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Torneremo a riempire Piazza del Popolo, il prossimo 18 giugno, a sei mesi dallo sciopero generale proclamato con la Uil, il giorno successivo ad una grande manifestazione di pensionate e pensionati a Bologna per una buona legge sulla non-autosufficienza, pochi giorni dopo lo sciopero generale della scuola del 30 maggio.

“Pace, lavoro, giustizia sociale, democrazia camminano insieme”, e su questi temi è sempre più evidente l’inadeguatezza della coalizione di governo. Bellicismo e miope filo atlantismo, indifferenza a povertà e diseguaglianze, acquiescenza agli interessi corporativi di piccole e grandi lobby (perfino i “balneari”), nessun intervento su precarietà, qualità del lavoro, salute e sicurezza, conferma di un sistema fiscale iniquo e regressivo.

L’obiettivo della Pace – con l’immediato cessate il fuoco e un ruolo dell’Unione europea non di parte belligerante, con l’invio delle armi, ma di possibile mediatore in un negoziato diplomatico da agire con determinazione – si lega strettamente alle rivendicazioni di giustizia sociale da anni squadernati davanti a governi e padronato.

Non possiamo rimanere inerti di fronte ad una “ripresa” segnata da occupazione precaria, da salari e pensioni fermi al palo da trent’anni e ora falcidiati dalla crescente inflazione – speculativa, prima che conseguenza della guerra – e dalla riduzione, nonostante i fondi del Pnrr, del welfare e dell’occupazione pubblici e universali. Non bastano certo i pannicelli caldi del bonus da 200 euro. Ci vogliono misure radicali e strutturali. Se non ora, quando?

I nostri obiettivi sono chiari. Investire per combattere vecchie e nuove povertà, per il lavoro stabile e dignitoso. Rimettere al centro il lavoro, fare della giustizia sociale il parametro delle scelte di investimento e utilizzare le risorse europee e nazionali per affrontare la transizione digitale e ambientale senza lasciare indietro nessuno, garantendo il diritto a salute, conoscenza, invecchiamento attivo

La perdita del potere d’acquisto di salari e pensioni necessita di una risposta immediata: rafforzare il bonus energia allargando la platea; aumentare la decontribuzione sui salari e il valore e la platea della “quattordicesima” per i pensionati; riaffermare il sistema di welfare pubblico: sanità, sociale, istruzione, pensioni. Bisogna fermare la dilagante precarietà, il part time involontario, il finto lavoro autonomo, il lavoro povero e sommerso: cancellare le forme di lavoro precario e superare definitivamente il Jobs Act, ripristinare l’art. 18, per affermare la centralità del tempo indeterminato come forma comune di rapporto di lavoro, ridurre l’orario di lavoro a parità di salario. Una vera riforma delle pensioni non è più rinviabile, con una pensione di garanzia per le carriere precarie e per i percorsi discontinui.

Le risorse necessarie possono essere recuperate con uno scostamento di bilancio, l’estensione della tassazione sugli extra profitti, un contributo di solidarietà sulle grandi ricchezze, una vera riforma fiscale progressiva e redistributiva.

 

 

 

Ancora una volta, al lavoro e alla lotta!

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Nel 2003 il celebre regista Michael Moore vinse l'Oscar con il suo docufilm “Bowling a Columbine”, basato sulla strage scolastica avvenuta alla Columbine High School, Quel 20 aprile 1999 nei pressi di di Denver, Colorado, gli studenti della scuola Eric Harris e Dylan Klebold entrarono armati nell'istituto superiore, e aprirono il fuoco su numerosi compagni di scuola e insegnanti, per poi suicidarsi. Al termine della giornata si contarono 13 morti, 12 studenti e un insegnante, e 24 feriti.

Lo choc per il massacro provocò un lungo dibattito negli Usa sulla legislazione federale e quelle statali, assai diverse fra loro, riguardanti i controlli su vendita, reperibilità e detenzione di armi da fuoco. Eppure, quasi vent'anni anni dopo, nulla appare cambiato: alla Robb Elementary School di Uvalde, Texas, pochi giorni fa 19 bambini e due insegnanti sono stati uccisi da un ragazzo di appena 18 anni, Salvador Ramos. Una strage molto simile al massacro della Sandy Hook Elementary School a Newtown, Connecticut, quando nel 2012 il ventenne Adam Lanza aprì il fuoco e uccise 26 persone tra cui 20 bambini. O a quello del 14 febbraio 2018 alla Marjory Stoneman Douglas High School di Parkland, Florida, quando un altro giovanissimo, Nikolas Cruz, aprì il fuoco uccidendo 17 fra studenti e insegnanti, e ferendone altri 17.

