Emergenza covid-19 e Costituzione - di Silvia Manderino

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La Costituzione italiana ha previsto lo “stato di guerra” (art. 78), non lo “stato di emergenza”. Non si tratta di un vuoto costituzionale: prevalse in Assemblea Costituente la necessità di mantenere un equilibrio tra i poteri per evitare, in caso di situazioni eccezionali previste dalla Costituzione, abusi di potere e attribuzioni decisionali a un solo organo costituzionale sulle procedure di urgenza. Venne così deciso di regolamentare (non l’emergenza ma) i poteri esercitabili dal governo, sotto il controllo parlamentare, nei soli casi straordinari di necessità e urgenza (art. 77 Cost.) e in seguito alla deliberazione (parlamentare) dello stato di guerra (art. 78 Cost.). Lo “stato di emergenza” è previsto da una legge ordinaria (D.Lgs. 1/2008 “codice della protezione civile”) ma correlato a terremoti, alluvioni ed altri eventi naturali, non a pandemie virali quale quella in corso.

L’assenza di una disciplina (costituzionale) non significa, naturalmente, libertà normativa, poiché la legislazione di emergenza deve rispettare la Costituzione italiana e i principi dell’Ue. L’emergenza covid-19 prende avvio dalla delibera del C.d.M. 31.1.2020 che ha dichiarato lo stato di emergenza nazionale per la durata di sei mesi: suo fondamento è l’art. 24 del D.Lgs. 1/2018.

Sono state di seguito emanate ordinanze del ministero della Sanità (21.2.2020, 23.2.2020) - e ciò nel quadro della L. 833/1978 istitutiva del Ssn che prevede questo specifico potere in materia di igiene e sanità pubblica – che hanno introdotto limitazioni di circolazione nei primi comuni-focolaio (Codogno, Vò Euganeo), chiusura delle scuole, misure di quarantena.

E’ stato quindi emanato dal governo il D.L. 23.2.2020 n. 6 (poi convertito in L. 5.3.2020 n. 13) che, su iniziativa del ministro della Salute, prevede che il presidente del Consiglio possa adottare tramite proprio decreto (DPCM) tutte le misure di contenimento e di gestione adeguata e proporzionata all’evolversi della situazione epidemiologica: sono stati perciò emessi diversi DPCM (otto dal 23 febbraio al 22 marzo).

Ad altri D.L. che hanno disciplinato misure di sostegno per le famiglie, i lavoratori e le imprese (D.L. 2.3.2020 n. 9), misure sull’attività giudiziaria (D.L. 8.3.2020 n. 11), potenziamento del Ssn (D.L. 9.3.2020 n. 14), altre misure di potenziamento del Ssn e di sostegno economico (D.L. 17.3.2020 n. 18), ha fatto poi seguito il D.L. 25.3.2020 N. 19.

L’attenzione si incentra sui DPCM e sulla loro natura. Si tratta di regolamenti attuativi, atti amministrativi privi come tali di forza di legge e dunque appartenenti alle fonti normative secondarie, la cui fonte è l’art. 17 della legge 400/1988, in forza del quale, tra l’altro, il potere regolamentare dell’esecutivo e/o di singoli ministri non può essere esercitato in difetto di una specifica attribuzione da parte di una legge ordinaria: dunque, i DPCM non possono derogare alla Costituzione e alle leggi ordinarie sovraordinate.

Può un DPCM intervenire per limitare libertà costituzionali che solo la legge, e nei casi stabiliti dalla Costituzione, può limitare? Ci si riferisce in via esemplificativa alla libertà di circolazione e di soggiorno (art. 16), di riunione (art. 17), di culto religioso (art. 19), al diritto-dovere all’istruzione (art. 34).

Prendiamo in considerazione l’art. 16 Costituzione, che è l’oggetto del D.L. 6/2020. La norma stabilisce che libertà di circolazione e di soggiorno possono subire limitazioni stabilite dalla legge in via generale per motivi di sanità o di sicurezza: solo una legge ordinaria può intervenire (espressa riserva di legge, in questo caso relativa), per i motivi circoscritti alla sanità o alla sicurezza, riguardanti categorie generali di cittadini (questo è il significato della dizione “che la legge stabilisce in via generale”).

La discussione è sorta perché i DPCM emanati a seguito del D.L. 6/2020 introducono misure restrittive sulla base di un D.L. che non contiene una normativa di carattere generale, e dunque produrrebbe un “rinvio in bianco” all’attività regolamentare, che interverrebbe così senza osservare il principio della riserva di legge.

