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La guerra torna prepotentemente in Europa dopo la tragedia jugoslava. Le nostre comunità partecipano con sgomento ed incredulità ai sentimenti di angoscia della popolazione civile ucraina. Il nostro primo pensiero solidale va alle vittime, agli inermi la cui vita viene sconvolta dalla violenza dei combattimenti, ai profughi, alla paura dei bambini, alla sofferenza degli anziani e dei malati. In nome di questa sofferenza e della tragedia degli innocenti uniamo la nostra voce a quella di tutte le organizzazioni che chiedono che cessino immediatamente le ostilità, che la Russia arresti l’invasione, e che le Nazioni Unite e l’Europa si facciano promotrici di azioni per creare nuove condizioni di dialogo e diplomazia.
L’allargamento della Nato ad Est è un ostacolo per una pace durevole e duratura; per l’Ucraina la diplomazia internazionale e la mobilitazione dei popoli deve giungere ad uno status di neutralità che ne salvaguardi l’integrità territoriale, e il riconoscimento e tutela delle autonomie interne come definite dagli accordi di Minsk.
In Ucraina si confrontano, fino al rischio del baratro di una terza guerra mondiale, l’aggressività da super potenza della Russia e l’espansionismo degli Usa e della Nato che, contraddicendo agli impegni presi all’atto della dissoluzione dell’Unione Sovietica e della riunificazione tedesca, hanno portato avanti un vero e proprio accerchiamento della Russia.
La nuova “guerra fredda” teorizzata da Washington ha, in realtà, obiettivi strategici più ampi: contenere la Cina, laddove questo non riesca sul piano economico-commerciale, e mantenere l’Unione europea divisa politicamente, lontana da qualsiasi politica di cooperazione e di scambi economici e commerciali con Russia e Cina, succube di un “atlantismo” tanto in declino quanto pericoloso.
L’Ucraina è diventato il più vicino “casus belli”, per ragioni storico-geografiche e per la guerra “a bassa intensità” che vi si combatte dal 2014, con almeno 14mila vittime e due milioni di profughi nei territori del Donbass che avevano aderito alla ribellione.
Nella società ucraina in questi trent’anni larga parte della popolazione ha maturato una propria identità nazionale: si è diffuso largamente un sentimento filoeuropeo e filostatunitense. L’idea – foriera di tragedie - di adesione alla Nato, che va oltre l’adesione all’Unione europea, è considerata come una opzione positiva. Noi sosteniamo il principio di autodeterminazione del popolo ucraino in tutte le sue componenti, e siamo per il rispetto della sovranità degli Stati nei confini nati dalla fine della seconda guerra mondiale e del colonialismo.
L’indipendenza e l’integrità dell’Ucraina vanno mantenuti. Ma non si può nemmeno disconoscere che nelle regioni di confine vivono tra l’80% e il 90% di russi, e nella regione di Kiev i russi sono il 25%. Durante e dopo la “rivoluzione arancione” la popolazione russa dei territori orientali è stata oggetto di vessazioni e massacri, come quello di Odessa, nel quale 47 persone inermi perirono nel rogo della Casa dei sindacati. Gli accordi firmati solennemente per una soluzione federativa che consentisse la convivenza tra tutti i gruppi nazionali sono stati violati dai governi di Kiev, alimentando la guerra civile interna.
Vladimir Putin ha avuto tutto l’interesse a soffiare sul fuoco e a utilizzare l’Ucraina come pedina della sua strategia che passa sopra i diritti umani e la democrazia. Gli Usa e l’Unione europea, dal canto loro, volendo portare la Nato ai confini con la Russia, hanno foraggiato i nazionalisti ucraini incoraggiandoli verso scelte scellerate. Per la Russia l’adesione anche dell’Ucraina alla Nato avrebbe determinato una situazione inaccettabile. Ogni reale sforzo diplomatico, da tutte le parti in causa, deve considerare seriamente le preoccupazioni di tutti gli interlocutori.
