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Le tre manifestazioni interregionali indette da Cgil Cisl Uil a Bologna (6 maggio), Milano (13 maggio) e Napoli (20 maggio), precedute e accompagnate da una campagna di assemblee nei posti di lavoro e nei territori, sono l’inizio di una mobilitazione che deve durare nel tempo per portare risultati concreti e tangibili. Lo sciopero generale – possibilmente unitario, ma comunque nella chiara volontà della Cgil – ne sarà una tappa significativa.
Questa mobilitazione si svolge in un contesto drammatico: la guerra in Europa, con i crescenti rischi di un’escalation dagli esiti inimmaginabili; e in Italia un governo a guida postfascista con chiari programmi reazionari di radicalizzazione antipopolare e classista delle politiche neoliberiste già propugnate nell’ultimo trentennio. E’ il governo dell’odio contro i poveri, i migranti, il lavoro dipendente, il Mezzogiorno, i diritti sociali e civili.
Chiara è la piattaforma politico-programmatica di coerente applicazione della Costituzione uscita dal Congresso della Cgil, e che in buona misura si ritrova nella piattaforma alla base della mobilitazione unitaria.
Oggi vanno costruite le condizioni per un’ampia e consapevole partecipazione alle nostre mobilitazioni e iniziative di lotta. Si riparta dal riscatto sociale, dal dare parola a quel popolo da anni senza voce e rappresentanza politica.
La nostra mobilitazione generale nel paese deve intrecciarsi con l’azione contrattuale nazionale, territoriale e sociale, mettendo al centro il diritto al lavoro e la sua qualità, l’aumento del salario - e non suoi surrogati - e la riduzione e il controllo degli orari di lavoro, nonché la condizione lavorativa. Il diritto alla salute e all’istruzione pubblica, a una previdenza pubblica rinnovata, uno stato sociale innovato rispetto all’invecchiamento della popolazione, un sistema pensionistico che garantisca per oggi e per domani pensioni da lavoro dignitose, e le rivalutazioni di quelle in essere.
Rimettiamo al centro idee forza come “lavorare meno per lavorare tutti”, per ridistribuire il lavoro e affermare la qualità della vita, e “pagare meno per pagare tutti” per sconfiggere l’evasione, imporre la progressività della tassazione, anche su rendite e patrimoni, e recuperare risorse per lo Stato sociale e i beni pubblici.
Dobbiamo difendere, ripristinare, ampliare il diritto primario alla salute e allo studio, i diritti universali sociali e civili. Riaffermare ed esercitare il valore del conflitto come strumento della democrazia e leva del cambiamento.
Insieme a questi obiettivi devono essere poste e affrontate la questione democratica, la difesa degli assetti istituzionali, dell’unità e della coesione del paese. C’è un disprezzo verso la democrazia parlamentare e rappresentativa che si evidenzia anche con la proposta divisiva di autonomia differenziata, accompagnata da quel presidenzialismo accentratore e autoritario che è obiettivo da sempre della destra politica. Si vuole la secessione dei ricchi, isolare ancor di più il Sud del paese e rompere la coesione sociale. Un programma eversivo e pericoloso che la Cgil contrasta con fermezza.
La stessa Costituzione, repubblicana e antifascista, è ribellione, opposizione al potere, coscienza collettiva, lotta per il cambiamento. La difesa della democrazia e della Repubblica fondata sul lavoro, la costruzione di un mondo multipolare basato sulla coesistenza pacifica, il rifiuto della guerra, la centralità della questione ambientale per un modello economico e sociale ecosostenibile, sono i pilastri dell’azione della Cgil, a livello confederale e di categoria.
In questo quadro e per contribuire a queste battaglie, nel corso della prima riunione dell’Assemblea generale Cgil dopo il congresso, abbiamo confermato la continuità dell’aggregazione programmatica di sinistra sindacale nella maggioranza congressuale “Lavoro Società per una Cgil unita e plurale”. Una sinistra sindacale confederale non semplicemente custode della memoria, ma che riafferma la validità della lotta di classe come strumento per l’azione, il socialismo come utopia del possibile, l’abolizione dello sfruttamento degli esseri umani tra loro, l’unità di classe del mondo del lavoro di ieri e di oggi, di chi lavora in tutti i settori, con qualsiasi contratto o qualifica e senza alcuna distinzione di genere, di etnia o religione, come essenza della confederalità, come prospettiva dell’intero movimento sindacale.
