Gentile, raffinato con quel suo accento “british”, amante come tanti inglesi dell’Italia e in questo caso della storia italiana. Così era Paul Ginsborg, spentosi l’11 maggio scorso a Firenze dopo una breve quanto repentina malattia.
Nato a Londra nel luglio del 1945, aveva studiato presso il Queens’ College di Cambridge e successivamente al Churchill College. Poi il trasferimento in Italia negli anni Ottanta, l’insegnamento a Siena, Torino e Firenze. Fu studioso ma anche militante appassionato della sinistra di casa nostra, salvo poi ritirarsi da una battaglia politica troppo spesso ruvida e non proprio attraente.
Una delle sue pubblicazioni più famose, attraverso la quale si fece conoscere in Italia, fu “Storia d’Italia dal dopoguerra ad oggi”, uscito in due volumi nel 1989 per Einaudi, e successivamente, sempre per la casa editrice torinese, “Famiglia Novecento. Vita familiare, rivoluzione e dittature 1900-1950”, di fatto la sua ultima opera.
“Ginsborg ebbe la grande capacità di intrecciare – dice lo storico Macello Flores - la storia sociale con quella politica; e di rendere effettivamente il popolo protagonista. Il racconto del decennio successivo alla Liberazione – sottolinea Flores - con le battaglie del lavoro nelle campagne e nelle fabbriche e il protagonismo degli studenti, con i movimenti per la democrazia negli anni Settanta, tra cui enfatizzava con forza quello delle donne, faceva da controcanto alle vicende dei partiti, alla debolezza e al fallimento dello Stato nel compiere riforme radicali e risolutive”.
Uno studio che non poteva non tramutarsi in impegno politico, il cui inizio può essere datato nell’inverno del 2002. Mentre nel suo Paese d’origine imperversava la cosiddetta “terza va” ideata dal sociologo Anthony Giddens, messa in atto dal leader laburista Tony Blair e guardata, ahimè, con interesse anche dal leader dei Ds Massimo D’Alema – idea che, per semplificare, allontanava il partito dal compito di rappresentare i lavoratori - Paul Ginsborg osservava invece con attenzione e severità il fenomeno tutto italico del berlusconismo, contro il quale ideò insieme ad altri intellettuali il movimento dei “girotondi” e fu tra i fondatori del gruppo Libertà e Giustizia (LeG), un’associazione attenta ai temi della democrazia e dello stato di diritto.
Tutto nacque nel febbraio del 2002 quando, durante un’iniziativa dei partito guidato allora da Piero Fassino, il regista Nanni Moretti salì sul palco accusando duramente la dirigenza diessina di non rappresentare più nessuno e di essere perdente per definizione. Ginsborg fu tra i protagonisti di quella stagione. All’inizio il movimento dei girotondi non fu ben visto. Non solo, come era ovvio, dai Ds che non trassero troppo insegnamento da quelle critiche severe, ma anche dalla sinistra antagonista che faceva riferimento a Rifondazione comunista. Giustamente attenti ai gravi pericoli insiti nel fenomeno della globalizzazione, argomento poco trattato dallo storico inglese, i dirigenti di quel partito sottovalutarono però i rischi di imbarbarimento che il Paese correva sotto la guida di Forza Italia.
Quel movimento, accusato di coinvolgere solo intellettuali e un ceto medio acculturato ma distante dalle esigenze dei lavoratoti, riuscì invece a coniugarsi da un lato con il movimento pacifista sempre più in allarme per i venti di guerra che spiravano, e che portarono all’ignobile conflitto contro l’Iraq nel 2003, con la scusa delle inesistenti armi di distruzioni di massa. E dall’altro anche con quei tre milioni di lavoratori scesi in piazza il 23 marzo, sempre nel 2002, sotto la guida dall’allora segretario della Cgil, Sergio Cofferati, in difesa dello Statuto dei Lavoratori.
Da tutto questo scaturì la grande manifestazione del 14 settembre nella piazza storica della sinistra: “Il culmine del nostro movimento fu la manifestazione con cui riempimmo Piazza San Giovanni a Roma – disse appunto lo studioso – e Berlusconi non è riuscito a far passare le ' leggi vergogna' come voleva lui, per tutta una serie di opposizioni e contrarietà. Alla fine gli abbiamo ‘tagliato le unghie’”.
Purtroppo quel movimento, al quale i Ds avevano dichiarato guerra, rifluì. Bisognerà aspettare il 2013 per vedere Ginsborg di nuovo protagonista in “Cambiare si può”, insieme a Marco Revelli e Livio Pepino, per rilanciare qualcosa a sinistra del Pd. Tentativo lodevole ma fallito per l’impossibilità di trovare un accordo tra le varie anime presenti.
“Se ne va un amico e un maestro - ha detto Tomaso Montanari, rettore dell’Università per stranieri di Siena ed ex presidente LeG - il ventennio berlusconiano, l’assalto renziano alla Costituzione, la deriva dei decreti sicurezza di Salvini hanno avuto in Paul un critico agguerrito, incalzante e ironico”. Sicuramente un freno importante contro quel degrado della cosiddetta “Seconda Repubblica” che purtroppo non sembra conoscere fine.