 

Un mese prima dell'ultima strage, l'attuale presidente statunitense Joe Biden ha firmato alcuni ordini esecutivi per cercare di ridurre la violenza armata negli Usa, dove ogni anno si contano decine di migliaia di morti. Ma in un Congresso dove, invariabilmente, esiste una solida e trasversale maggioranza schierata in difesa dei diritti sulle armi, è di fatto impossibile trovare una soluzione legislativa che impedisca, o quantomeno riduca, la proliferazione di armi nelle mani di un numero sempre più consistente di cittadini Usa. E la conseguente certezza che quella di Uvalde non sarà l'ultima strage di innocenti. 

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Canfora: “Putiniano? Impossibile per un comunista. In Ucraina c’è uno sconto fra potenze” - di Frida Nacinovich

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Luciano Canfora non ha bisogno di presentazioni, filologo classico e storico, professore emerito all’università di Bari, autore di libri che lasciano sempre qualcosa in chi li legge. Mai banale nelle sue analisi politiche, complice la guerra in Ucraina e la narrazione ‘embedded’ che ne è seguita, le sue posizioni fuori dal coro stanno facendo discutere, come peraltro sempre successo con le sue analisi disincantate sul sistema politico italiano.

 

- Professore, andiamo subito al cuore del problema: come scrive il brillante vaticanista Marco Politi, è centrale chiedersi quale sia l’obiettivo geopolitico finale del conflitto. Da una parte Papa Francesco e il presidente francese Emmanuel Macron, che continuano a chiedere in tempi rapidi un tavolo di negoziato, dall’altra i Paesi baltici e la Polonia, che premono per infliggere alla Russia un colpo finale che non le consenta mai più avventure militari, sostenuti da un pezzo del governo Usa e da quello inglese. Secondo lei che sviluppi possiamo aspettarci?

“La risposta non è facile. Fino a qualche mese fa si poteva pensare che in Occidente regnasse il buonsenso. Invece da qualche tempo a questa parte abbiamo capito che ai vertici degli Stati Uniti c’è una parte che vuole chiudere la partita contro la Russia. Dato che i polacchi danno una mano - e sono anche gli ‘infiltrati’ degli Stati Uniti dentro l’Unione europea - la situazione è molto seria. Possono prevalere questi irresponsabili, per i quali una guerra generalizzata non è un problema. I polacchi forse hanno la tendenza al suicidio, gli Stati Uniti sono tranquilli perché protetti da due oceani. Quindi, mentre l’Europa va al massacro, loro se la spassano. E vendono le armi agli europei che si massacrano fra loro. L’opzione di chiudere la partita con la Russia non è impossibile, c’è solo da sperare che non prevalga”.

 

- Professor Canfora, non c’è da avere paura quando i governi mettono l’elmetto mentre i governati chiedono trattative, il cessate il fuoco e stop al riarmo?

“Da quando abbiamo i governi del presidente, l’opinione pubblica non conta nulla. È come se non ci fosse. Forse l’opinione pubblica voleva un governo comprendente tutti, dalla Lega al Pd? Credo di no. Eppure questo governo ci è stato imposto. E se a noi non piace, a loro non importa. È stato detto, non è una mia riflessione, che nel Paese è stata sospesa la democrazia perché maiora premunt. Quando è entrato in carica il governo Draghi, è stato giustificato con il fatto che l’ora grave della patria richiedeva l’unità, e ogni conflittualità doveva essere messa da parte. Il governo è nato così. Ma a quel punto le dinamiche che siamo soliti chiamare democratiche vengono sospese, inutile fingere che sia andata diversamente. Molti giornalisti si sono affrettati a dire che è vero il contrario. Pazienza”.

 

- La guerra è tornata in Europa, come accadde nella ex Jugoslavia. Sembra che i governi continentali abbiano nuovamente dimenticato la terribile lezione del secondo conflitto mondiale.

“Non l’hanno dimenticata affatto. Dopo la fine dell’Unione Sovietica la Nato ha deciso di spazzare via tutto quello che sopravviveva del socialismo. Quindi il bersaglio principale era la Jugoslavia, alla quale hanno inflitto prima una guerra civile, poi una guerra di aggressione da parte della Nato, nel 1999. I governi sanno benissimo quello che fanno. Avevano promesso a una persona ‘ingenua’ come Gorbaciov che la Nato non avrebbe fatto passi per arrivare ai confini della Russia, dopo poco hanno fatto esattamente il contrario. E ora, come ha detto Papa Francesco, la Nato abbaia ai confini della Russia. Non è che hanno dimenticato, stanno seguendo un piano preciso, al quale evidentemente tengono moltissimo”.