E allora, ancora una volta, al lavoro e alla lotta!
Nella terza guerra mondiale a pezzi - lucida definizione di Papa Francesco a nome della più antica organizzazione di massa esistente, per fotografare questi primi decenni del nuovo secolo - loro sono quelli che non si arrendono alla logica delle armi. Quelli che organizzano le Carovane della pace per alleviare le sofferenze dei popoli costretti a vivere sotto le bombe. Sono le organizzazioni di cooperazione e solidarietà internazionale, riunite nell’Aoi, di cui Silvia Stilli è portavoce. Lei si è fatta le ossa nei movimenti per la pace degli anni ‘80, ha una ventennale esperienza di volontariato, aiuto umanitario e cooperazione internazionale nel mondo del no profit, iniziata in Italia nel Cospe seguendo progetti di educazione allo sviluppo e campagne di solidarietà. Da sei anni Silvia Stilli è anche direttrice di Arcs, costola dell’Arci, e la puoi trovare ovunque ci sia bisogno di aiuti umanitari.
L’ultima Carovana della pace è appena tornata in Italia dall’Ucraina, cosa vi siete trovati davanti dopo un anno di guerra?
“È stato un viaggio lunghissimo. Siamo partiti da Padova, una trentina di pulmini provenienti da tutta Italia, persone di ogni età, famiglie, singoli cittadini, attivisti, tante, tantissime associazioni della rete Stopthewarnow. Abbiamo attraversato la Slovenia e l’Ungheria, ci siamo fermati a dormire al confine e poi siamo entrati in Ucraina. Chilometri su chilometri per arrivare ad Odessa, dove ci aspettava la delegazione della Cgil, e anche don Tonio Dell’Olio e don Sacco di Pax Christi, per arrivare poi fino a Mykolaiv. Da testimone diretta, posso dirti che dal punto di vista militare la guerra è in una situazione di stallo. Ma la popolazione civile sta soffrendo molto, il primo problema è l’energia elettrica, il secondo la mancanza di acqua potabile. Non per caso abbiamo portato con noi generatori e dissalatori. Gli attacchi con i missili hanno compromesso le reti idriche e quelle elettriche. La popolazione ha cercato di far fronte all’emergenza con rimedi di fortuna, trasportando carichi d’acqua in bottiglia su bus di linea, ma è evidente che in molte zone questa soluzione non poteva funzionare”.
Dissalatori per l’acqua e generatori per l’elettricità. Di cosa altro hanno bisogno le popolazioni investite dalla follia della guerra?
“Loro non vogliono vestiti e medicine, hanno bisogno soprattutto di aiuti alimentari. Abbiamo portato tanti di questi generi di prima necessità, che sono stati distribuiti sia attraverso il Centro ecumenico evangelico, che spostandoci durante il giorno nei quartieri di periferia, i più bombardati. Ormai le scuole sono definitivamente chiuse, non c’è nemmeno la possibilità di fare la formazione a distanza, a causa della mancanza di energia elettrica. Hanno riconvertito gli istituti scolastici in una sorta di centri sociali, per evitare che i bambini restassero in mezzo alla strada. Ma certo i più giovani stanno perdendo anni di istruzione e anche di socialità. Quando siamo arrivati avevamo istallato delle app che ci segnalavano le situazioni di pericolo. Appena ripartiti è stato bombardato il porto di Odessa, penso lo abbiate letto sui giornali. Questa guerra è quasi fantascientifica, vengono utilizzati droni comandati a distanza. Invece a quaranta chilometri da Mykolaiv c’è la linea del fronte, quella di Kherson, dove lo scontro è fisico, i soldati sono gli uni di fronte agli altri. Alcuni di noi sono arrivati fin lì, i volontari dell’associazione Papa Giovanni XXIII hanno dovuto schivare i proiettili. Due lembi di terra separati dall’acqua del fiume, dove si spara in continuazione. Pensate ai bambini che a cielo aperto raccolgono souvenir bellici, come le mostrine dei soldati morti”.
Dopo un anno di guerra, come viene accolta dalla popolazione la Carovana della pace?
