Partecipata manifestazione a sostegno della legge Zan il 10 maggio a Milano.
In Italia nel 2019 si sono registrati 134 casi di aggressione a persone Lgbtqia+, una ogni due giorni, 94 femminicidi, uno ogni tre giorni. Del 2020 sappiamo poco, ma l’ultimo femminicidio a motivo transfobico è avvenuto purtroppo solo un paio di settimane fa. L’omolesbobitransfobia e la misoginia esistono, non solo nelle parole di Fedez, che ha voluto ricordare il medioevo intorno a noi, ma nella triste cronaca quotidiana.
Per queste ragioni il 10 maggio presso l’arco della pace a Milano si è svolta una partecipata manifestazione per l’approvazione della legge contro omolesbobitransfobia e misoginia, perché violenza e discriminazione non sono un’opinione. Rassicuriamo circa l’organizzazione e il presidio delle misure di sicurezza, sempre mantenute e vigilate, anche grazie alla Cgil di Milano che si è prestata all’organizzazione.
E’ opportuno ricordare, in questo momento di forti strumentalizzazioni, che è necessaria una legge che riconosca che i motivi omolesbobitransfobici o misogini sono una aggravante agli omicidi, alle aggressioni, alle violenze fisiche e psicologiche, agli insulti, alle persecuzioni e l’istigazione a commettere discriminazioni e violenze che mettono a rischio la libertà personale, la sicurezza e la dignità delle donne, delle persone Lgbtqia+, e di qualsiasi essere umano che possa essere ritenuto parte di tali minoranze.
Una legge che aiuti in modo concreto le persone colpite da questo odio, tutelandole nella loro salute fisica e mentale e proteggendole da ulteriori attacchi, introducendo sportelli di ascolto e le case di accoglienza, che non sia figlia di compromessi al ribasso, che tuteli l’identità di genere e l’autodeterminazione delle persone, e che condanni in modo concreto ed efficace anche la violenza verbale e l’istigazione alla violenza.
Da oltre 25 anni i movimenti Lgbtqia+ chiedono una legge contro discriminazioni e violenze per orientamento sessuale e identità di genere, ma il Parlamento si è sempre sottratto. E sono trascorsi cinque anni dall’introduzione della legge sulle unioni civili in Italia, che secondo i suoi oppositori avrebbe dovuto far saltare in aria “la famiglia tradizionale”, perché la qualità del dibattito era di questo livello. Una legge che sanò solo parzialmente un ritardo del nostro Paese, ultimo fra gli ultimi nell’Europa occidentale, a dotarsi di uno strumento legislativo a tutela delle coppie omosessuali. Un passo avanti ma parziale perché la legge Cirinnà, a causa del contesto, non è stata in grado di proteggere le famiglie arcobaleno e i loro figli, che ancora oggi sono in balia di tribunali e sentenze per vedere riconosciuti i propri diritti.
Anche questa volta il dibattito in Parlamento ha già assunto forme grottesche: chi si oppone alla legge vuole far passare per libertà di espressione comportamenti violenti o l’istigazione a comportamenti violenti contro le persone Lgbtqia+. Ma violenza e discriminazione non sono un’opinione.
L’attacco intorno alla definizione di “identità di genere”, inserito nel testo del disegno di legge, è incomprensibile. Perché, se non fosse per le nostre già granitiche convinzioni, esiste già una sentenza della Corte di Cassazione (5138/2015) che stabilisce che non sono necessari interventi chirurgici per la rettifica anagrafica. Sentenza che fa esplicito riferimento all’identità di genere, anzi al “diritto all’identità di genere inteso come interesse della persona a vedere rispettato nei rapporti esterni ciò che il soggetto è e fa”. Sentenza che ridetermina le classificazioni e dentro le quali la comunità trans si ritrova.
C’è bisogno di dibattito su questi temi? Sicuramente è necessario riflettere, approfondire, capire, anche con discussioni libere, come può e deve essere in Cgil. Ma il tempo è scaduto, ed è necessario fermare la violenza e l’odio contro persone Lgbtqia+.