“Pensavo che nel vostro primo mondo certe situazioni lavorative non esistessero”. Paula Sesma è orgogliosamente argentina, di mestiere fa l’istruttrice di nuoto e fitness, e da sedici anni lotta testardamente per veder riconosciuti i diritti basilari di una professione tanto diffusa quanto non regolata. “In due parole, ci vogliono a partita Iva, come se non fossimo lavoratori dipendenti. Eppure noi collaboratori sportivi abbiamo orari da rispettare, obblighi da adempiere, rapporti stabili. Faccio un esempio: se il corso di nuoto che tengo è il giovedì alle quattro del pomeriggio, devo essere in piscina tutti i giovedì all’orario stabilito. Non posso certo fare di testa mia. E questo sarebbe un lavoro autonomo?”.
Ha la testa dura Paula Sesma, è convinta di aver ragione e lo rivendica. “Mi hanno licenziata perché mi sono rifiutata di fare le pulizie in calzoncini e ciabatte, rischiando di ustionarmi con l’acido o di prendere la scossa. Alla faccia di qualsiasi elementare norma di sicurezza. Il nostro è un lavoro anche rischioso, non puoi immaginare quanti infortuni ci sono nelle piscine. Basta una scivolata sul piano vasca e rischi di farti davvero male, finisci a casa senza stipendio e neppure indennità di malattia”.
Ma Sesma è brava nel suo lavoro, molto. E non le è difficile trovare un’altra palestra o un’altra piscina dove poter insegnare. “Volevo vivere di sport e ci sono riuscita”, ricorda con soddisfazione. Un po’ di numeri: in Italia ci sono circa 500mila persone occupate nelle strutture sportive. L’80% è assunto dai gestori - in gran parte rappresentato da società sportive dilettantistiche - come collaboratori occasionali. “Siamo privi di ogni diritto. Non abbiamo l’indennità di malattia, nessuna copertura Inail in caso di infortunio, nessuna identità di disoccupazione, nessun riconoscimento in caso di maternità. Non abbiamo tredicesima, non possiamo chiedere un mutuo, un finanziamento per comprare la macchina. Non abbiamo diritto alla pensione. Fino a che età potremmo continuare a lavorare? Il nostro è anche un mestiere fisicamente impegnativo. Se voglio fare le ferie con la mia famiglia devo assentarmi dal lavoro e per quelle settimane non vengo pagata”.
Per la maternità c’è una eventualità che venga riconosciuta a queste lavoratrici dall’anno prossimo. “Il governo Draghi ha recepito un disegno di legge sostenuto dai sindacati e approvato dal governo Conte, ma ha rimandato l’attuazione al gennaio del prossimo anno”.
Il sindacato, soprattutto il Nidil Cgil, denuncia da tempo la grossa evasione contributiva del settore. “Le società - spiega Sesma - camuffano con la dicitura del collaboratore sportivo persone che sono dei veri e propri dipendenti. Ci sono stati dei ricorsi e delle sentenze che ci hanno dato ragione. Per questo vorremmo che ci fossero molte più ispezioni da parte dell’Inps. Chi fa vertenza spesso la vince. Bisogna porre un freno a queste illegalità. I nostri datori di lavoro fanno campagne quasi terroristiche. Senza partita Iva non ti assumono, sostengono di non averne la possibilità economica. Ma io che ho lavorato in tantissime palestre, posso assicurarti che non viaggiano in Panda ma in Jaguar. Ci vorrebbe un po’ di redistribuzione delle ricchezze”.
Sesma fa parte di un’associazione, ‘Lavoratori sportivi uniti’, nata proprio per tutelare queste donne e questi uomini con cui tutte le famiglie hanno a che fare per i figli, per i propri acciacchi, anche per divertimento. “Sarà una lunga lotta, il Coni di fatto non ci sostiene e le Federazioni affiliate ci sono dichiaratamente ostili. Secondo loro non abbiamo diritto ad essere riconosciuti come dipendenti. Eppure, anche solo per i brevetti che dobbiamo conseguire e rinnovare periodicamente, versiamo un sacco di soldi nelle loro casse”.
I collaboratori sportivi hanno tante e tali di quelle qualifiche da non aver nulla da invidiare a un manager. “Spesso chi lavora in sala - denuncia Sesma - guadagna pochissimo, dai 4 ai 9 euro l’ora. E se ti cade un disco su un piede, come capita più spesso di quanto credi, resti a casa senza stipendio. Un piede come un’anguria e se non si sgonfia in fretta ti sostituiscono e perdi il lavoro”. Nonostante tutto la passione traspare dalle parole di Sesma. “Siamo così precari che può capitare di essere avvertita di non venire mentre stai andando in macchina a lavorare. Ma quando arrivi in palestra passa tutto, non puoi esser stressato quando devi insegnare gli esercizi, motivare a farli, concludere la lezione nel miglior modo possibile”.
La battaglia dei collaboratori sportivi sembra un tiro alla fune, incontri sempre resistenze, anche solo per fare applicare le leggi. “Ma noi siamo allenati anche a questo, siamo di sana e robusta costituzione”, dice ridendo Sesma. “L’Italia deve adeguarsi agli standard europei, dove ci sono regole ben precise per chi fa un lavoro considerato sempre più importante per la salute fisica e mentale delle persone, tanto da essere consigliato dai medici, sia per i giovanissimi che per gli anziani”.