Allora, che fare? Prima di tutto la pace, senza la quale nessuna soluzione è possibile. Immediato cessate il fuoco e riconoscimento della sovranità nazionale dell’Ucraina.
Bisogna ripartire dagli accordi di Minsk II, che garantivano l’autogoverno delle regioni del Donetsk e del Lugansk e una riforma costituzionale a tutela della minoranza russa, disattesi dall’Ucraina. In prospettiva la soluzione pacifica non può che essere una Ucraina neutrale in cambio della garanzia della non ingerenza russa. Se questa è stata la soluzione per la Finlandia durante la “guerra fredda”, perché non può esserlo anche per l’Ucraina? La neutralità dell’Ucraina e il riconoscimento dei diritti delle popolazioni delle regioni di lingua russa in uno Stato plurinazionale sono l’unica via di uscita dalla crisi.
Bene hanno fatto Cgil Cisl Uil a chiedere da subito una neutralità attiva dell’Italia e dell’Ue.
Ora bisogna dare gambe al nostro costituzionale ripudio della guerra, riempire le piazze e le strade di un nuovo movimento per la pace, che chieda un immediato cessate il fuoco, la de-escalation militare, la convocazione di una nuova Conferenza di pace e cooperazione paneuropea.
Intervento all’Assemblea Organizzativa, Rimini 11 febbraio
Care compagne, cari compagni, dopo la triste notizia data dal presidente Martini su due gravi incidenti sul lavoro, dopo 1.400 morti nel 2021, forse non dovremmo più parlare di infortuni ma di assassinii, perché esistono colpe e colpevoli.
Detto questo, ritengo questa importante assemblea organizzativa un’occasione da non sprecare per confrontarsi con il Paese reale, per guardare l’orizzonte e non la nostra ombra. Un momento per ripensarci, innovarci guardandoci dentro senza rimozioni.
La nostra organizzazione ha radici profonde, un patrimonio di saperi e di esperienze che vanno valorizzati e non dispersi. Siamo un punto di riferimento per dare voce e risposta alla crisi di sistema, al malessere che attraversa il mondo del lavoro e la società, alla sofferenza della pandemia e delle emergenze sanitarie, economiche e sociali che stanno colpendo duramente i ceti più popolari.
L’Italia, rispetto alle altre economie europee, segna gravi differenze e diseguaglianze sociali, economiche di ceto e di genere. I dati esposti dalla direttrice dell’Istat, Linda Laura Sabbadini, sono significativi quanto preoccupanti. Questa deriva chiama alle proprie responsabilità dirette e indirette il governo, la politica, i partiti e il Parlamento, ma deve interrogare anche noi.
Cinquantacinque applausi fuori misura per il discorso di insediamento del Presidente della Repubblica, che ha elencato quanto noi chiediamo da tempo, e che lo stesso governo e Parlamento hanno mancato di fare. Si sono lavati la coscienza e si sono assolti senza vergogna: quegli applausi grondavano falsità e ipocrisia. Questo non è un Parlamento di innocenti. Applaudono la dignità e l’hanno tolta a chi lavora, cancellando l’articolo 18.
Dobbiamo rilanciare con forza la nostra Carta dei Diritti, il nuovo Statuto delle lavoratrici e dei lavoratori. E, dinanzi ai pericoli di guerra, il Presidente bis Mattarella dovrebbe dire ciò che disse nel discorso di sette anni fa: “L’Italia ripudia la guerra”. E magari dire che la circolare del ministero dell’Istruzione, in cui si equipara la tragedia delle foibe con il genocidio e la shoah, è storicamente demenziale e vigliacca.
Il paese reale continua ad essere fuori dal palazzo, mentre aumenta la disaffezione, la distanza tra cittadini e istituzioni. Il nostro sciopero generale del 16 dicembre per il lavoro è stato giudicato, con disprezzo irresponsabile, inutile, sia da parte dei partiti di governo che di Confindustria. E pure da qualche ex dirigente della Cgil.
