palestinesi, nel 2022 sono stati 248 i palestinesi morti e oltre 9335 i feriti, tra cui alcuni giornalisti, come l’inviata di Al Jazera, Abu Aqla (Fonte ordine dei giornalisti palestinesi). Come dichiarato da Save The Children sono 38 i bambini palestinesi uccisi nel 2023. La continua demolizione delle case palestinesi ha portato a oltre 833 gli immobili palestinesi distrutti.
Tutti questi dati mostrano principalmente che la politica dei “due pesi e due misure”, sostenuta della comunità internazionale, non favorisce lo sviluppo della creazione di uno Stato palestinese.
Anni di lotta, sacrifici, distruzione e sangue rappresentano ancora il futuro del popolo palestinese, che, invece, è alla ricerca della pace, non come segno di rassegnazione, ma come una vittoria segnata dalla luce della rinascita sociale, politica e umanitaria, non solo di quel popolo, ma del mondo stesso. Come disse Nelson Mandela, “la nostra libertà non sarà completa finché non avremo anche la Pace in Palestina”.