“Rispetto a un anno fa, quando eravamo andati a Leopoli, siamo stati accolti con maggiore trasporto emotivo. Non sono più sospettosi e diffidenti nei nostri confronti. Noi abbiamo parlato di pace, cantato canzoni di pace, organizzato messe di pace nella domenica delle Palme con i sacerdoti della Carovana, c’erano fedeli cattolici, ortodossi, evangelici. Abbiamo avuto i ringraziamenti dell’ambasciatore italiano e del nunzio apostolico. Lui ci ha detto che otto mesi fa Papa Francesco aveva intenzione di andare a Mariupol, che però è finita sotto attacco. Rispetto a un anno fa, oggi la gente parla di pace, applaude quando diciamo ‘stop the war’. A un autogrill abbiamo trovato un cuore di peluche diviso a metà, giallo e azzurro, con scritto stop the war. La popolazione civile vorrebbe la pace, se un anno fa c’era insofferenza rispetto a chi veniva a dire pace, ora la situazione è diametralmente cambiata. Abbiamo distribuito rami di ulivo, ci siamo commossi cantando in piazza brani pacifisti, quando abbiamo intonato la vecchia canzone di Gianni Morandi ‘C’era un ragazzo che come me….”, la risposta è stata ‘peace peace peace’. Impossibile trattenere le lacrime, hanno perso figli, mariti, nipoti, li stanno continuando a perdere sul fronte, dove i droni che bombardano arrivano in continuazione. Cercano di fare una vita normale, ma le loro città ormai sono spettrali, così come le campagne intorno. L’economia è in ginocchio, chi ha potuto è scappato, tanti sono morti, gli altri combattono”.
Come si può arrivare alla pace continuando a produrre e inviare armi?
“Noi abbiamo portato venti tonnellate di aiuti alimentari e due generatori elettrici. L’ambasciatore ci ha ringraziato perché gli aiuti alla popolazione civile arrivano raramente. È una follia avere l’ospedale pediatrico di Odessa senza un generatore, pensare di inviare solo armi fa accapponare la pelle. Tra l’altro non si sente più il continuo inneggiare a Zelensky come un anno fa. Ed è cambiato radicalmente l’atteggiamento verso Papa Francesco. All’inizio della guerra, a Leopoli, anche i rappresentanti delle chiese erano un po’ scettici, critici, ora lo ringraziano della continua pressione che sta facendo su Russia e Ucraina, dicendo che vuole andare in entrambi i paesi. Il futuro della Carovana è quello di andare avanti, perché la gente vuole vederci, stare con noi, non vuole sentirsi sola. Abbiamo ricevuto un’ospitalità incredibile, loro non hanno niente, vivono da sfollati nelle scuole, eppure ci hanno preparato i letti, cucinato i loro piatti tipici, lavorando fin dalla prima mattina”.
Finalmente si sta capendo che la pace è l’unica via d’uscita?
“Loro vogliono la pace, la vogliono con orgoglio e dignità. Abbiamo spiegato che è necessario un tavolo negoziale dove ci siano le Nazioni Unite, super partes. L’Unione europea ha la grande responsabilità di essersi voluta infilare dentro questo conflitto senza pensare alla capacità negoziale che aveva nei confronti della Russia. Non ha voluto seguire questa strada, ha ritenuto fosse più semplice schierarsi e mandare armi e munizioni. Così adesso sul piano diplomatico l’Europa è debolissima, mentre gli Stati Uniti giocano questa partita solo a livello Nato. Ora è entrata in gioco la Cina, e anche la Russia è in difficoltà. Una giovane pacifista russa mi ha detto che da loro c’è un forte mal di pancia, tanti hanno problemi economici, e siccome non bastano i militari di professione stanno chiamando giovani di leva che non hanno la minima esperienza. Molte famiglie sono terrorizzate, chi può cerca di andarsene. Si stanno addirittura unendo le posizioni dei pacifisti con quelle degli oligarchi, che vedono i loro interessi in caduta libera. È in questa situazione che la Cina ha trovato un pertugio negoziale. Ma se le trattative non andranno bene, quando arriverà la bella stagione lo scontro diretto tornerà fortissimo. Ancora prima dell’apocalisse nucleare, il rischio è quello della battaglia corpo a corpo. Una realtà terribile, che mi ricorda quella che ho vissuto personalmente in Bosnia. Anche allora i negoziati furono lentissimi, mentre andavano avanti le stragi, aumentavano i morti, trionfava la disperazione. Non si possono aspettare gli anni che hanno vissuto Sarajevo, Mostar e la ex Jugoslavia, bisogna sedersi il più presto possibile a un tavolo di trattativa. La guerra è una vera follia. Vedere le sacche di sangue delle armate russe che si sono ritirate dal fronte di Kherson rende l’idea che la guerra è sangue. La guerra è sangue, disperazione, fame”.