Noi quel giusto sciopero lo dobbiamo valorizzare, e riprendere l’iniziativa dandole coerente continuità, con la nostra proposta e una rinnovata autonomia dai governi e dai partiti. Siamo un sindacato confederale e non corporativo, forte di un’autonomia programmatica e teorica. Il merito e la prospettiva sono e rimangono i nostri riferimenti. Noi vogliamo ricostruire il paese dal basso, insieme alla parte migliore. Siamo realisti consapevoli ma non rassegnati o piegati alla realtà, e sappiamo che non ci regalerà niente nessuno: dal governo del liberista Draghi, “dei migliori”, dell’uomo solo al comando e dai partiti che lo compongono, non dobbiamo attenderci veri cambiamenti. Non è più tempo per il “meno peggio” o per il “bicchiere mezzo pieno”: tra poco non ci sarà più neanche il bicchiere. Dalla crisi si esce da destra o da sinistra.
Questo arretramento valoriale riguarda anche noi, per questo dobbiamo attivare gli anticorpi forti di cui disponiamo. Possiamo migliorare l’organizzazione se quanto di significativo è stato indicato nelle schede sarà applicato, se sapremo mettere a terra quanto deciso, con coerenza e costante verifica dei percorsi indicati e dell’operato dei gruppi dirigenti. Ognuno deve assumersi la responsabilità che gli compete, con senso di appartenenza a un’organizzazione generale, democratica e plurale che si fonda sulla partecipazione e la contrattazione. Noi siamo e dobbiamo rimanere il sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati.
La Cgil è proprietà delle iscritte e degli iscritti, non proprietà individuale di dirigenti eletti pro tempore a ricoprire dei ruoli; non ha bisogno di uomini soli al comando, e neppure di certi segretari generali che esercitano il loro ruolo con senso proprietario. La distanza tra quanto diciamo e scriviamo, e quello che realizziamo, è il segno preoccupante delle nostre difficoltà, della burocratizzazione ramificata, della perdita di confederalità.
La Cgil è un sindacato generale del NOI, non dell’IO. Il radicamento passa principalmente dai luoghi di lavoro e dal territorio, dall’incontro dei bisogni e della condizione sociale del lavoratore - cittadino, dall’azione confederale generale e contrattuale delle categorie, dalla ri-sindacalizzazione, dalla formazione continua, anche valoriale, del gruppo dirigente diffuso, a partire dalle delegate e dai delegati.
Abbiamo bisogno di aprirci, di ascoltare, di contaminarci, non di chiuderci nel palazzo, in riunioni ristrette dove non filtra a sufficienza la realtà che dobbiamo rappresentare. Occorre mettere a disposizione di tutta l’organizzazione l’informazione e la circolarità dei contenuti del confronto, sempre. La comunicazione è centrale. E poi valorizzare, formare e scegliere i gruppi dirigenti per esperienza, qualità e attitudine, dando spazio a chi si è formato ed è cresciuto nei luoghi di lavoro, a contatto con i problemi di chi lavora: scuola fondamentale per chi vuole fare il sindacalista - che non è un lavoro come gli altri, ma una scelta di vita che presuppone un agire verso gli altri carico di esperienza e di responsabilità.
Occorre passione, militanza, coerenza, etica e capacità di ascolto. E occorre bandire le logiche che premiano la fedeltà o magari la provenienza di partito, che nulla hanno a che fare con il rinnovamento, con le nostre regole democratiche, con il nostro pluralismo programmatico e di merito sindacale.
La Cgil, per conquistare il cambiamento, deve cambiare partendo da sé, dai suoi limiti e dalle sue storture, dalle sue burocratizzazioni e incrostazioni organizzative e politiche. Se vogliamo fare ciò che scriviamo nei congressi e anche in questa assemblea, dobbiamo partire da noi senza reticenze, con lealtà, senso di appartenenza e rispetto verso chi questa organizzazione l’ha, con sacrificio e militanza, costruita, conservata e migliorata, consegnandocela. Noi abbiamo il dovere di preservarla e migliorala per il mondo del lavoro di domani e per i suoi dirigenti futuri.
