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L’Italia a tre velocità del Dpcm del 3 novembre non sembra in grado di fermare le corsa della pandemia. Aumentano esponenzialmente contagiati, ricoverati, ammalati in terapia intensiva, morti. Non abbiamo imparato niente dalla “prima ondata”. Sono sempre più evidenti responsabilità e limiti di un assetto istituzionale che – anche al netto dell’osceno scaricabarile tra presidenti di Regione (per favore, smettiamo di definirli “governatori”) e governo centrale – ha creato 21 staterelli “sanitari”, dove la cittadinanza ha smesso di significare reale parità di diritti e di prestazioni su tutto il territorio nazionale.
Certo, sarebbe altrettanto fuorviante non vedere le costanti degli ultimi 20-25 anni di sfascio del Sistema sanitario nazionale: tagli di spesa continui e indiscriminati; aziendalizzazione delle Usl; privatizzazione dei servizi; primato degli ospedali, pur con un enorme taglio dei posti letto; diffusa desertificazione della prevenzione e della medicina territoriale; scarsa o nulla integrazione socio-sanitaria; nessuna politica per le persone non autosufficienti; carenza di personale a tutti i livelli. Perverse “linee guida” che hanno ridisegnato i 21 diversi sistemi regionali-territoriali. Unificati oggi, in buonissima misura, da una consistente inazione nei mesi estivi che avrebbero potuto, e dovuto, alleviare il risorgere autunnale della pandemia, da tutti previsto.
Ne esce un quadro in cui prevalgono sottovalutazione e inadeguatezza. Unite ad una rinnovata, quanto sempre meno motivata, rivendicazione di autonomia… . Salvo poi pretendere l’intervento centralizzato per non assumersi la responsabilità di decisioni spesso impopolari. L’ignobile balletto dei giorni scorsi, con l’alterno vociare dei presidenti regionali a favore o contro più rigide misure di chiusura di attività e territori, dovrebbe consentire di mettere la parola “fine” non solo a qualsiasi ulteriore velleità di secessione mascherata da “autonomia differenziata”, ma anche alla attuale configurazione del titolo V, quantomeno per quanto riguarda la sanità.
Una parte cospicua delle risorse a fondo perduto del prossimo Next Generation Eu vanno destinate al potenziamento e alla ristrutturazione del Sistema sanitario nazionale. Ma per dare finalmente a tutti una risposta adeguata, e una sostanziale parità di diritti, bisognerà parallelamente mettere fine alla decisionalità regionale, imponendo una nuova regolazione e gestione unica, che faccia davvero del Sistema sanitario un servizio nazionale, efficace e uguale su tutto il territorio. Superando definitivamente la logica aziendalista e la subalternità al sistema privato. E dando finalmente il giusto riconoscimento, anche attraverso un rapido e ambizioso rinnovo dei contratti, alla professionalità e dedizione di lavoratrici e lavoratori del Servizio sanitario pubblico e degli appalti, parimenti “eroi” quotidiani della lotta alla pandemia. Pubblico e nazionale è meglio!
Nonostante la pandemia la mobilitazione c’è stata, lo dimostra il commovente corteo di Genova. Ma alcuni lavoratori sono talmente disillusi, e bisognosi anche di quel pugno di euro a fine giornata, da non aver scioperato. Mentre tanti altri non hanno potuto farlo perché senza di loro la sanità andrebbe definitivamente in tilt. L’interposizione di manodopera, vietata dal 1960, resta una nauseante realtà per i 600mila addetti delle imprese di pulizia, servizi integrati e multiservizi, in gran parte donne, vittime della strategia bipartisan di centrodestra e centrosinistra di progressiva esternalizzazione di servizi ritenuti, a torto, non facenti parte del core business di turno. Senza i quali però gli uffici pubblici e privati, la scuole e le università, le fabbriche e gli ospedali, non potrebbero andare avanti.
Eppure, di fronte a un contratto scaduto da ben sette anni, che per giunta fissa una paga oraria di poco più di 7 euro – lordi – per i livelli più bassi, i padroni continuano a non sentire ragioni. E le loro centrali - Anip Confindustria, Confcooperative Lavoro e servizi, Legacoop Produzione e Servizi, Unionservizi Confapi e Agci Servizi – chiudono occhi e orecchie. A tal punto da chiedere che le “loro” aziende non si facciano più carico dei primi tre giorni di malattia.
Alla soddisfazione di Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltrasporti per uno sciopero che ha registrato una media di adesione superiore al 80%, ha fatto da contrappunto il silenzio di una politica dalla coda di paglia. Solo il Prc ha denunciato “la creazione artificiale di un settore privato che, tra l’altro, alimenta corruzione e clientelismo”. Creando, nel pubblico, una grande categoria di lavoratori e lavoratrici di serie B. Il tutto con l’immancabile massimo ribasso nelle gare. Mentre le stesse norme nazionali e i commissariamenti obbligano ad acquistare servizi all’esterno, limitando le assunzioni. In un corto circuito infernale che la pandemia ha reso ancora più visibile.