Cosa farete ora? Dalle tue parole appare chiaro che l’offensiva pacifista andrà avanti.
“Abbiamo scelto simbolicamente il nostro arrivo nella domenica delle Palme proprio per lanciare questo messaggio: ‘Non ci fermiamo’. A maggio ci sarà la Perugia-Assisi, e noi parteciperemo con la Rete italiana pace e disarmo per raccontare ciò che abbiamo visto. Sempre ad Assisi alla vigilia della marcia si riunirà Europe for peace. Andiamo avanti. Alcuni di noi stanno lavorando nelle zone di guerra per aiutare gli obiettori di coscienza, i più fragili, gli appartenenti alla comunità lgbtq. Andiamo avanti per aiutare i ricongiungimenti, lavoriamo per l’inclusione di rifugiate e rifugiati. Sono già state organizzate cinque Carovane della pace, i viaggi sono continui. Lo chiamiamo lo ‘sciame solidale’“.
Il Codice dei contratti pubblici in attuazione dell’articolo 1 della legge 21 giugno 2022, numero 78, è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 31 marzo 2023. Le norme dispiegheranno la loro efficacia dal primo luglio 2023.
La riforma pone, nei titoli, l’esigenza di accelerare procedure e cantieri in riferimento al Pnrr (ma non solo), reintroducendo una serie di meccanismi certamente peggiorativi per il sistema e per i lavoratori. Credere che siano i tempi dei controlli, e le modalità delle gare, a rallentare i lavori è una leggenda dell’economia liberista. Una visione miope, in nome del fare in fretta, quando l’obiettivo deve essere fare bene.
La riforma prevede la liberalizzazione del subappalto a cascata, che porterà nel settore pubblico quanto di peggio già accade in quello privato: la frammentazione dei cicli produttivi, incentivando il nanismo aziendale e la nascita di società “scatole vuote”. In pratica imprese senza dipendenti che prenderanno in appalto lavori pubblici, per poi subappaltare la commessa ad altre, che appalteranno nuovamente, in una catena senza fine.
Questo vale per i cantieri, ma è generalizzabile ovviamente in tanti altri settori dove l’appalto è il modello organizzativo elle aziende: vale per i servizi alla persona, per le mense, per il pulimento, la logistica, ecc.
Come sarà possibile verificare il rispetto del contratto e la sicurezza sul luogo di lavoro dove ci sono 5, 6, 7, 8 livelli di appalto? Quando si allunga la filiera aumentano anche gli infortuni, i carichi di lavoro, lo sfruttamento, le zone grigie. Lo dicono le statistiche.
Un altro elemento contenuto nel nuovo “Codice Salvini” preoccupa fortemente. Nel codice è prevista la liberalizzazione sotto soglia: per appalti fino a 5,3 milioni non sarà più necessario indire una gara d’appalto, ma gli enti potranno procedere con affidamenti diretti. Semplificando, un sindaco o un assessore potrà affidare l’esecuzione dei lavori ad aziende solo sulla base delle proprie simpatie o delle compiacenze. Nel dettaglio: fino a 150mila euro si procede con affidamento diretto, poi fino a un milione la procedura negoziata senza bando invitando cinque imprese, numero che sale a dieci per i lavori sotto la soglia Ue di 5,38 milioni. Secondo una stima del Sole24Ore su dati Anac, in queste condizioni il 98% dei lavori potrà esser assegnato senza bando, per un valore attorno ai 19 miliardi di euro.
In un Paese come il nostro, dove i fenomeni di corruzione nelle pubbliche amministrazioni, sono tra i più alti d’Europa, quali e quanti pressioni riceveranno gli amministratori? Quali e quanti saranno in grado di resistere alle particolari lusinghe? Nella migliore delle ipotesi si fermeranno a quei “cartelli” che ricordano tanto i tempi di Tangentopoli, in barba alla libera concorrenza e in nome della corruzione. La criminalità organizzata, certamente, ringrazia.
Questa riforma salviniana, fortemente criticata delle organizzazioni sindacali fin dalle manifestazioni nazionali del primo aprile scorso, preoccupa fortemente i sindacati europei, che evidentemente vedono in questa deregolamentazione un rischio di infiltrazione in altri Paesi d’Europa, tanto che la Efbww, Federazione Europea dei Sindacati delle Costruzioni, in una nota in merito all’eliminazione del limite del subappalto dichiara: “Si tratta di un preoccupante passo indietro sulla strada verso un mercato del lavoro più equo, più sicuro e con posti di lavoro diretti. La nostra lotta in Italia è anche una lotta in Europa”.
