25 Aprile, 1° Maggio: per la Pace e i diritti - di Giacinto Botti

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Il 25 Aprile e il 1° Maggio cadono quest’anno in una grave crisi sanitaria, sociale ed economica aggravata dalla pandemia prima, e poi dalla guerra in Ucraina. Le manifestazioni dovranno essere all’insegna della Pace, del lavoro e dei diritti. Due ricorrenze ricche di valori per tutti gli antifascisti e per il movimento operaio internazionale, di impegno e di lotta, di solidarietà e di conquista della libertà e dei diritti sociali. 

Esprimiamo vicinanza all’Anpi e al suo presidente, sottoposti a giudizio per le posizioni critiche sull’invio di armi e l’aumento delle spese militari. Le stesse posizioni della Cgil, che scenderà in piazza in solidarietà con il popolo ucraino aggredito dalla violenza delle truppe russe, e per “ripudiare” la guerra e il riarmo,

Sappiamo bene chi è l’aggressore e l’aggredito; non siamo indifferenti né equidistanti.

La martellante campagna mediatica e la posizione dei partiti di governo spingono all’assuefazione, alla colpevolizzazione del libero pensiero critico. Nonostante questo l’opinione pubblica mantiene un giudizio di saggia contrarietà alla guerra, all’invio delle armi e al riarmo. L’unica strada è l’immediato cessate il fuoco, la diplomazia, la mediazione, affinché non siano le armi a determinare “un vincitore” dopo una guerra interminabile della quale sarà per prima la popolazione ucraina a pagare il prezzo, e il mondo intero.

L’immagine salvifica della Nato non è più credibile dopo decenni di guerre di “esportazione della civiltà e della democrazia”. Siamo di fronte a uno scontro geostrategico tra superpotenze per l’egemonia politica e il possesso delle materie prime.

Il governo Draghi non ha una prospettiva di paese e mostra subalternità agli Usa. Con Pnrr e Def dà una risposta liberista e classista alla crisi economica e sociale e alle conseguenze della guerra.

Non ci affrancheremo dalla dipendenza dal gas russo, dai cereali, dai fertilizzanti, dalle materie prime senza cadere in una profonda crisi energetica e agroalimentare. Speculazioni, recessione e inflazione erodono già salari e pensioni, e aumentano povertà e disoccupazione giovanile e femminile. La mancanza di politiche adeguate, l’evasione fiscale, le diseguaglianze, l’arretratezza del padronato, la dipendenza storica ci rendono un Paese fragile. Ma aumentiamo la spesa militare di 14 miliardi, mentre tagliamo la spesa sociale e per l’ambiente, pensando di tornare alle centrali a carbone e nucleari. L’emergenza ambientale viene rimossa. Si fanno profitti con armi che vendiamo anche ai regimi dittatoriali, a dispetto della legge 185/90. L’ipocrisia regna sovrana.

Allora, ancora nelle piazze con le nostre bandiere e rivendicazioni, per i valori della Costituzione antifascista, contro oppressione e razzismo, per il lavoro e i diritti universali, per l’eguaglianza, per politiche e scelte alternative.

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Perfino il manifesto dell’edizione straordinaria della Marcia Perugia-Assisi è diventato oggetto di critiche: quell’imperativo rivolto a tutti i contendenti sul campo di battaglia, quel “Fermatevi!” effigiato sul manifesto, è finito nel tritacarne di una informazione in massima parte arruolata e con l'elmetto. A tal punto che se si esprime universalmente il rifiuto della guerra, come fra i tanti stanno facendo papa Francesco e il segretario generale dell’Onu, la Cgil e la Tavola della Pace, si diventa immediatamente filo-putiniani.

L'accanimento, reiterato e prolungato oltre ogni limite, nell’aggressione alla principale associazione partigiana italiana, l’Anpi, è emblematico del clima che si respira nel macrocosmo dei media. Eppure il 24 febbraio la segreteria nazionale dell’Anpi aveva diffuso un comunicato di ferma condanna dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia: “È un atto di guerra che nega il principio dell’autodeterminazione dei popoli, fa precipitare l’Europa sull’orlo di un conflitto globale, impone una logica imperiale che contrasta col nuovo mondo multipolare, porta lutti e devastazioni”.

Ma è bastato che l'Anpi e il suo presidente Gianfranco Pagliarulo auspicassero che “non si avvii una ulteriore escalation militare come reazione all’invasione, che si lavori per l’immediato cessate il fuoco riaprendo un canale diplomatico, che l’Italia rimanga fuori da ogni operazione bellica nel pieno rispetto dell’art. 11 della Costituzione”, insieme al rifiuto di approvare la decisione del governo Draghi di inviare armi all’Ucraina, perché si scatenasse contro Pagliarulo una campagna che ricorda tristemente il cosiddetto ‘metodo Boffo’. L'ex direttore del quotidiano Avvenire (di proprietà della Conferenza episcopale italiana, cioè dei vescovi), dopo un editoriale in cui criticava la vita privata di Silvio Berlusconi, fu addirittura accusato di essere “un noto omosessuale”. A distanza di più di dieci anni, la musica non è cambiata.