 

- Dopo tre mesi di guerra, in Italia anche i più convinti sostenitori dell’aiuto armato all’Ucraina iniziano a farsi delle domande. Perché ogni guerra, si sa, provoca conseguenze economiche e sociali non soltanto fra gli attori principali del conflitto.

“Non deve convincere me che questo piano sia pericoloso. Come le ho già detto, per gli Stati Uniti le guerre a casa degli altri sono la norma. Hanno avuto solo una loro guerra ‘interna’, perché all’epoca, nel 1861, il partito democratico voleva mantenere la schiavitù dei neri, mentre il partito repubblicano era contro. Lo dovremmo raccontare a Walter Veltroni. A parte quella guerra civile interna, un massacro, hanno sempre fatto le guerre a casa degli altri. Quando hanno aggredito il Vietnam dicevano che stavano combattendo per la libertà. Come recita un proverbio siciliano, non è cretino carnevale, lo è chi va dietro a carnevale. Quello è stupido. Abbiamo una notevole quantità di persone assoldate per dire il contrario di quel che sta accadendo”.

 

- Il suo ultimo libro, edito da Laterza, si intitola “La democrazia dei signori”. C’è chi sostiene che per Putin la vera minaccia sia il mondo occidentale nel suo complesso, cui si stava pericolosamente avvicinando l’Ucraina. Questa chiave di lettura la convince?

“Basta avere la forza e poi si può imporre anche l’idea che gli asini volano. Lei che vede l’asino può dire di no, non vola. Ma le risponderanno che è appena atterrato. Il 3 ottobre scorso il Guardian, giornale inglese che non si stampa a Mosca, ha redatto un profilo allucinante di Zelensky. Un personaggio a dir poco inquietante, anche sul piano degli affari”.

 

- Il primo ministro inglese Boris Johnson ha dovuto smentire le indiscrezioni che lo volevano pronto a inviare navi nel Mar Nero per garantire l’esportazione di grano dal porto ucraino di Odessa. Per fortuna.

“Condivido questo suo allarme. Boris Johnson ha avuto una sorta di allucinazione e si è convinto di essere Winston Churchill. Crede di impersonare Churchill contro la Germania nazista. Evidentemente ha bevuto troppe birre, e quindi si comporta come se vivesse nel 1939/40. E tutti i giornali gli vanno dietro”.

 

- Come può una manifestazione sindacale non avere la pace quale tema principale? Esistono forse diritti o giustizia sociale sotto le bombe?

“Mi ricordo una frase di Trotsky sul mondo occidentale. Lui diceva che apparentemente è il luogo della libertà, perché tutti possono volare. Ma non tutti hanno l’aeroplano”.

 

- In una sua recente intervista, di fronte all’ennesima accusa di tifare per Putin ha risposto: “Non posso essere putiniano, sono comunista …”.

“Hanno inventato il concetto di putiniano, è uno pseudo concetto che serve a falsificare la realtà. La realtà è che siamo di fronte a un conflitto fra potenze. La Russia non è più sovietica, è diretta da una élite di magnati, di oligarchi. Con il socialismo non ha niente a che fare. Ma questo non è il problema che turba i magnati dell’Occidente. Il vero problema è che loro ritengono che la Russia abbia ancora una forza militare preoccupante, quindi bisogna ‘tagliargli le unghie’, come si diceva una volta. Portando argomenti ovviamente nobili, la libertà, ecc, ecc.. Ma la sostanza non cambia, è questa. La Cina è una potenza economica gigantesca ma non ha le armi che hanno gli Stati Uniti. La Russia le ha, ma non è più una potenza economica. Allora bisogna colpire prima la Russia e fare piazza pulita di quell’arsenale. Poi toccherà alla Cina, alla quale già pensava George Bush junior quando diventò presidente nel 2000. Presidente con l’imbroglio, perché in base ai numeri elettorali avrebbe dovuto vincere le elezioni Al Gore. Appena Bush entra in carica, la prima cosa che fa è valutare la situazione militare in vista di una guerra con la Cina nel 2013. Per fortuna l’abbiamo scampata. Ma questo è nella zucca dei portatori di libertà a casa altrui: intervenire contro la potenza residuale della Russia perché ha armi preoccupanti. Risolto quel problema, toccherà alla Cina. Per poi dominare il mondo. Nella testa di questi signori non c’è qualcosa di diverso. Dopodiché, definire putiniano chi lo fa notare è di una stupidità sublime”.

 

- Professore, certo lei non le manda a dire.

“Io ho sempre detto quello che penso. Non sono così dogmatico da ritenere che tutto quello che dico è giusto. Ma quando intervengo, lo faccio dopo aver riflettuto. E aver la possibilità di esprimersi non è sempre scontato”.