Il 7 giugno prossimo, unitariamente, i sindacati europei manifesteranno a Bruxelles “Per spezzare insieme la catena dei subappalti”.
Manifestazione regionale a Bari di Cgil e Spi lo scorso 31 marzo in difesa della sanità pubblica.
Il buco nero della sanità pugliese ammonta a 450 milioni di euro. E’ il grido di dolore che sale dalla Regione Puglia, per bocca dell’assessore alla sanità. E se non si reperirà subito almeno la metà di questa cifra, i cittadini pugliesi vedranno lievitare l’addizionale regionale Irpef.
Contro questa malagestione è scesa in piazza a Bari il 31 marzo la Cgil Puglia, insieme ai pensionati dello Spi, anticipando di fatto la mobilitazione unitaria di Cgil Cisl Uil contro la manovra economico e finanziaria del governo delle destre, che sta già falcidiando salari, pensioni e piccolo risparmio.
La situazione è insostenibile. Liste d’attesa, medicina diagnostica solo per chi può pagare, screening per patologie oncologiche sospesi a tempo indeterminato. E da ultimo l’annuncio di ulteriori tagli, a cominciare dalla spesa farmaceutica. Accade già che, se finisci ricoverato in ospedale, i farmaci li devi portare da casa. E’ il portato di quella equivalenza fra sanità pubblica e sanità privata che è stato il tratto distintivo delle politiche sanitarie in Puglia, oltre che di quelle nazionali.
Agli annunci in pandemia “nulla sarà più come prima” ha fatto seguito il “peggio di prima”, che ha svelato un sistema di potere e affaristico lievitato nell’emergenza pandemica, culminato nell’arresto e nella condanna per tangenti del presidente regionale della Protezione civile. Una rete fittissima di affidamenti diretti a imprese per la fornitura e l’allestimento di strutture e attrezzature dedicate alla campagna di vaccinazioni e centri tamponi anticovid. Il monumento allo spreco resta l’ospedale anticovid allestito in Fiera del Levante, successivamente smantellato.
Paghiamo l’assenza di una politica nazionale per la sanità pubblica che si squaderna in tutta la sua devastazione, ancor prima dell’autonomia differenziata, che se non verrà fermata, vedrà strappato l’articolo 32 della Costituzione, “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività…”. Ed ora che il governo Meloni ha affidato al ministro pugliese Fitto superpoteri per la gestione delle risorse del Pnrr, c’è da attendersi una ulteriore spinta in direzione della privatizzazione, facendo saltare Lea e Lep.
Le previsioni del Def del governo Meloni annunciano ulteriori tagli alla spesa sanitaria e a quella pensionistica, senza nulla di rilevante sul fisco. E’ necessario lo sciopero generale, che va preparato attraverso la campagna unitaria di Cgil Cisl e Uil, che vedrà il Mezzogiorno manifestare a Napoli il 20 maggio.
Si pone qui una articolata riflessione. Da trent’anni non siamo più una credibile autorità salariale, per ragioni diverse. La moderazione salariale dalla politica dei redditi in avanti, la frammentazione del mercato del lavoro per effetto delle ristrutturazioni capitalistiche e delle leggi introdotte dai governi Berlusconi, la balcanizzazione contrattuale sfociata nel far west salariale. La risposta non più rinviabile è quella del salario minimo legale, a partire da quello dei Ccnl sottoscritti dai sindacati più rappresentativi.
In definitiva, quindi, sanità, salario, fisco sono i cardini della nostra mobilitazione.
La Cgil è figlia della solidarietà che ha attraversato tutto il ‘900. Quello che oggi chiamiamo ‘sindacato di strada’ è nelle pagine della nostra storia, nella mutualità, nelle prime Camere del Lavoro. Il territorio, insomma, come nuova frontiera per riorganizzare il nostro insediamento.
La Cgil dispone di una fitta rete di Camere del Lavoro comunali, una accanto ad ogni campanile, che insieme alle Leghe Spi costituiscono un grande patrimonio a supporto delle battaglie che ci attendono. E’ qui che va esplicato il valore della confederalità, nella Confederazione, nelle federazioni di categoria, nello stesso Spi. Non gerarchie, quindi, ma solidarietà da parte di chi ha di più verso chi ha di meno.