Firmata a Palermo la “Convenzione dei diritti nel Mediterraneo”.
Da oltre un anno e mezzo tre associazioni, Un’Altra Storia, l’Agorà degli abitanti della terra, il Forum italo tunisino per la Cittadinanza Mediterranea, e la Città di Palermo hanno avviato il lavoro per dare vita, a novembre dello scorso anno, ad una “Convenzione dei diritti nel Mediterraneo”, con l’obiettivo di porre le condizioni per “Fare del Mediterraneo uno degli spazi creatori di un’umanità che vuole vivere insieme”, riprendendo lo spirito dei Forum Sociali Mondiali di Tunisi del 2013 e 2015.
La recrudescenza violenta della pandemia dello scorso autunno ha costretto a spostare più volte l’iniziativa, tenuta finalmente il 18 e 19 marzo scorsi a Palermo, città copromotrice ed ospitante, a due settimane circa dall’irrompere sulla scena europea della guerra.
La Convenzione - firmata a Palermo il 19 marzo da 98 rappresentanti di associazioni e cittadini delle diverse sponde del Mediterraneo e dai sindaci di Palermo, Siracusa, Pozzallo, Ferla, Monterosso Almo, Caltagirone, Favara, Santo Stefano Quisisana, Stintino, Troina, Mazara del Vallo, Ouaria Tunisia - si propone di riconoscere “le matrici comuni nella storia, nella geografia, nelle culture dei popoli del Mediterraneo per: ridare centralità ad una identità mediterranea plurale assunta come base delle relazioni tra i popoli dell’area; affermare una concezione del Mediterraneo come nuovo spazio creatore di una umanità che vuole vivere insieme; strutturare una rete permanente tra i soggetti aderenti, diffondere e praticare esperienze di democrazia partecipata”. Guardando alla pace, alla salute, all’acqua, all’alimentazione, alle risorse culturali e ambientali quali beni comuni pubblici dei popoli del Mediterraneo, in una “cornice che tenga conto di elementi trasversali quali: la sostenibilità globale, le differenze di genere, le diseguaglianze, la sicurezza il cambiamento climatico”.
“I popoli del Mediterraneo non sono soltanto titolari di diritti ma costituiscono un soggetto geopolitico collettivo attivo”. La cifra della Convenzione è l’impegno a fare del rifiuto di qualsiasi forma di colonialismo culturale e politico uno dei suoi tratti fondamentali. Si fonda, infatti, “con l’ausilio di una rete fitta e condivisa tra istituzioni locali ed espressioni della società civile, sull’incremento cosciente delle relazioni; sul rispetto del patrimonio culturale ed ambientale; sull’eredità di una storia millenaria; sulla salvaguardia, recupero e valorizzazione delle identità e tradizioni locali”.
La Convenzione si pone l’obiettivo della costruzione di una vera e propria Agorà degli abitanti del Mediterraneo, attraverso un patto forte tra i soggetti promotori e aderenti che agisca lungo le idee forza ed i percorsi tracciati, in oltre un anno di lavoro e confronto da remoto, da gruppi di lavoro strutturati in cinque aree tematiche: acqua, salute, pace, sapere e conoscenza, alimentazione. E cioè: il Mediterraneo casa comune e identità plurale per il riconoscimento di una storia comune nel rispetto delle diversità; importanza di una rete tra società civili ed istituzioni locali; ruolo centrale delle donne, risorse fondamentali per la pace e la democrazia; sostegno ai giovani, capitale del futuro; lotta alla povertà e alle disuguaglianze sociali ed economiche; riappropriazione, salvaguardia e valorizzazione dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo in un’ottica di sostenibilità globale che comprenda gli aspetti economici, sociali, culturali e ambientali; il Mare Nostrum grande risorsa da tutelare e valorizzare, mare che unisce; tutelare e rendere disponibili a tutti i beni comuni essenziali come acqua e cibo; la mobilità umana internazionale come diritto inalienabile: mai più stragi nel Mediterraneo, garantire percorsi migratori sicuri e legali; Mediterraneo area di pace smilitarizzata; diritto alla salute e accesso alle cure; Città e comunità sostenibili; l’informazione bene comune, fondamento della democrazia.
Ognuno di questi punti è articolato in progetti iniziative e percorsi. Ma questa Convenzione è chiamata nell’immediato a misurarsi con una guerra che ci costringe, nella morsa delle sofferenze di milioni di persone e di un intero popolo, quello ucraino, a rivedere e riapprofondire, letture, analisi, percorsi geopolitici e geoeconomici, e a mettere a nudo i limiti dell’Unione europea nel rapporto con le diverse sponde del Mediterraneo.
Al testo della Convenzione - frutto di un lungo interscambio di idee, che esprime esperienze, conoscenze, obiettivi condivisi - la guerra impone di precisare meglio la visione politica, istituzionale e geopolitica nella nostra Ue, entro cui collocare i processi indicati. E ancora, per puntare a dare continuità alle iniziative finalizzate al conseguimento e stabilizzazione degli obiettivi della Convenzione, bisogna creare un’istituzione educativo formativa, fondamentale innanzitutto per i quadri della rete associativa che la Convenzione punta a costruire.