Questa organizzazione è così perché è viva, permeabile alla società e ai bisogni provenienti dai luoghi di lavoro, ricca di confronto e di scontro interno, di rispetto e di ricerca delle sintesi. Abbiamo bisogno di aprirci, dare spazio e ascoltare. Ascoltare vuol dire fare spazio all’interno di sé stessi alle ragioni dell’altro, riconoscerne il valore e la ricchezza. Ascoltare significa trarre esperienza e capacità dagli altri e crescere insieme.
Dobbiamo rispettare il dissenso, liberare il confronto da ogni forma di conformismo e di omologazione: i nostri iscritti, i nostri quadri, le delegate e i delegati non devono temere ritorsioni o discriminazioni per aver espresso liberamente le proprie opinioni. Un timore che blocca il dibattito negli organismi dirigenti e nei luoghi decisionali, il direttivo e l’assemblea, svuotandoli di ruolo e riducendoli a una funzione di ratifica di decisioni e indirizzi assunti tra gruppi ristretti, o nelle sempre più frequenti riunioni dei segretari generali, peraltro non previste dal nostro Statuto.
Le segreterie non devono divenire lo stato maggiore del segretario generale, ma espressione dei vari orientamenti, pensieri, idee presenti nell’organizzazione. Alle correnti di partito, superate da tempo, c’è il pericolo che si sostituiscano cordate di potere, aggregazioni sotterranee che non si formalizzano ma intervengono e condizionano l’attività e le scelte dell’organizzazione, sino alla costituzione dei gruppi dirigenti.
Le compagne e i compagni degli apparati, politici e tecnici, dei servizi e delle tutele individuali, che sono determinanti per la vita dell’organizzazione, non vanno demotivati riducendo le scelte a cerchie ristrette, mortificando energie e potenzialità preziose, ma vanno valorizzati. A ognuno va data la possibilità di dare il proprio contributo, di sentirsi riconosciuto.
Il numero di tessere, le risorse di cui dispone non possono attribuire a una categoria un potere sulle altre; vanno valutate le potenzialità e lo sviluppo dei settori e dei campi strategici di cui categorie anche piccole si occupano. Credo che sia questa l’essenza della confederalità, aiutare la Cgil nel suo insieme a crescere.
Questo sentire è comune alle tante compagne e compagni che si riconoscono nell’aggregazione di Lavoro Società per una Cgil unita e plurale, la sinistra sindacale all’interno della maggioranza, che anche in questa occasione ha contribuito al confronto con idee e proposte. Siamo da decenni una ricchezza plurale alla luce del sole e nelle regole statutarie. Non una cordata di potere alla ricerca di posti, come dice qualcuno che di cordate di potere se ne intende.
Ci sono slogan che rappresentano una storia di bisogni e di cambiamento, un’idea di società, parole d’ordine che restano attuali come “operai e studenti uniti nella lotta”, “lavorare meno per lavorare tutti”, “pagare tutti per pagare meno”. Riprendiamole, rilanciamole, c’è bisogno di dire ancora cose di sinistra. Questo le forze politiche progressiste devono capirlo, se vogliamo spostare l’asse di questo paese pericolosamente orientato a destra. Un paese in cui, per sentir dire qualcosa sul piano sociale, sul lavoro e lo sfruttamento, qualcosa di sinistra in sintonia con la Cgil, bisogna ascoltare Papa Francesco, e questo la dice lunga sullo stato deplorevole della sinistra politica italiana. E di quanto la nostra Cgil rappresenti, oggi più che mai, una risorsa insostituibile per questo paese. Viva la Cgil!
Intervento all’Assemblea Organizzativa, Rimini 10 febbraio
Sono delegata della Luxottica e parlerò di quello che conosco: del lavoro di fabbrica, e di come funziona fare il delegato in un’azienda così grande: una fabbrica che all’apparenza non ha problemi; non parliamo di cassa integrazione, non parliamo di esuberi, non parliamo di tante cose che nelle realtà più piccole purtroppo pesano tanto sui delegati. Voglio partire da qua, da quello che conosco, per arrivare a dirvi qual è la mia idea di organizzazione della Cgil; e del punto che mi ha colpito della discussione sulle schede, cioè quello di decidere tra Assemblea Generale e Direttivo.