Il libro che ho scritto, compiendo un’azione di autoterapia, muove dalla morte del mio giovane figlio Giovanni, dal più tragico e innaturale dolore che può capitare in sorte ad un genitore. Un evento che (sovvertendo l’ordine biologico e rendendo impossibile la rassegnazione) è maturato nell’attuale era, segnata da inquinamento, riscaldamento globale e cambiamenti climatici. Un contesto nel quale, in tutte le latitudini e longitudini del globo, aumentano a dismisura patologie tumorali come quella che ha colpito Giovanni.
Nelle pagine del libro racconto dei sogni, realmente intervenuti o magari simulati (questo è un dubbio che viene lasciato al lettore) segnati da lunghe conversazioni con mio figlio scomparso, nelle quali vengono affrontati tantissimi temi, tra i quali il “mistero della vita e della morte”. L’approccio, prettamente “agnostico”, lascia spazio a tante possibili “verità” al fondo delle quali, però, si scorge un fattore comune (che deve accomunare l’impegno di tutti: credenti, atei e dubbiosi), inerente alla consapevolezza dei rischi che corre il pianeta e alla necessità di un impegno collettivo finalizzato a ridurre drasticamente le emissioni di Co2 evitando di giungere ad un “punto di non ritorno”, destinando il pianeta e tutte le forme di vita verso una inesorabile e tragica fine, come denunciato dal mondo della scienza e dalle straordinarie mobilitazioni dei ragazzi del ““Fridays for Future”.
Vi è urgente bisogno di un cambio di rotta, basato su nuovi stili di vita, individuali e collettivi, che portino l’homo sapiens a recuperare un rapporto rispettoso nei confronti della natura, indicando un modello alternativo di “sviluppo”, capace di sovvertire le logiche del profitto e dello sfruttamento. Nel libro cerco di indicare una prospettiva diversa nella quale difendere il pianeta e la vita su di esso, mettendoli al riparo dai cambiamenti climatici e dalle guerre, dalle insopportabili e non più gestibili ingiustizie e ineguaglianze che attualmente segnano il rapporto tra zone ricche e povere del mondo, e tra classi nell’ambito di ogni singolo paese.
Ho completato la scrittura del libro nella primavera di questo anno, durante il lockdown connesso alla tragica emergenza determinata dal diffondersi di un nuovo “coronavirus” denominato Covid 19. Sembrava, e ancora oggi sembra, di essere precipitati dentro un film horror e insieme di fantascienza, segnato dall’incedere di una vera e propria pandemia a livello globale, con conseguenze devastanti in termini di vite perse, dolore, sofferenze e – insieme – ricadute tragiche, fino a poco tempo prima non immaginabili, sull’economia mondiale e sulle società, modificando stili di vita e costringendo ad un “isolamento e distanziamento sociale” inedito nella storia dell’umanità.
In questo angosciante periodo, ho sognato (o simulato di farlo) nuovamente Giovanni, con il quale mi sono intrattenuto in una lunga conversazione durante la quale abbiamo affrontato molti temi connessi con la tragica pandemia planetaria in atto. Questa conversazione è riportata e costituisce l’intero terzo ed ultimo capitolo del libro. Risulta segnata da un filo che riconduce alle teorie sostenute nelle pagine precedenti, rafforzandole (attraverso l’analisi dell’emergenza in atto, che non è il frutto del “destino” bensì risulta profondamente legata all’incauta azione umana, capace di distruggere ecosistemi e di rendere possibile la circolazione di pericolosi ed incontrollabili virus causata da “spillover” sempre più frequenti) e riproponendo domande di fondo sul futuro del pianeta e sul mistero della vita.
Dopo la pubblicazione del libro da parte di un’importante casa editrice (disponibile nelle librerie ed acquistabile anche attraverso Amazon, Mondadori, ecc. oltre che nel bookstore https://www.gruppoalbatros.com/prodotti/lultimo-canestro-di-mio-figlio-giovanni-cesare-caiazza/), avrei voluto promuovere una serie di iniziative di presentazione con la presenza fisica delle persone, la prima delle quali nella sede nazionale della Cgil anche per salutare, dopo essere andato in pensione dal primo agosto, tutte le compagne ed i compagni. Purtroppo l’aumentare della curva dei contagi da Covid e le limitazioni imposte inibiscono questa possibilità. Ripiegherò verso forme di comunicazione virtuali, per pubblicizzare un libro che ha come obiettivo fondamentale quello di mantenere viva la memoria di Giovanni e i suoi valori, improntati alla solidarietà e all’altruismo.
