- Redazione
- 2021
- Numero 02 - 2021
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Nella – incomprensibile - crisi di governo c’è un grande assente: il lavoro. Non si parla della materialità dei bisogni di lavoratori e lavoratrici in carne ed ossa, dei disoccupati, precari, licenziati nonostante il blocco, con sfratti esecutivi pendenti per morosità incolpevole, occupati nelle tante zone grigie e nere di super sfruttamento.
L’azione irresponsabile del capetto di Italia Viva è in coerenza con tutto il suo percorso e le sue scelte: il Jobs act è ancora lì che grida vendetta. Il governo Conte e la sua maggioranza hanno smesso di calpestare i diritti del lavoro, come fatto dai governi precedenti. Ma troppe risorse sono andate alle imprese ed ai proprietari delle attività terziarie, invece che ai lavoratori di quei settori. E quanti lavorano nello spettacolo e nello sport si sono trovati senza reddito. Mentre le risorse alle imprese non sono vincolate alla creazione di buona occupazione, ecologicamente sostenibile.
La Cgil deve stare con forza e radicalità dentro la crisi sociale e politica: qui si determinano gli assetti di potere futuri e le scelte sociali ed economiche conseguenti. La nuova amministrazione Biden sta per varare un ragguardevole piano di incentivi economici e aumentare il salario minimo. Anche in Italia è arrivato il momento di affermare che un’ora di lavoro non può valere meno di quanto definito dai contratti nazionali, attraverso una legge di supporto alla contrattazione collettiva che preveda il voto per le Rsu in tutti i settori privati, e la verifica della rappresentatività di sindacati e organizzazioni datoriali. E va introdotto un reddito di garanzia universale, che copra tutte e tutti.
Basta con l’ideologia della disoccupazione come colpa individuale: si è disoccupati o sottooccupati perché la politica ha privilegiato il pareggio di bilancio invece della creazione anche diretta di occupazione, e le imprese giocano in borsa invece di investire in ricerca e sviluppo.
I soldi ci sono, prendiamoli dai 10mila miliardi di rendita finanziaria e immobiliare in mano a poche migliaia di persone: tassa patrimoniale, maggiore progressività nelle aliquote, alleggerendo quelle più basse e innalzando quelle sui redditi più elevati. Smettendo di ridurre la tassazione sulle imprese, e di utilizzare la decontribuzione come – fallace - strumento per l’occupazione.
Non basta inveire contro Renzi se le misure contro i lavoratori approvate dal suo governo e dal Pd sono sempre lì. Si reintroduca l’articolo 18 ampliato alle aziende fino a 5 dipendenti, si allarghi il perimetro pubblico, assumendo centinaia di migliaia di giovani nella pubblica amministrazione, per offrire servizi sociali di qualità e gestire direttamente bandi e lavori.
Bisogna stare in campo, in strada, nelle piazze. Solo con mobilitazioni, lotte e scioperi potremo, nella nostra autonomia, far pesare nel confronto con le controparti e con la politica le proposte di cambiamento basate sui diritti al lavoro e nel lavoro.
“Quando c’è la guerra, a due cose bisogna pensare prima di tutto: in primo luogo alle scarpe, in secondo alla roba da mangiare; e non viceversa, come ritiene il volgo: perché chi ha le scarpe può andare in giro a trovar da mangiare, mentre non vale l’inverso. – Ma la guerra è finita, – obiettai: e la pensavo finita, come molti in quei mesi di tregua, in un senso molto più universale di quanto si osi pensare oggi. – Guerra è sempre, Primo– rispose memorabilmente Mordo Nahum”.
Queste righe di Primo Levi, tratte da “La Tregua”, da quasi 50 anni mi rimbalzano periodicamente nella testa. Da quando, ragazzino delle medie inferiori, fui stimolato a crescere con l’imprescindibile narrazione di un sopravvissuto ad Auschwitz, grazie a una grande insegnante come Anna Materi Cassano.
Solo pochi mesi fa, ascoltando Liliana Segre nella sua ultima, memorabile lezione pubblica, ho avuto la stessa emozione. Per fortuna il racconto di questa incredibile novantenne con tatuato sul braccio il numero 75.190, anche lei “viva per caso” come Levi, è sempre sui canali Rai. Per capire una volta ancora il dono fatto dalla senatrice a vita non soltanto ai ragazzi e alle ragazze di oggi ma all’intera specie umana, grazie a una testimonianza che non ha prezzo, come non ha prezzo ogni singola esistenza.
“Scegliete sempre la vita - ha insegnato Liliana Segre nella sua infaticabile opera di pedagogia civile - scegliete la vita, che è straordinaria”. E non per caso un suo libro ha per titolo “La memoria rende liberi”. Perché è grazie alla memoria che la ragazzina ebrea, sopravvissuta al campo di sterminio per definizione, ha raccolto e perpetuato la lezione di Primo Levi, e di Mordo Nahum. Contro ogni fascismo, ogni guerra, ogni violenza dell’uomo sull’uomo e sulla natura. Facendo del “Giorno della memoria”, il 27 gennaio anniversario della liberazione di Auschwitz, un giorno che deve durare un anno intero.