La mia realtà è una delle nove unità produttive di Luxottica presenti in Italia. È una delle realtà più piccole, anche se conta ben un migliaio di persone che ci lavorano: 800 a tempo indeterminato e 200 sono i somministrati.
Ieri il nostro segretario generale ci ricordava, purtroppo, di un’altra morte violenta sul lavoro di un compagno di 58 anni. Io vi voglio ricordare però che sul posto di lavoro, nelle fabbriche, ci si ammala ancora molto lentamente. Ci si ammala di malattie professionali che molto spesso sottovalutiamo. Secondo me è un argomento che dovremo riportare all’attenzione dei lavoratori che non sono molto ferrati su questo, e anzi hanno paura di dichiarare la malattia professionale per paura di chissà quali ritorsioni.
Io non mi sento delegata della Filctem, perché mi sento delegata della Cgil. Il perché è semplice: in azienda le persone hanno imparato che, oltre a rappresentare i lavoratori a tempo indeterminato, io rappresento anche i 200 lavoratori di Nidil, rappresento anche i lavoratori della Filcams che lavorano nelle cucine e che fanno il servizio di vigilanza all’entrata nell’azienda, rappresento anche i lavoratori della Funzione pubblica, perché da noi chi viene a fare le pulizie è assunto da una cooperativa sociale.
Come ho fatto a farmi conoscere all’interno della fabbrica? Con gli sportelli. Abbiamo iniziato con gli sportelli, io insieme al mio gruppo Rsu abbiamo iniziato ad andare nelle Camere del Lavoro e a fare le permanenze anche là. Poi i lavoratori si passano parola. Devo dire però che l’unico sindacato che si occupa dei somministrati in Luxottica è la Cgil, e di questo mi vanto. Siamo veramente gli unici che seguono anche loro. Infatti a breve andremo al rinnovo - noi siamo scaduti da due anni come Rsu, ma causa pandemia non siamo riusciti a fare le elezioni – e spero ci saranno anche dei candidati per Nidil che siederanno al tavolo con noi in trattativa in sede di rinnovo del contratto aziendale.
Vi parlavo di sportello, di permanenza e di un broadcast, perché ormai nel 2022 con quello raggiungiamo i lavoratori, un broadcast che conta circa 250 iscritti, lavoratori e simpatizzanti della Cgil.
In una realtà così buona però, come vi dicevo, fare il delegato è difficilissimo, perché quando le cose vanno bene il merito è dell’azienda, e quando le cose vanno male è il sindacato che sta facendo poco. Quindi io capisco le difficoltà delle realtà più piccole, che parlano di problematiche ben diverse dalle mie, però vi assicuro che fare tessere, fare iscritti, e soprattutto mantenerli, è difficilissimo.
C’è una cosa che vorrei mettere all’attenzione dei segretari e del gruppo dirigente: tutto questo viene fatto, ripeto, in un’azienda con 1.000 persone, da 12 delegati. Dovrei riuscire a girare per i reparti, parlare con i lavoratori, fare sportello, andare nelle Camere del Lavoro e dare una mano ovviamente ai territoriali, che non arrivano dappertutto, maturando otto ore di permesso al mese. Non so se secondo voi bastano. Ma ve lo dico io: no! Quindi, secondo me, dovremmo cominciare a differenziare il monte ore per aziende, per attività e per quelle che sono le problematiche di un’azienda.
Passo a parlare della Cgil e di quello che è per me l’organizzazione. La Cgil dovrebbe tornare ad essere un’organizzazione orizzontale: riavvicinarsi all’ampia base di lavoratori, iscritti e delegati che sostengono tutta la parte apicale. Parliamo spesso di distanza tra gruppo dirigente e lavoratori e in questo periodo di pandemia si vede ancora di più, perché io vi invito a tornare nelle fabbriche, perché è vero che il lavoratore si affeziona alla Rsu, però ad un certo punto si chiede chi ci sia dietro alle Rsu e chi lo protegga.