Firmato il contratto integrativo nazionale che regola il lavoro a distanza dei docenti.
Gli enormi sforzi profusi dalle scuole e dal personale, per consentire che a settembre le attività didattiche riprendessero in presenza, sono stati in buona parte vanificati. Di fronte all’avanzare massiccio della seconda ondata dei contagi da Covid-19, la scuola (a seguito del Dpcm del 3 novembre) è infatti tornata a sospendere le sue attività, come già avvenuto lo scorso marzo. Restano aperte solo le scuole del primo ciclo, mentre tutte le scuole superiori di 2° grado (e nelle zone rosse anche le classi seconde e terze delle medie) passano alla didattica a distanza, e non è escluso che di fronte a un ulteriore aggravamento della situazione epidemiologica questa soluzione sia adottata per tutti i gradi di scuola.
È questa una sconfitta per tutta una generazione di ragazzi e ragazze che si vedrà privata di oltre un anno di scuola, con tutto ciò che questo comporta specie per le fasce sociali più deboli e bisognose di formazione, al fine di garantire uguaglianza di diritti e opportunità.
È una sconfitta anche per il governo, che aveva dato massime assicurazioni sulla ripresa a settembre delle attività scolastiche in presenza. In effetti le scuole hanno riaperto, seppur con i ritardi, i limiti e le inefficienze determinati dal modo con cui la ministra Azzolina è intervenuta durante l’estate per fornire organico aggiuntivo, dispositivi di sicurezza, risorse ecc.
Ma ciò che soprattutto è fallito è stata la capacità di predisporre (da parte del governo centrale e delle amministrazioni regionali) tutti quei servizi indispensabili al sistema di sicurezza, dai trasporti al tracciamento dei contagi, che sono entrati subito in crisi, dopo il “rilassamento” di quest’estate che ha favorito la ripresa di circolazione del virus. Pertanto è pur vero che le scuole non sono state focolaio del contagio, ma sono comunque diventate luogo in cui il virus si è diffuso nonostante le precauzioni adottate, tant’è vero che già prima del 3 novembre molte scuole avevano chiuso perché in quarantena.
Ora abbiamo di fronte due questioni. La prima riguarda il potenziamento delle misure di sicurezza per le scuole dell’infanzia e primarie che, nonostante le difficoltà, sono rimaste aperte. A fronte dell’impossibilità di impedire che il virus circoli, occorre che ai lavoratori di queste scuole e ai loro alunni siano garantite maggiori condizioni di sicurezza, a tutela della loro salute e anche di tutti i loro familiari. Se è interesse generale che almeno la scuola del primo ciclo resti aperta, è necessario che al personale scolastico, come a quello medico e infermieristico, siano assicurate tutte le dotazioni strumentali e le condizioni di lavoro in grado di assicurare la massima sicurezza.
La seconda questione è che alle scuole che hanno chiuso, la cui attività didattica continuerà comunque a distanza, sia fornito tutto il supporto necessario (strumentazione, piattaforme digitali, formazione, ecc), perché le lezioni possano continuare a svolgersi nelle migliori condizioni possibili, e soprattutto coinvolgendo tutti gli alunni senza esclusioni, come già purtroppo avvenuto lo scorso anno scolastico. Al personale scolastico, a partire dai docenti, deve essere assicurata la possibilità di svolgere la propria attività in modo qualificato e in un contesto di regole chiare e condivise, superando gli arbitri e le forzature imposte nei mesi scorsi dall’amministrazione centrale.
È questo il motivo per cui la Flc Cgil ha molto premuto perché la prestazione lavorativa dei docenti in didattica a distanza venisse regolata contrattualmente, cosa che è avvenuta di recente dopo un difficile confronto con il ministero dell’Istruzione. Al termine di questa trattativa è stata firmata un’ipotesi di contratto integrativo nazionale (insieme alla Cisl Scuola e all’Anief) con cui molte materie, dapprima lasciate all’arbitrio dell’Amministrazione, sono state regolate: orario di lavoro, sicurezza, privacy, formazione, diritti sindacali.
Inoltre su alcuni temi che non potevano essere risolti in sede di contrattazione integrativa (come quelli delle risorse da investire nella didattica a distanza e più in generale nel lavoro scolastico), è stata firmata una Dichiarazione congiunta che impegna il ministero su tutta una serie di obiettivi, a partire dalla ripresa di corrette e sistematiche relazioni sindacali. Ora la parola passa ai lavoratori, che si dovranno esprimere sull’ipotesi di accordo. Nel frattempo avremo modo di verificare nei prossimi giorni l’affidabilità di questo ministero sugli impegni assunti.