Con la fusione dei due grandi gruppi automobilistici Fca e Psa, si è concretizzata la costituzione di uno dei più grandi gruppi automobilistici mondiali. Questa operazione ha naturalmente attratto l’attenzione italiana, avendo coinvolto Fca. Molto del dibattito si è concentrato sulle prospettive industriali del gruppo e su quali potessero essere i programmi, la governance e l’evoluzione progettuale che la nuova realtà avrebbe determinato.
In questo dibattito non ci si è accorti che, nel nostro Paese, Stellantis non significa soltanto Fca. Non sorprende e non scandalizza, è naturale che sia così, ma in Italia Stellantis significa anche Psa, con la sua rete commerciale, con la sua società di servizi, con la logistica che distribuisce ricambi e parti meccaniche delle macchine a marchio Psa. Ricordiamo che i marchi di derivazione francese del gruppo sono quattro: Peugeot, Citroen, Ds e infine Opel.
Il gruppo Psa in Italia è quindi soprattutto, se non esclusivamente, commercializzazione e servizi. Una rete concentrata nelle città di Milano e Roma e che occupa circa 600 dipendenti suddivisi in due aziende: Psa Service, che si occupa di importazione, logistica e gestione dei servizi, e Psa Retail che gestisce la rete di vendita, con cinque filiali presenti a Milano e Roma. Per questi 600 lavoratori, da quando si è concretizzata la fusione, è iniziata una fase di attesa che ancora non si è conclusa, pur se iniziano ad arrivare le prime informazioni.
Dopo molti mesi di silenzio oggi si sa che la società si trasferirà a Torino-Mirafiori: nel capoluogo piemontese verranno collocati la sede legale e operativa, mantenendo il coworking su Milano-Arese. Cosa significhi tutto ciò, in termini organizzativi, non è ancora chiaro: le persone continueranno a lavorare a Milano utilizzando la sede attuale come semplice luogo di appoggio operativo? Verranno mantenuti gli assetti occupazionali attuali? Non ci saranno sovrapposizioni di ruoli con la struttura operativa Fca? Il contratto di riferimento resterà il contratto nazionale del commercio, o si cambierà anche il contratto nazionale? E la logistica come verrà organizzata? A fronte del mantenimento dei marchi resterà la stessa attuale struttura, o verrà ridefinita sulla base della struttura organizzativa Stellantis?
La cosa più difficile da gestire in questa fase è proprio l’assenza di risposte, anche soltanto parziali, alle domande che la nostra rappresentanza sindacale e i lavoratori stanno ponendo. Questi processi sono la faccia peggiore di queste operazioni. I comunicati che i vertici del gruppo diffondono sono entusiasti e ricchi di buone notizie: il titolo in borsa dimostra una ottima tenuta, i ricavi vengono annunciati in aumento costante, dal punto di vista commerciale il gruppo si identifica come primo gruppo in Italia (dato scontato ma comunque pubblicizzato con enfasi).
In realtà, questo entusiasmo poco si riflette nel morale dei lavoratori. Nelle recenti assemblee sindacali hanno infatti manifestato forte preoccupazione per il loro futuro, e non parliamo solo del cambio di sede. Un senso di smarrimento dovuto ai repentini cambiamenti in atto, manager Fca e Psa che si alternano, comunicazioni spesso frammentarie che ingenerano incertezze. Il tutto accompagnato dall’utilizzo di una cassa integrazione Covid che va a cozzare con i comunicati quasi trionfalistici sulle quote di mercato in aumento, e non ultimo, l’utilizzo dello smart working in maniera massiva, che favorisce la disgregazione e mina l’unità dei dipendenti.
In Italia, l’automobile sembra un prodotto che si produce ma che poi si vende da solo. Eppure la rete di vendita e dei servizi ad essa connessa rappresenta la coda di una filiera che non può più essere ricondotta al semplice circuito produttivo. Nel caso dell’esperienza Stellantis la difficoltà nel far emergere questa realtà è doppia: tutte le aziende del gruppo ex Psa appartengono alla rete dei servizi, e in più sono la parte straniera della nuova società. Fatti che sembrano escludere Psa Service e Retail da ogni ambito decisionale. Un dato che, tattico o reale che sia, aumenta l’ansia delle persone a causa del silenzio aziendale.
Questa esperienza è simbolica di che cosa significhino questi processi per i lavoratori: incertezza, preoccupazione, e la precisa sensazione che i propri diritti sono una porzione minimale degli interessi in campo. Un coordinamento interconfederale a livello nazionale è necessario e urgente, per non farci trovare impreparati e superati dagli eventi.