Manderei i miei figli a morire in guerra? - di Raffaella Bolini

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Manderei mio figlio a morire per difendere il mio paese, la mia città o persino la mia casa? Non leggo quasi più niente, del dibattito sulla guerra. Mi fa male al cuore. Penso, e cerco di farmi le domande difficili. Questa è la prima e la più importante.

Le profughe ucraine rinunciano a portare una valigia in più per mettersi al collo i loro gatti e cani. Siamo nel terzo millennio, e la vita ha un valore diverso da quando era destino obbligato per i contadini con le zappe in pugno essere mandati dai signori a farsi ammazzare sotto il castello dalle bande nemiche.

Ma se affidiamo alla resistenza armata degli ucraini le sorti di questo conflitto dobbiamo anche accettare, che se toccasse a noi, accetteremmo di mandare a morire i nostri figli al fronte. Voi lo fareste? Io non ho figli ma sono sicura che non lo farei. Niente vale la vita di un figlio. Niente.

Chi da noi aveva fatto la Resistenza armata, scrisse che l’Italia ripudia la guerra. Ripudiare, per la Treccani, significa “non riconoscere più come proprio qualcosa che pur è nostro (o lo era fino a quel momento)”. Non riconobbero più come utilizzabile uno strumento che avevano usato, anche se grazie a quello strumento avevano vinto. Loro, che l’avevano fatta, sapevano che la guerra fa schifo sempre, e sporca anche chi ha ragione. Perché la guerra pulita non esiste, perché in tutte le guerre si ammazza, si stupra, si tortura. In tutte le guerre pagano i civili e gli innocenti.

Non erano ingenui i Costituenti. La guerra era finita, ma il mondo era diviso in due e sapevano che i conflitti non sarebbero spariti dalla faccia della terra. Ma volevano fosse possibile creare nuovi strumenti per dirimerli, per fermare i soprusi, e per evitare alle vittime di dover difendersi da soli armi in pugno.

L’Onu fu inventato da chi aveva fatto due guerre mondiali, e sconfitto il nazismo. Doveva prevenire le guerre, e essere anche la polizia del mondo. Come nella vita civile: se subisco una aggressione, non sta a me inseguire i colpevoli imbracciando un fucile - c’è qualcuno delegato a farlo al posto mio, e in teoria secondo regole e vincoli stringenti.

Tutto questo percorso, questo importante tentativo di civilizzazione dei conflitti, una delle più importanti conquiste dell’umanità, è sparito nel dibattito pubblico. Da anni, e da molte guerre fa. Con la guerra in Ucraina è stato definitivamente seppellito dal dibattito politico. E pare anche con soddisfazione, quasi con sollievo.

Sia ben chiaro: gli ucraini invasi dalla Russia hanno secondo il diritto internazionale tutto il diritto di resistere, e di scegliere la forma in cui esercitare la loro resistenza, anche armata. Ma chiunque abbia qualche forma di potere, politico o intellettuale, da una parte e dall’altra delle odierne barricate, dovrebbe prima di parlare chiedere scusa in primo luogo alla popolazione ucraina, e anche a quella russa e a tutto il mondo, per non aver saputo prevenire l’invasione e aver fatto finta di non vedere il conflitto che si preparava. Dovrebbe battersi il petto, per aver così consentito il ritorno alla pratica e alla retorica della necessità della guerra che a nessun popolo dovrebbe essere consentito. E avrebbe dovuto dal primo giorno correre ai ripari, mettendo in campo tutta la forza possibile della diplomazia e della interposizione.

Al contrario, invece che preoccupati sembra che troppi siano contenti di essere tornati alla forza bruta come misuratrice e operatrice di giustizia. È un modo in fondo assai semplice di risolvere i problemi. Hai un problema? Risolvilo. Il terreno di gioco? Quello imposto dall’aggressore. Se lui ti spara, spara anche tu. E io ti aiuto a sparare meglio, perché sei dalla parte della ragione.

Seguendo questa logica, l’unico modo per essere sicuri, in un mondo pieno di tensioni e di interessi sporchi e di follia, è armarsi fino ai denti tutti e tutte, ed essere pronti tutti e tutte in ogni momento a mandare i propri figli a morire. Voi siete pronti davvero?