La sentenza con la quale la Corte di Cassazione ha deciso di cancellare anni di lotta e di speranza per la verità e la giustizia per la strage di Viareggio, sollecita la rabbia e lo sgomento di una città che si trova privata del riconoscimento morale e materiale assolutamente dovuto per una ferita ancora aperta. Una ferita pesante, assurda e tremenda, con responsabilità e colpevoli universalmente individuati, quanto, allo stato attuale, non condannati e perseguiti penalmente.
Viareggio è una città molto conosciuta per le sue bellezze naturali (mare, pinete, montagne), per le sue aziende nautiche tra le più prestigiose a livello internazionale, per le sue manifestazioni culturali e popolari, dal Carnevale al Festival Pucciniano. Ma è anche una città dove tutti bene o male si conoscono e conoscevano, magari solo “di vista”, alcune delle vittime. Dove tutti hanno partecipato all’elaborazione intima e collettiva di un dramma e di un’ingiustizia. Ogni anno, per ogni anniversario, tutta la città, e la Cgil con essa, continua a stringersi attorno ai familiari delle vittime, dando vita a imponenti e partecipate manifestazioni di lutto, cordoglio, vicinanza e lotta.
L’altro sentimento forte e radicato è l’indignazione per il decadere di atti d’accusa circostanziati e gravi, per un colpo di spugna ad anni di azioni, passioni, disperazioni mai sopite e spesso manifestate, con la veemenza propria di una coscienza civile radicata, ferma e determinata.
In tutto questo periodo la Cgil non solo ha sostenuto le sacrosante richieste dei familiari delle vittime, ma si è costituita parte civile al processo, ponendo sempre la mancanza di sicurezza in quello specifico luogo di lavoro quale elemento accusatorio decisivo per raggiungere una equa e razionale sentenza di condanna dei dirigenti del Gruppo Fs, responsabili di attività lavorative molto carenti in fatto di garanzie per la salute e la sicurezza dei lavoratori.
Il fatto che le sentenze di condanna deliberate nei due gradi di giudizio precedenti siano state cancellate, e che sia stata esclusa l’aggravante della violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro, è molto grave per la Cgil. Irrita, indigna e preoccupa soprattutto per il pericoloso precedente che crea, perché di fatto determina la prescrizione del reato di omicidio colposo plurimo, per il disprezzo della vita e della salute dei lavoratori, che da esso trasuda in tutto il suo arrogante disprezzo delle reali esigenze di tante lavoratrici e tanti lavoratori.
La Cgil ha indetto uno sciopero generale provinciale di due ore lo scorso 15 gennaio. Una mobilitazione in difesa ed a sostegno delle due direttrici fondamentali: solidarietà ai familiari e alla città di Viareggio, protesta e condanna per l’eliminazione dal dibattimento processuale dell’accusa di mancanza di sicurezza sul luogo di lavoro. L’adesione alla mobilitazione è stata buona e significativa su tutto il territorio, con punte massicce di partecipazione, pur in presenza di difficoltà organizzative, soprattutto per il periodo di allarme sanitario e la mancanza dei tempi necessari per l’avviso preventivo previsto dalla legge per i pubblici dipendenti. In questo contesto, importante la partecipazione all’assemblea web indetta dalla Fp Cgil per i dipendenti del Comune di Viareggio.
Inoltre la Cgil ha previsto la possibilità per i lavoratori di versare due ore di salario a sostegno dell’Associazione dei familiari delle vittime e dei Rappresentanti dei lavoratori alla sicurezza in ambito ferroviario che si sono costituiti parte civile. La Cgil ha infine deciso di esporre uno striscione di protesta all’ingresso della Camera del Lavoro di Viareggio.
La fase processuale proseguirà, il reato di disastro colposo è ancora tutto da indagare e dibattere, ancora è aperta la prospettiva di raggiungere risultati importanti e individuare errori e colpe, complicità ed omissioni.Ci troviamo di fronte ad uno snodo determinante. Sono ancora unite strettamente tra loro le richieste di giustizia e verità dei familiari delle vittime, che continuano a chiedere che sia fatta piena luce su quella tragedia, rifuggendo atteggiamenti di smarrimento e cedimento, e le rinnovate rivendicazioni di garanzia della salute e sicurezza nel mondo del lavoro.
La Cgil sosterrà queste decisive battaglie, si renderà ancora protagonista di iniziative pubbliche e di rivendicazioni concrete nel tentativo di contrastare gli effetti più deleteri e negativi di questa sentenza. Parteciperà al percorso più generale, di cui si sente con ancora maggior decisione un gran bisogno, per riconfermare la condanna morale e civile dei responsabili, per perseguire nel rispetto delle leggi i colpevoli di questa strage, e per far avanzare, non solo nelle aule giudiziarie ma in tutto il contesto economico e sociale, l’affermazione della sicurezza e della salute quali cardini indispensabili e non contrattabili di un modello di sviluppo e di un mondo del lavoro differenti, con al centro le persone e le loro aspirazioni ad un lavoro e una vita migliore.
