Compromesso storico alla thailandese - di Giovanni Monaci

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Torna al governo, con i militari, il partito di Shinawatra, che rientra dall’esilio e viene amnistiato.

Dopo cento giorni dalle elezioni del 14 maggio, il parlamento thailandese ha eletto il nuovo primo ministro. Con 482 voti favorevoli (compresi quelli di 152 senatori), 165 contrari e 81 astenuti, Srettha Thavisin, candidato del Pheu Thai, partito della famiglia Shinawatra, ha superato la soglia necessaria di 376 seggi

La sua nomina è stata approvata dal re Maha Vajiralongkorn, che ha spianato la strada alla formazione del nuovo governo. Un governo che non rispetta quel “cambiamento” votato dalla maggioranza relativa dei thailandesi, che alle urne avevano premiato con il maggior numero di seggi alla camera bassa (151) il Move Forward, la formazione politica più progressista e radicale del paese. 

A guidare il nuovo esecutivo sarà invece il Pheu Thai, arrivato secondo alle elezioni (141 seggi). In una svolta tanto brusca quanto annunciata, a inizio agosto il partito fondato da Thaksin Shinawatra – soprannominato il “Berlusconi della Thailandia” -ha abbandonato la coalizione con il Move Forward e dato il via a una serie di negoziati per formare un’alleanza con le forze politiche legate all’establishment monarchico, conservatore e filo-militare.

Di fatto, il Pheu Thai ha stretto accordi con quelli che fino al 14 maggio scorso erano i suoi più acerrimi nemici. Nel corso degli ultimi vent’anni il partito dei Shinawatra è stato estromesso dal potere due volte a seguito di colpi di Stato dell’esercito (2006 e 2014), e i suoi leader sono stati condannati per corruzione e abuso di potere dai tribunali legati ai militari.

Non è un caso però che il giorno della nomina di Srettha Thavisin a premier sia stato anche quello del ritorno di Thaksin Shinawatra in Thailandia, dopo quindici anni. Il fondatore del Pheu Thai si trovava in esilio auto-imposto dal 2006 (salvo un breve rientro nel 2008), ovvero da dopo il colpo di Stato che lo aveva estromesso dal potere, a cui erano seguite le condanne a un totale di dodici anni di carcere, che Shinawatra ha sempre dichiarato essere legate a motivazioni politiche. Il suo rientro in patria è certamente frutto dell’accordo con i militari, ex acerrimi nemici, e al perdono reale, che gli ha consentito una sostanziale riduzione della pena, da scontare a domicilio o, per ora, in ospedale, per problemi di salute. Tutto pur di mandare il Move Forward all’opposizione.

La coalizione di governo comprende undici partiti, tra cui buona parte del governo uscente guidato dall’ex generale golpista Prayut Chan-o-cha. L’alleanza che sostiene Srettha comprende infatti il Bhumjaithai (Bjt) dell’ex ministro della Sanità Anutin Charnvirakul e i due partiti dei militari, il Palang Pracharat (Pprp) dell’altro generale golpista Prawit Wongsuwon e lo United Thai Nation (Utn) del premier uscente Prayut.

Il capovolgimento di quanto promesso prima delle elezioni, quando il Pheu Thai aveva escluso un’alleanza con i militari, è ora giustificato dalla presunta mancanza di alternative, dato che, secondo i seguaci di Shinawatra, il senato (nominato dai militari) avrebbe impedito la formazione di qualunque coalizione comprendente il Move Forward. Per formare un esecutivo bisognava dunque arrendersi al compromesso con le forze conservatrici in nome della “riconciliazione nazionale”.

Membro di una famiglia dell’élite thailandese, il primo ministro Thavisin, 61 anni, ha studiato negli Stati Uniti economia e finanza, e, una volta tornato in Thailandia negli anni ’90, è diventato presidente di Sansiri, azienda di famiglia divenuta una delle più grandi società del settore dell’immobiliare thailandese. Il nuovo primo ministro non ha esperienza politica, né una base di sostegno forte sia dentro il partito che nell’elettorato. Questo rende Thavisin un primo ministro molto più debole dei suoi predecessori eletti con il partito dei Shinawatra, arrivati sulla poltrona con enormi mandati popolari.

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