Il 20 maggio scorso si è tenuto a Firenze il seminario “Il diritto del lavoro penitenziario: quali forme giuridiche del contratto di lavoro?”, organizzato da Camera del Lavoro, Cgil Nazionale e associazione L’Altro Diritto.
Il lavoro è elemento cardine della rieducazione, ed è elemento fondante del nostro ordinamento Costituzionale, fin dall’articolo 1. La Costituzione non fa differenza fra lavoratori detenuti e non, tutela il lavoro in tutte le sue forme; per questo, in carcere, deve perdere ogni carattere afflittivo, di sfruttamento, di minore riconoscimento, e stabilire pari dignità e pari diritti.
Anche la giurisprudenza costituzionale, come la Corte europea dei Diritti Umani, ha ripetutamente affermato la formale equipollenza del lavoro penitenziario con il lavoro libero, ed il fatto che sia finalizzato alla rieducazione non implica alcuna deroga alla comune disciplina giuslavoristica e previdenziale. Non può essere un obbligo né un’opportunità, è un diritto/dovere, e l’amministrazione “è tenuta a” garantirlo.
Eppure, ancora oggi, permangono differenze importanti, a partire dalla retribuzione, stabilita nella misura dei due terzi di quella contrattualmente prevista, o nell’accesso agli ammortizzatori, cosa assolutamente non scontata, se pensiamo all’impegno assunto, insieme ad Inca Cgil, promuovendo vertenze per garantire il diritto al riconoscimento della Naspi ai detenuti.
La non completa declinazione di tutele e diritti mette in discussione proprio il progetto inclusivo di rieducazione e reinserimento sociale da attuarsi attraverso il lavoro: la natura “educativa” del lavoro penitenziario deriva dal fatto che si ripropone il vincolo di subordinazione proprio dei comuni, normali, rapporti di lavoro, e dal fatto che sia accompagnato dalle comuni tutele giuslavoristiche.
Solo riconoscendo piene tutele e concreti diritti la persona ristretta può riconoscersi appieno come lavoratore.
La riforma, seppur molto parziale, del D. Lgs 124/2018 ha previsto (art. 2) modalità di assunzione “equipollenti” a quelle comuni: la precedente normativa non prevedeva nessuna formalità per l’inserimento al lavoro delle persone ristrette, mentre adesso è previsto che anche ai lavoratori detenuti che prestano la loro attività all’interno degli istituti penitenziari siano date tutte le comunicazioni previste per l’ordinario lavoro dipendente, e che entro cinque giorni dall’assunzione venga inviata alla sezione circoscrizionale per l’impiego una comunicazione contenente il nominativo del lavoratore, la data di assunzione, la tipologia contrattuale, la qualifica e il trattamento economico.
E' una previsione ancora in buona parte disattesa. Le modalità di assunzione delle persone ristrette si basano ancora troppo spesso su prassi informali, che possono anche essere diverse fra i vari istituti.
Se il lavoro non è una componente accessoria della pena, ma un diritto/dovere che l’amministrazione è tenuta a garantire, il lavoratore deve essere messo nelle condizioni di agire il proprio lavoro sapendo esattamente quale è il proprio rapporto di lavoro, come si declina e articola, quali sono i diritti, quali i doveri. Il contratto individuale di lavoro è il prerequisito, perché vengano riconosciuti ad ogni lavoratore i diritti del lavoro e la corretta applicazione del Ccnl di riferimento, perché il lavoratore abbia piena contezza di come si declina nella pratica il suo rapporto di lavoro.
In questo sta l’importanza di iniziative come questa: la proposta di un modello di contratto di lavoro per chi lavora all’interno del carcere, alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria, significa declinare nella pratica concreta l’equiparazione del lavoro in carcere al lavoro libero, significa superare le differenze che ancora esistono nel rapporto di lavoro delle persone ristrette se lavorano per ditte esterne o per l’amministrazione stessa.
Il lavoro penitenziario è lavoro a tutti gli effetti, e se non deve avere diritti e rappresentanza diversi per le persone ristrette, il contratto individuale è punto di partenza imprescindibile per entrambe le parti, datore di lavoro e lavoratore. Le modalità di assunzione non possono essere ancora basate su prassi informali, il lavoratore non può non sapere quale è la durata del proprio contratto, o come si articola il rapporto di lavoro in quanto, per esempio, a orari e turni.
Il contratto individuale rende esigibile e trasparente tutto ciò che riguarda un rapporto di lavoro, la bozza di modello elaborato da Cgil e Altro Diritto, proposta alla discussione, prevede cose assolutamente ‘normali’ in ogni contratto individuale: mansioni, inquadramento, durata del rapporto di lavoro, trattamento economico, orario. Cose scontate fuori dal carcere, non altrettanto all’interno.
Lo spirito e il senso che hanno motivato la nostra iniziativa si sostanziano in questo: fare in modo che al lavoro penitenziario si riconoscano, finalmente, appieno i diritti dei lavoratori, quelli che 52 anni fa stabilì, proprio in questa data, lo Statuto dei Lavoratori, quelli che oggi la Cgil sostiene con la Carta dei diritti universali del lavoro.