Il 18 dicembre scorso, con 153 voti favorevoli, due contrari e quattro astenuti, l’assemblea di Palazzo Madama ha rinnovato la fiducia al governo, approvando definitivamente il ddl 2040 di conversione, con modificazioni, del decreto legge 130 del 21 ottobre, nel testo licenziato dalla Camera il 17 dicembre.
Le nuove misure segnano un cambio di passo positivo in materia di soggiorno, accoglienza, diritto alla protezione internazionale, integrazione di molti cittadini migranti presenti nel territorio italiano ma privi di diritti, con condizioni di vita precarie in balia a sfruttamento, lavoro nero e ricatto sul lavoro. Il testo approvato al Senato recepisce quello della Camera, approvato con alcuni emendamenti migliorativi proposti dalle organizzazioni sindacali Cgil Cisl e Uil, e da numerose associazioni laiche e religiose, nonché dalle forze politiche democratiche in Parlamento.
Il testo approvato contiene alcuni elementi positivi, come la durata per l’espletamento delle istanze di cittadinanza riportata a 24 mesi, già previsti prima dei decreti Salvini, così come l’estensione della possibilità di conversione dei permessi di soggiorno per cure mediche, protezione speciale, calamità, residenza elettiva, stato di apolide, attività sportiva, lavoro di tipo artistico, motivi religiosi e assistenza ai minori in permesso di soggiorno per lavoro.
Inoltre, per la norma riguardante le operazioni di ricerca e soccorso in mare da parte delle navi delle Ong, che aveva suscitato molte critiche, è positiva la modifica relativa alla necessità di indicare tra gli obblighi internazionali anche la Cedu e le normative internazionali ed europee sul diritto di asilo. La norma ora fa riferimento agli “obblighi derivanti dalle convenzioni internazionali in materia di diritto del mare, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, e delle libertà fondamentali e delle norme nazionali, internazionali ed europee in materia di diritto di asilo”.
Siamo dinanzi ad una modifica importante, poiché consente di richiamare la Convenzione relativa all’obbligo di soccorso in mare, e altre norme internazionali in materia. Tuttavia permangono alcune criticità che risiedono nel condizionamento e nell’obbligo, per le navi Ong di ricerca e soccorso, di sottostare alle indicazioni del Centro di coordinamento competente. Invece occorre evitare che le navi che abbiano rispettato gli obblighi internazionali di soccorso delle persone in mare siano condizionate al benestare dei centri di coordinamento diversi da quello italiano, che potrebbero condurre i migranti soccorsi e salvati in mare in paesi di origine o transito nei quali rischiano di essere sottoposti a trattamenti disumani, a partire dalla Libia.
Positivo poi il raccordo tra l’articolo 5 comma 6 e l’articolo 19, che stabilisce la non espellibilità in alcuni casi e il rilascio del relativo permesso di soggiorno per protezione speciale: eviterà confusione e discrezionalità. Con questa norma l’Italia dovrebbe tornare a un numero di esiti positivi delle domande d’asilo simile alla media europea, evitando i numerosi ricorsi cui abbiamo assistito con i decreti Salvini, nonché l’aumento dell’irregolarità. Una scelta utile e coerente è inoltre quella che riapre la possibilità di ingressi per lavoro con il decreto flussi, bloccati da oltre un decennio.
Il testo approvato in via definitiva al Senato fa ben sperare che sia iniziato un nuovo approccio politico più responsabile in materia di immigrazione. Tuttavia ci sono ancora molti temi urgenti da affrontare, come la necessità di una riforma organica in materia di immigrazione, una riforma della cittadinanza coerente con la realtà del nostro Paese, dove l’immigrazione è un dato strutturale, e il riconoscimento dello “ius soli” per le ragazze e i ragazzi nati e cresciuti in Italia (sono un milione), priorità non più rinviabile nell’agenda politica.
Azioni urgenti sono necessarie di fronte all’indignazione e vergogna per quello che sta accadendo sulla “rotta Balcanica”. Uomini, donne e bambini costretti a vivere all’aperto in quello che resta di alcuni campi profughi in quell’area, dove l’umanità è svanita, dove chi prova ad attraversare le frontiere viene fermato e respinto dall’Italia in Slovenia, poi in Croazia e quindi in Bosnia.
L’Ue risponde con i soliti mezzi, versando qualche milione di euro ai governi che fermano le persone, non importa come, a condizione che non giungano all’interno dei “sacri confini”. Una vergogna che si derubrica a “crisi umanitaria”, ma è l’ennesimo frutto avvelenato dell’esternalizzazione delle frontiere, così come accade nel Mediterraneo. Abolizione del Regolamento di Dublino, corridoi umanitari, accoglienza delle persone in fuga nei diversi Paesi europei, rappresentano l’unica soluzione da percorrere.
La pandemia, nel bene e nel male, ci ha insegnato che nessun Paese si salva da solo da questa grande crisi sanitaria e sociale planetaria. Solo con una visione politica, economica, sociale e ambientale globale, e scelte conseguenti, si possono dare risposte adeguate e sostenibili.