Bari: “Prima di tutto la pace. Contro la guerra, contro il riarmo!” - di Luigi Antonucci e Claudia Nigro

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Organizzata da ‘Lavoro Società per una Cgil unita e plurale’ della Puglia, il 14 aprile scorso, presso l’aula magna Aldo Cossu dell’Università di Bari, si è svolta una tavola rotonda dal titolo “Prima di tutto la pace. Contro la guerra, contro il riarmo!”.

Coordinata dal compagno Gigi Antonucci dell’Assemblea generale Cgil Puglia, la tavola rotonda ha avuto il suo prologo con il saluto del magnifico rettore Stefano Bronzini che ha elogiato la scelta dell’ateneo come luogo di dibattito. Per il rettore, qui non ci sono argomenti preclusi: comprendere le ragioni di un conflitto non vuol dire schierarsi. La centralità della conoscenza è una missione accademica.

Nell’introduzione al dibattito, la compagna Claudia Nigro, segretaria generale della Filcams di Brindisi, ha espresso tra gli applausi dei tantissimi presenti la solidarietà della Cgil all’Anpi e al professor Canfora, attaccati per aver espresso opinioni diverse dal pensiero unico imperante, con i governi, i parlamenti e i media che hanno indossato l’elmetto scendendo sul sentiero di guerra.

Ha sottolineato che la guerra, a nostro modesto parere, è una strada che non è in grado di fermare l’aggressione della Russia all’Ucraina. Anzi la prolunga aumentando le vittime e la sofferenza. La strada rimane sempre e solamente la ricerca della pace. Ed ha chiarito che la Cgil non è mai stata equidistante, ma ha condannato l’invasione russa e espresso solidarietà all’Ucraina.

Una volta, conoscere le cause delle rivoluzioni e delle guerre era una domanda d’esame scontata - così il professor Luciano Canfora ha introdotto la ricostruzione storica che ha portato al conflitto in Ucraina. Lo schieramento che fa capo al Patto Atlantico ha vinto la ‘guerra fredda’, ma adesso vuole stravincere, ha chiosato. “Nel giugno 1997 una cinquantina di esponenti della politica, dell’economia e della diplomazia Usa scrissero una lettera al presidente Clinton, un documento contro l’allargamento della Nato: sostenendo che l’estensione a oriente dell’Alleanza Atlantica sarebbe stato un errore epocale. È accaduto. Non si deve dimenticare la demolizione della federazione jugoslava, e la guerra alla Serbia con il bombardamento di Belgrado”.

Oggi l’urgenza vera - ha concluso il professor Canfora - è quella di costruire un movimento internazionale per la pace che sia organizzato e non affidato a singole coscienze più o meno illuminate. “Mi chiedo se non ci sia di fatto lo scivolamento nello stato di guerra, perché se si prendono posizioni così impegnative sul piano pratico, come l’invio di armamenti, e al tempo stesso si mobilita completamente l’informazione, vuol dire che qualcuno pensa che la guerra è già iniziata, e non c’è niente di peggio che scivolare in un conflitto all’insaputa e contro la volontà di un paese”.

“Non esistono purtroppo vertici di partiti politici animati dalla volontà di fermare questa guerra – ha continuato Canfora - ma esistono un grande movimento sindacale e un movimento della pace di ispirazione cristiana in quasi tutti i paesi europei: un coordinamento sindacale e di questi movimenti, sovranazionali, dovrebbe tentare di proporre l’ideazione e la pratica di una Conferenza per la sicurezza in Europa, prima che sia troppo tardi”.

Gennaro Cifinelli coordinatore Link Bari, associazione studentesca, ci ricorda nel suo intervento la scelta discutibile e scellerata del nostro governo e le ricadute per migliaia di studentesse e studenti delle scuole superiori e università, del taglio del cinque per cento, pari a oltre sette miliardi di euro, all’istruzione, taglio che mette in serio pericolo l’obiettivo che l’Ocse ha fissato per gli stati membri ovvero il raggiungimento del 5% del Pil per la formazione. Dopo ciò che abbiamo vissuto con la pandemia, il taglio dei fondi per l’istruzione è una scelta in controtendenza a quelli che sono i bisogni degli studenti. Il ripudio della guerra così come scritto nella nostra Costituzione non può essere solo uno slogan, ma una scelta sostanziale per difendere il futuro delle nuove generazioni. La pace si costruisce con la formazione e la cultura. Non con la paura.

Il rappresentante del Comitato per la Pace, Vito Micunco, denuncia la mancanza di unità del movimento, non solo italiano ma anche europeo. Mancanza di unità che ha fatto mettere in secondo piano le richieste di una soluzione pacifica del conflitto. A Bari questo non è avvenuto e tutte le posizioni espresse sono state unanimemente condivise, tanto da far arrivare chiaro il messaggio di un forte appoggio alle sanzioni che sono state erogate alla Russia di Putin, ma di contrarietà all’invio di armi perché è impensabile immaginare di sconfiggere una guerra con una guerra più grande.

