Il 30 marzo scorso la Filef, la Cgil regionale Toscana, la Camera del Lavoro di Firenze e Inca Toscana hanno presentato la pubblicazione della ricerca qualitativa sulla nuova emigrazione italiana, “On the road again”, curata da Pietro Lunetto e Marco Grispigni.
Tutti gli indicatori sottolineano come, nonostante il Covid, i flussi migratori, abbiano subito una contrazione, ma non si siano arrestati. L’Oil segnala che nel 2020 vi è stato un aumento di due milioni di migranti internazionali, e che siamo passati dai 70 milioni di migranti globali degli anni ‘70 a 281 milioni del 2020. L’Oim puntualizza che alla riduzione della mobilità globale ha fatto riscontro l’aumento di quanti sono stati costretti a lasciare il proprio paese a causa di conflitti e guerre, disastri ambientali, violazione dei diritti umani e civili.
La stessa immigrazione nel nostro paese segue il trend internazionale con una riduzione degli arrivi dovuti alla pandemia. Nel contempo, ad una progressiva diminuzione della popolazione autoctona si deve aggiungere la diminuzione di quella straniera (Istat). Infatti, nel 2020 sono stati rilasciati circa 106.500 nuovi permessi di soggiorno a non comunitari, il numero più basso degli ultimi 10 anni (-40% sul 2019). In riduzione anche i permessi di studio (-58%) e per asilo (-51%), seguiti da quelli per lavoro (-8,8%) e da quelli familiari (-38,3%). Il rapporto Caritas-Migrantes segnala una perdita di oltre 270 mila cittadini stranieri (-5,1%), attestando un totale di 5.035.643 presenze in Italia.
Il governo Conte2 operò una apertura legislativa, a insufficiente correzione dei decreti Salvini del governo Conte 1, e inefficace poiché mirata a favorire l’emersione, con la stipula di contratti legali, solo per alcuni settori produttivi. Cittadini che nascono in Italia da famiglie di immigrati, che studiano e lavorano nel nostro paese sono privi della cittadinanza. Si pone con urgenza il superamento della Bossi-Fini. Ricostruendo un sistema di accoglienza in grado di gestire un grande piano di inclusione sociale per quanti sono alla ricerca di una vita dignitosa, affermando così la piena adesione ai principi dei diritti umani delle convenzioni internazionali, ed anche per corrispondere all’interesse del paese a fronte della crisi demografica. Peraltro, solo l’orrore della guerra ai confini dell’Ue ha convinto l’Unione ad applicare la direttiva del 2001 sui permessi temporanei, superando lo stesso regolamento di Dublino, nel caso dei profughi ucraini. Occorrerà vigilare affinché le stesse norme valgano anche per i profughi provenienti da altre aree di conflitto, senza alcuna discriminazione.
Come si evince dai dati l’Italia ridiventa paese di emigrazione con circa 6 milioni di cittadini che risiedono all’estero: dopo la Lombardia, la più grande regione del paese. Nel 2006, per dare un’idea, erano 3,1 milioni iscritti all’Aire (Anagrafe Italiani residenti all’estero). L’emigrazione è andata crescendo di circa il 22% all’anno, in primo luogo verso i paesi europei e dell’America Latina, ed ha avuto una leggera contrazione durante la pandemia. Come rileva il rapporto Migrantes 2021, l’aumento degli iscritti all’Aire è stato di 221mila e le cancellazioni 142mila: un saldo positivo di 79 mila unità.
Il dato rilevante della nuova migrazione traccia una linea di demarcazione dalla lettura dei media sulla “fuga di cervelli”. In realtà, come illustrato da Lunetto: “si parte per cercare un lavoro se possibile attinente a quello che si è studiato, ma soprattutto con un salario che permetta una vita dignitosa. Chi parte non si pensa un ‘cervello in fuga’ ma più come forza lavoro mobile, disposta a lasciare il proprio paese, amici, parenti per provare a guadagnarsi la vita. Lasciando precarietà e disoccupazione per spesso trovare anche precarietà ma meno disoccupazione, salari più alti, maggiore protezione sociale”. Come viene illustrato nella ricerca questo flusso migratorio, che a volte fa fatica a definirsi tale, non ha reciso i rapporti con il proprio paese, ed anzi effettua ritorni in Italia ogni pochi mesi. Tuttavia siamo di fronte ad un progressivo spopolamento di molte zone del mezzogiorno, e per la prima volta così rilevante l’emigrazione parte anche dalle regioni del centro nord, il 67% del totale, da Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Toscana.
Siamo di fronte ad un diverso modello di emigrazioni e mobilità internazionale, anche se è circoscritto all’Europa, che rimette in discussione il tema della rappresentanza sociale (Comites, Cgie) e politica (Circoscrizione estera, modalità di voto dei residenti all’estero), e l’insieme delle convenzioni internazionali che regolano i diritti del lavoro e la sicurezza sociale, che va rifondato, a cominciare da direttive e regolamenti comunitari.
Le nuove sfide riguardano anche il mondo associativo e il sindacato. Per la Cgil sarebbe utile rafforzare il proprio presidio internazionale e regionale per i diritti dei migranti, consolidando strutture e reti di servizio, con specifici osservatori, con Inca, coordinamenti Cgil, Filef e reti associative locali.