Allora ringrazio la mia ‘nazionale’ Sonia Paoloni, che è sempre presente e che mi risponde sempre al telefono, però vorrei più presenza nel posto di lavoro, perché i lavoratori ne sentono la necessità. Ripeto, non perché non riconoscano in me e negli altri delegati il ruolo che abbiamo, ma perché hanno bisogno di vedervi. Io lo ripeto anche al mio segretario: siamo una realtà al confine dell’impero di Zaia, perché siamo tra la provincia di Treviso e la provincia di Belluno, ma se venite a farvi un giretto c’è anche il prosecco che è buono! Questo per dire che non si può contare sempre sulla buona volontà dei delegati. Bisogna in qualche modo dare gambe e seguito alle parole e a tutto quello che scriviamo nei contratti: il ruolo del delegato è centrale, però, nei fatti, facciamo molta fatica, e rischiamo che i delegati si stanchino di correre e fare, e perdano la volontà.
Direttivo e Assemblea Generale: a me piace tantissimo l’idea di accorpare, diciamo così, i due organismi, anche perché nell’Assemblea Generale ci sono più delegati. Bisogna però che abbiano il coraggio di parlare, perché molto spesso ci lamentiamo alla macchinetta del caffè di non avere la possibilità di parlare, poi quando ne abbiamo l’occasione ci vergogniamo a dire quello che pensiamo. Io li esorto a farlo.
Chiudo dicendo come sono arrivata alla Cgil. Io mi sono laureata in Scienze Ambientali facendo la cameriera ai piani, facendo le stagioni, e facendo pulizie mentre studiavo. Ho fatto il mio lavoro per un po’ con contratti a progetto, co.co.co., co.co.pro, tutte quelle cose schifosissime che conosciamo. Alla fine sono entrata in Luxottica, che è una fabbrica ma mi permette di sopravvivere con un buon stipendio. Ho avuto la fortuna di finire a lavorare a fianco ad una delegata della Cgil, che mi ha parlato di sindacato. Ho deciso che quella poteva essere la mia strada, perché fare per otto ore sempre lo stesso mestiere probabilmente mi avrebbe spento la testa. Fare il delegato invece mi ha tenuta viva e mi permette di sopravvivere. Quindi io vorrei veramente che tornaste nelle fabbriche come gruppo dirigente, a spiegare il valore della parola compagno, che all’inizio mi sembrava come dire un concetto vecchio e che invece ha un valore profondissimo. Quindi chiudo dicendo una bellissima frase, che vorrei si realizzasse in tutti i sensi: compagni, al lavoro e alla lotta!
L’intensità dei tre giorni di lavori a Rimini ha forse fatto passare in secondo piano un primo fatto importante, che ha dato fiducia e passione ai circa 900 tra dirigenti, delegate e delegati, pensionate e pensionati presenti all’Assemblea Organizzativa della Cgil: è stato il primo incontro “di massa” in presenza dopo due anni di riunioni quasi solo in remoto. Che la pandemia non sia ancora alle nostre spalle lo hanno ricordato i circa 200 – tra i 1.097 delegati totali – collegati da remoto, compresi alcuni degli interventi.
A Rimini si è arrivati dopo un percorso fatto di oltre 1.500 Assemblee generali, a partire da quelle territoriali di categoria, con la partecipazione – dati della relazione di Ivana Galli – di oltre 64.580 persone. E con una mole enorme di documenti di sintesi prodotti dalle Assemblee generali regionali e nazionali di categoria per ognuna delle 11 schede tematiche oggetto della discussione.
