C’è un gran parlare in questo periodo di manodopera che manca, di difficoltà degli imprenditori a trovare il personale necessario. Eppure da parecchi anni ogni governo che si è succeduto ha approvato qualche norma per “riformare” il mercato del lavoro, per renderlo più fluido, per liberarlo da restrizioni e vincoli, con lo scopo di migliorare l’incontro tra domanda e offerta di occupazione.
Dovevamo rinunciare all’idea di un unico posto di lavoro per l’intera vita lavorativa, dovevamo professionalizzarci, formarci e aggiornarci in continuazione, abituarci a dover cambiare lavoro a seconda dell’esigenza del mercato. In cambio avremmo avuto lavori migliori, minori tempi di non lavoro e un sistema di ammortizzatori sociali che ci avrebbe sostenuto per gli eventuali periodi di difficoltà. Le regole del mercato, domanda e offerta e qualche ammortizzatore sociale, sarebbero stati sufficienti a far funzionare bene tutto.
A quanto pare però il mercato del lavoro non è mai abbastanza flessibile e, soprattutto, il costo del lavoro non è mai abbastanza basso, così si diffondono sempre più gli appalti. Le aziende esternalizzano pezzi di produzione ad altre aziende, spesso cooperative, che frequentemente applicano contratti collettivi nazionali con retribuzioni diverse e inferiori rispetto al personale dell’azienda committente, in ogni caso con condizioni di lavoro peggiori.
È quanto succede alla Spreafico spa, con l’ennesimo cambio di appalto. Spreafico è un’importante azienda della filiera ortofrutticola italiana, con otto stabilimenti in Italia che lavorano e distribuiscono sul mercato ben 300mila tonnellate di frutta e verdura ogni anno, come spiega il sito web dell’azienda. Quello che il sito dell’azienda non spiega è con quale lavoro questo risultato viene raggiunto. Nello stabilimento veronese si lavorano e si preparano per la vendita frutti di bosco e piccoli frutti. Nonostante i grandi risultati vantati dall’azienda sul sito web, questi non sono sufficienti a far pagare dignitosamente chi, quotidianamente, con la sua fatica contribuisce al risultato aziendale.
I lavoratori e le lavoratrici dello stabilimento veronese di Spreafico lavorano per un’azienda diversa, a cui è stata appaltata la produzione. Le condizioni imposte dalla committente alle aziende appaltatrici sono evidentemente insufficienti a garantire marginalità e retribuzioni corrette. Così nell’arco di due anni si è arrivati al terzo cambio di appalto. L’ultima ditta, constatando di non essere in grado di garantire il trattamento previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro previsto per questo settore (ortofrutta e agrumario), ha abbandonato l’appalto dopo otto mesi, la precedente era durata tre mesi, la precedente ancora poco più di un anno.
L’arrivo dell’ennesima ditta appaltatrice, che imponeva l’applicazione di un diverso contratto collettivo (multiservizi) che prevede retribuzioni inferiori ed una maggiore flessibilità delle condizioni di lavoro, ha fatto scatenare la reazione dei lavoratori e delle lavoratrici, che hanno incrociato le braccia. Sono scesi in sciopero per tre giorni, hanno organizzato presidi davanti l’azienda per chiedere il mantenimento del contratto collettivo già applicato e coerente con la lavorazione effettuata: cernita e lavorazione di frutta. Inutilmente.
Constatata l’impossibilità di ottenere quanto richiesto, oltre la metà delle persone interessate dal cambio d’appalto hanno deciso di non accettare le nuove condizioni e di cambiare occupazione. In questo periodo nel veronese le offerte di posti di lavoro non mancano, e questo ha consentito loro di poter scegliere occasioni di lavoro migliori di quelle offerte.
Come sempre accade, però, ci rimettono i più fragili. Le persone coinvolte sono quasi tutte di origine straniera, molte delle quali donne. Chi non ha potuto scegliere, perché abita vicino, ha figli piccoli e magari non ha l’auto per spostarsi, è stato costretto ad accettare le nuove condizioni imposte, solo di poco migliorate con qualche riconoscimento economico dovuto alla mobilitazione effettuata.
Attraverso il sistema degli appalti le aziende massimizzano i profitti, senza dover farsi carico di alcuna responsabilità nei confronti dei lavoratori e delle lavoratrici. I continui cambi di appalto, inoltre, finiscono con il vanificare il lavoro sindacale, rimettendo in discussione ogni risultato raggiunto.
La lotta contro la precarietà del lavoro, per il riconoscimento di un lavoro dignitoso, rispettoso delle persone, oggi passa anche dal contrasto al sistema degli appalti.