Per un percorso di pace - di Alfonso Gianni

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Il 5 maggio scorso Il Centro Riforma dello Stato, la Fondazione Basso e la rivista trimestrale Alternative per il Socialismo hanno tenuto una conferenza stampa presso la sede della Federazione nazionale stampa italiana a Roma. L’obiettivo era non solo quello di ribadire una scelta di pace e di motivare l’opposizione all’invio di armi all’Ucraina, ma di tracciare un percorso che potesse mettere fine alla disastrosa guerra russo-ucraina. In sostanza, di passare da un pacifismo messianico a uno concreto.

Abbiamo affidato la parola a costituzionalisti come Gaetano Azzariti e Claudio de Fiores. Avrebbe dovuto essere presente anche Luigi Ferrajoli, ma gravissime ragioni personali glielo hanno impedito. La conferenza stampa si è tenuta pochi giorni dopo che Sergio Mattarella, parlando in sede europea, aveva insistito su una soluzione di pace garantita da una conferenza internazionale sul modello di quella che si tenne ad Helsinki, nel 1975, in piena guerra fredda. L’idea di una nuova Helsinki era già stata avanzata dall’ambasciatore Giuseppe Cassini in un articolo su Alternative per il socialismo prima dell’invasione russa. Il nostro intento era, ed è, anche quello di tradurre le parole del Papa in un percorso praticabile.

Un progetto ambizioso? Certamente. Francesco ha detto che la Chiesa usa la parola di Gesù, non quella della politica. Giusto. Ma la politica è muta o balbettante oppure schiacciata sulle logiche di guerra. Quindi qualcuno deve assumersi la responsabilità di una proposta. Per questo abbiamo voluto partire dall’articolo 11 della nostra Costituzione. In coerenza - anziché l’invio di armi e l’inasprimento delle sanzioni, che si ritorcono contro i popoli più che contro i loro governanti - abbiamo proposto un cessate il fuoco, collegato con l’impegno di aprire una trattativa con la mediazione dell’Onu, per giungere al ritiro delle forze armate russe e l’indizione di referendum popolari per decidere lo status di Crimea e del Donbass, nonché di una conferenza internazionale che discutesse di assetti di pace a livello globale.

Si può notare che tra questa proposta e quella, per quel che se ne sa, avanzata seppur con troppo ritardo dal ministro degli Esteri italiano vi sono punti di contatto. Il guaio è che l’Italia l’ha avanzata da sola, mentre sarebbe stato utile e possibile un concerto di paesi, come Francia e Germania assieme al nostro: lo ha fatto contemporaneamente alla decisione di inviare nuove armi (impedendo al Parlamento di discutere del loro grado di distruttività – altro che armi difensive- !); l’ha depositata all’Onu quasi di nascosto. Dando così l’impressione che volesse lavarsi la coscienza più che assumersi la responsabilità di una esplicita proposta di pace.

Questo ha fatto sì che sia a Est che a Ovest il piano sia stato impallinato senza essere stato neppure letto, stando alle diverse e contraddittorie dichiarazioni succedutesi in queste ore. Specie da parte russa. Ma anche da parte ucraina non emergono valutazioni nette. Mentre i tedeschi, per bocca della portavoce governativa Christiane Hoffmann, affermano di non conoscerlo affatto.

Intanto le armi non hanno smesso di seminare morte e distruzione, mentre i massimi esponenti della Ue continuano a puntare su una soluzione vittoriosa sul piano militare dell’Ucraina. Persino l’anziano Henry Kissinger continua a ripetere, inascoltato, che l’idea di infliggere una mortificante sconfitta alla Russia è non solo del tutto improbabile, ma estremamente pericolosa. Può infatti aprire uno scenario terrificante, quale un allargamento del teatro di guerra con ricorso all’arma nucleare. Il trascorrere del tempo, in assenza di una specifica iniziativa di pace, ci trascina inesorabilmente verso quel quadro.

Come se già non bastassero i segnali concreti di una nuova crisi economica mondiale, che per i paesi più poveri, come quelli africani, significa fame, miseria, disperazione e flussi migratori di una disperazione che non teme di affrontare la morte in mare e una lunga catena di violenze e di sofferenze.

 

La responsabilità di cercare accanitamente una soluzione pacifica non ricade solo sui protagonisti della mortale contesa, o sui governi e le grandi istituzioni internazionali, ma anche sui movimenti per la pace, che devono trovare il coraggio e la determinazione di fare sentire la loro voce e la loro presenza. Ben venga quindi la manifestazione nazionale lanciata dalla Cgil per il 18 giugno sulla pace e sulle questioni sociali. Che diventi la manifestazione di tutte e tutti.

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