Come avevamo segnalato nel nostro contributo al dibattito (https://www.sinistrasindacale.it/index.php/documenti/2105-contributo-del-coordinamento-nazionale-di-lavoro-societa-per-una-cgil-unita-e-plurale-sul-documento-per-l-assemblea-organizzativa-nazionale), se la struttura in schede ha consentito un maggior approfondimento dei singoli punti, ha però rischiato di far perdere il vero baricentro della “riforma organizzativa”: la centralità del territorio e delle Camere del Lavoro, e la partecipazione democratica di delegate e delegati e attiviste e attivisti Spi.
Come succede in queste grandi assise, i lavori corrono su binari paralleli: la plenaria e le commissioni, in questo caso la commissione politica per proporre la versione finale delle 11 schede. Io ho rappresentato l’aggregazione programmatica “Lavoro Società per una Cgil unita e plurale” in questa commissione, e quindi non ho seguito il dibattito generale, se non vedendo dagli schermi chi di volta in volta si alternava sul podio. Ne ho tratto l’impressione di un buon numero di interventi di delegati e delegate (spesso giovani), oltre a quelli dei segretari generali. In plenaria poi ci sono stati i saluti delle autorità locali e del presidente Anpi, Gianfranco Pagliarulo, e due lectio magistralis: sulla situazione internazionale (“il mondo accelerato”) del direttore di Limes, Lucio Caracciolo (https://www.collettiva.it/copertine/internazionale/2022/02/11/video/europa_e_russia_la_storia_alle_porte-1862256/), e su “Aprire una grande stagione dei diritti” di Linda Laura Sabbadini, direttrice centrale Istat (https://www.collettiva.it/copertine/economia/2022/02/11/video/aprire_una_grande_stagione_dei_diritti-1864284/).
Per quanto riguarda i lavori della Commissione politica, i cui esiti sono stati votati a grandissima maggioranza dall’Assemblea, la segreteria aveva presentato nuove sintesi delle schede che raccoglievano quanto emerso dalle Assemblee generali di categorie nazionali e strutture regionali. I nodi di volta in volta emersi – senza fare una descrizione puntuale per schede - sono stati, tra gli altri, quello delle risorse provenienti dalla bilateralità e della loro interazione con le risorse dell’organizzazione e, discussione complessa, sulla contrattazione nei siti e filiere con presenza di più categorie, conclusa con l’indicazione di partecipazione al coordinamento e ai tavoli negoziali di tutte le categorie interessate.
Dibattito intenso anche su democrazia interna e organismi decisionali: si assorbe il Direttivo nella Assemblea generale con il 50% da posti di lavoro e leghe Spi. Tuttavia, noi ed altri abbiamo paventato i rischi di un ritorno ai vecchi direttivi, con la scomparsa di fatto dei delegati man mano che si sale nella struttura, e con un ulteriore rafforzamento degli esecutivi. Alcune categorie hanno infatti chiesto flessibilità sulla percentuale di delegati nelle Assemblee generali regionali e nazionali, per non “sacrificare” le strutture ai delegati.
Si istituisce l’assemblea territoriale dei delegati, ma con una certa indeterminatezza su compiti e poteri. Controversa l’indicazione che le Rsu si attengano agli esiti del voto dei lavoratori, salvo i diritti indisponibili. Sulla norma antidiscriminatoria molti chiedevano impegni e verifiche più stringenti, e noi avevamo proposto una formulazione più stringente anche sulla partecipazione dei migranti.
Fermi restando i rimandi al Congresso laddove sono necessarie modifiche statutarie, le schede contengono in molti casi rinvii a commissioni o gruppi di lavoro (ad esempio sui perimetri contrattuali), e inseriscono date di verifica per tutto il 2022 e periodicamente (ad esempio sul tesseramento). È chiaro che il vero banco di prova è l’attuazione pratica delle decisioni assunte.
Fin dall’inizio “Riconquistiamo tutto” e “Democrazia e lavoro” insieme, e “Le giornate di marzo”, hanno annunciato un voto contrario alle schede.
L’Assemblea ha approvato tre ordini del giorno: contro la guerra in Ucraina, sulla situazione internazionale in generale, di solidarietà agli studenti e per la fine dell’obbligo all’alternanza, dopo le tragiche morti “sul lavoro” di due studenti.