In tal senso, solo per titoli, sottolineo quelle che secondo me dovrebbero essere tappe successive di questa impresa: lettura incrociata della natura, ruolo e funzione dell’Ue e delle sue politiche, partendo dalla scelta del partenariato e del co-sviluppo di Barcellona ‘95 che, con tutti i suoi limiti, sembrava offrire una prospettiva di cooperazione multilaterale (anche se, a ben guardare, le proposte dell’Ue per il processo di Barcellona si iscrivevano nella duplice direttrice dominante: la globalizzazione liberista e l’egemonia degli Usa).
Nella Politica europea di Vicinato (Pev), il Mediterraneo sul piano geopolitico scompare anche dalla retorica e dalle buone intenzioni. È diluito in quell’arcipelago disordinato di Paesi posti attorno al “centro”, europeo ed occidentale, verso i quali attuare politiche di vicinato a fini di stabilizzazione e di controllo politico. Con la conferenza di Lisbona 2000 e il ripristino della Pev assistiamo ad un cambio di fase. L’Ue abbandona il proprio modo d’essere che ha costituito la base per la creazione del Modello sociale europeo, per allinearsi alle scelte della globalizzazione e della competitività (rivalità), rispetto alle quali il pensiero e le politiche europee divengono ulteriormente ed indiscutibilmente sussidiarie alle scelte della Triade capitalistica (la globalizzazione) e del suo poliziotto mondiale (gli Stati Uniti).
Questa svolta unilaterale dell’Ue ha modificato radicalmente gli orientamenti che per decenni ne hanno ispirato le strategie intorno ai due capisaldi centrali: le politiche di coesione sociale al proprio interno (“Modello sociale europeo”) e le politiche di cooperazione economica verso le regioni contigue (“Wider Europe”). Si è passati così da un approccio, ancorché solo enunciato, di rapporti geoeconomici e geopolitici di tipo mesoregionale e multilaterale, alternativi (solo concettualmente e nella retorica ufficiale) agli effetti destabilizzanti della globalizzazione, ad una frammentazione degli interventi e delle politiche verso i singoli Stati il cui unico punto di riferimento centrale sono gli interessi economici e di sicurezza dell’Ue, unilateralmente definiti e amministrati.
Oggi, con l’esplodere della guerra tra Russia e Stati Uniti in Ucraina, che rischia di aprire una catastrofe mondiale, vengono al pettine gli esiti di quelle scelte. E con questo dato siamo chiamati tutti a misurarci attraverso, secondo me, la ripresa della solida elaborazione di fine ‘900 inizi anni 2000 del gruppo che si ritrovava, con forti personalità e varietà di accentuazioni intorno al nucleo forte del pensiero meridiano che diede vita alla Sem e la cui espressione politico culturale era ben espressa dal titolo del libro di Cassano e Zolo del 2007 “L’alternativa mediterranea”. Una prospettiva totalmente ignorata dal quadro politico.
Allo stesso modo, fuori o ai margini dalla discussione politica rimase la prospettiva di un mutamento dell’assetto concettuale e istituzionale della Ue indicata nella concezione mesoregionale che si poneva da tempo come risposta all’approccio eurocentrico della geoeconomia della Ue, inventato da Jacques Delors.
Le mesoregioni, con la caratteristica precipua di comprendere al loro interno sia Stati e Regioni della Ue, sia Stati e Regioni ad essa limitrofi, sarebbero potute diventare uno strumento di conoscenza e tutela di economie ed interessi comuni di aree vaste. Strumento di attenuazione dei nazionalismi, di cooperazione e di Pace. Ne erano allora esempio visibile i Paesi del nord membri dell’Ue, ma nel contempo dentro il sistema di cooperazione baltica. Questo avrebbe consentito e consentirebbe all’Ue di costruire una risposta comune, anche sul versante dell’assetto istituzionale, alla globalizzazione sia in termini di pacificazione, sia di co-sviluppo e tutela ambientale.
Perciò ritengo che questa Convenzione debba già da oggi andare oltre l’obiettivo ambizioso di costruire una forte rete sociale, e dare vita ad un’Agorà degli abitanti del Mediterraneo capace di tenerla insieme. Deve porsi l’obiettivo di interagire su questa tematica, ancorché attraverso i canali e gli spazi ristrettissimi che ci sono, con la Conferenza per il futuro dell’Europa. Deve porsi il tema della politica, della geopolitica, della geoeconomia. Deve riproporsi il tema dell’alternativa mediterranea alla deriva atlantica.
E deve, per ultimo, ma non per importanza, decidere di dar vita alla sezione mediterranea dell’Università del Bene Comune, nata su input di Riccardo Petrella - e realizzata con la partecipazione del compianto Bruno Amoroso e Rosario Lembo - di cui sono noti il ruolo e l’importanza nella battaglia mondiale sull’acqua bene comune.
Il testo della Convenzione a questo indirizzo: http://www.comune.