“Mi fa specie sentire intellettuali e cronisti che danno la caccia a chi vuole continuare a pensare”, dice Giacinto Botti, referente nazionale di ‘Lavoro Società per una Cgil unita e plurale’.”Noi come sinistra sindacale abbiamo deciso di non metterci l’elmetto, di continuare a tenere il cervello acceso, rimanere persone pensanti, e di non accettare la logica di nemico o amico”.

“Da sempre se non si capiscono le ragioni e non si indaga su di esse – ha continuato Botti - non si troverà la soluzione per la pace. In questo momento, non c’è solo un’economia di guerra, c’è un linguaggio di guerra, c’è una cultura di guerra. Bisogna capire al contrario che non si esce dalla guerra con la vittoria di una delle parti in causa. Così si aumentano i morti, specie civili, e la distruzione. L’unica vittoria vera è la pace. In questi casi c’è un solo vincitore. I costruttori di armi. Insomma, c’è chi lucra e si arricchisce sulla e con la guerra. Noi della Cgil vogliamo mettere al centro la questione sociale. Non si possono stanziare 14 miliardi per le armi e solo cinque per ridurre l’impatto dell’aumento dell’energia sulle bollette dei lavoratori e dei pensionati. Vogliamo parlare di questo, non della guerra”.

Per Eleonora Forenza, già europarlamentare, costruire l’altro con cui non si può dialogare è l’opposto di quello che serve per costruire la pace. La pace non si costruisce preparando la guerra. La pace si costruisce con il disarmo, con il multilateralismo, con il riconoscimento dell’altro. “In questo momento non stiamo ristrutturando l’economia europea in un’ottica redistributiva, ma purtroppo in un’ottica militare. In tanti parlano di diritti e di libertà dei popoli, ma proprio a proposito di diritti, si stanno facendo accordi per importare gas alternativo a quello russo con il Qatar e con l’Egitto, che non brillano certamente in tema di diritti e libertà. E che dire sull’Europa che ha rinunciato al suo ruolo di mediazione, affidandolo a un altro ‘campione dei diritti umani’ di nome Erdogan?”.

In passato l’Europa ha utilizzato l’estrema destra non solo in Ucraina ma in altri paesi- ha ricordato Forenza - nel momento in cui è stata funzionale a un processo di atlantizzazione. Poi il Parlamento europeo ha votato l’equiparazione tra fascismo e comunismo in merito alla seconda guerra mondiale. Ora con la stessa strategia si tenta di equiparare la resistenza ucraina a quella contro il nazifascismo. “Sono stata chiamata ‘figlia di Putin’, anche se quando lo stesso è stato in Italia ero con una trentina di donne a contestarlo per ciò che subiscono le donne e il mondo Lgbt”. La pace si costruisce ricordando la storia, non rimuovendola.

Il segretario generale della Cgil Puglia, Giuseppe Gesmundo, ha affermato che stiamo vivendo questo periodo con grande difficoltà, perché stiamo scontando, come mondo del lavoro, scelte che vengono da lontano, dalla crisi del 2008. Crisi che ha pesato sulla dignità del lavoro e sui diritti. Lavoro che è stato marginalizzato a favore della finanza. Poi, nel mentre si stava provando a mettere in campo iniziative per risalire la china, ecco la pandemia. Pandemia che ci ha costretto a fare delle scelte difficili. Che ci ha messo di fronte a termini che ci sembravano strani. Il coprifuoco della pandemia. Il distanziamento sociale. La guerra al virus.

“Sono termini che avevamo archiviato nel nostro linguaggio perché avevamo vissuto anni di pace, e questi termini guerreschi erano stati relegati al passato. Mentre pensavamo di poter uscire dalle spire della pandemia e costruire una economia diversa, con investimenti nel mondo del lavoro e sulle pensioni, ci troviamo di fronte a un evento questa volta provocato dagli uomini, provocato dalla miopia e dalla mancanza di memoria degli uomini. E ora stiamo a discutere di guerra invece che di benessere delle persone”.

Pasquale Martino, del coordinamento regionale Anpi Puglia, ha affermato che l’Anpi non risponde alle provocazioni di certa stampa, che cerca in tutti i modi di mettere in cattiva luce l’associazione dei partigiani cercando di provocare rotture e divisioni. “Noi rispondiamo con le azioni. L’Anpi non scomunica nessuno ma allo stesso tempo non accetta scomuniche. Bisogna chiudere la guerra subito con la diplomazia, perché se non ci fosse più la guerra, come successe nel ‘45, i partigiani divennero partigiani di pace. Anche ora come allora prima di tutto la pace”.

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