Le misure restrittive della libertà contenute nei DPCM sono piuttosto vaghe (assomigliano più a raccomandazioni che a divieti) e però, prevedendo una sanzione penale nel caso di inosservanza (la violazione dell’art. 650 c.p.), inducono a considerare che questi atti amministrativi siano adottati anche in violazione del principio di riserva di legge assoluta, perché dettano misure vincolanti che solo la legge può stabilire.

Il D.L. 25.3.2020 n. 19 potrebbe avere risolto le criticità costituzionali del D.L. 6/2020 e dei conseguenti DPCM. Prevede che il presidente del Consiglio (su proposta del ministro della Salute e dei presidenti delle Regioni interessate) possa adottare tramite proprio DPCM una o più misure tra quelle espressamente indicate dallo stesso D.L. all’art. 1, che i DPCM vengano comunicati alle Camere entro il giorno successivo all’emanazione, e che ogni 15 giorni egli (o un ministro delegato) riferisca al Parlamento sulle misure adottate.

Nelle more dell’emanazione dei DPCM, le Regioni sono autorizzate, in caso di aggravamento del rischio sanitario sul territorio, ad adottare con ordinanza misure più restrittive di quelle indicate dall’art. 1 del D.L. 19/2020 (con l’emanazione del dpcm, l’ordinanza regionale viene meno), mentre né sindaci né altre autorità titolari di potere di ordinanza possono adottare ordinanze in contrasto con quelle adottate dallo Stato.

L’art. 1 del D.L. 19/2020 contiene un lunghissimo elenco di limitazioni. La loro violazione non è più sanzionata penalmente (l’unica violazione penale riguarda l’inosservanza dell’obbligo di quarantena) ma in via amministrativa e le sanzioni penali comminate per la violazione dei DPCM e delle ordinanze emanati prima del D.L. 19/2020 sono sostituite dalle sanzioni amministrative. Il D.L. 19/2020 fa salvi gli effetti già prodotti dai DPCM adottati in base al D.L. 6/2020 e dalle ordinanze del ministro della Salute, consentendo di continuare a produrre nuovi effetti ai DPCM 8/9/11/22 marzo 2020 fino alla fine della propria vigenza e a tutti gli altri (DPCM e ordinanze) ancora in vigore di continuare a produrre nuovi effetti per dieci giorni. Alcune criticità sembrano essere pertanto superate: in particolare il D.L. 19/2020 definisce la disciplina generale delle misure limitative della libertà, lasciando ai DPCM e alle ordinanze solo il potere di disporne nei casi specifici, rispettando così il principio della riserva di legge; la violazione delle norme limitative della libertà non ha più natura penale, e la relativa sanzione è stata sostituita da sanzione amministrativa, con effetto retroattivo che coinvolge anche le sanzioni già comminate come misure penali.

Le limitazioni all’esercizio dei diritti fondamentali della persona avvengono in un periodo in cui sussiste di fatto uno stato di emergenza sanitaria, dichiarato dalle autorità italiane ma prima, e soprattutto, dalla Organizzazione mondiale della sanità. E il diritto alla salute – unico diritto che espressamente la Costituzione definisce fondamentale (art. 32) – è, nella sua forma individuale e collettiva, un diritto assoluto che prevale nel bilanciamento degli interessi costituzionalmente protetti. E’ un bene costituzionale non negoziabile, anzi, l’unico non negoziabile: la sua stretta connessione con il diritto alla vita (art. 2 Cost.) è precondizione necessaria per godere di ogni altro diritto.

Lo stato di necessità verificatosi a seguito della pandemia giustifica quindi le limitazioni alla libertà, naturalmente entro i termini temporali in cui esso dovrà durare. La finalità (tutela della salute individuale e collettiva) legittima la restrizione delle libertà, ma occorre anche siano legittimi i mezzi attraverso cui si persegue la finalità.

Lo sono i DPCM? Nell’attuale stato di necessità si può rispondere che lo sono: intervengono a tutela del bene supremo della comunità nazionale (la salute e dunque la vita). Deve essere però chiaro il perimetro entro il quale debbono intervenire. C’è un perimetro temporale: oltre il tempo dato dallo stato di necessità non è ammissibile una durata delle restrizioni alla libertà. E anche all’interno della situazione di necessità vanno assunti con un termine di scadenza che, una volta consumato, riespande i diritti limitati.

C’è un perimetro dato dalla eccezionalità dei provvedimenti stessi: non è ipotizzabile che questi atti possano costituire precedenti per futuri provvedimenti in situazioni diverse da quella attuale. Una volta cessata l’emergenza sanitaria, uno stato di emergenza sociale ed economica mai potrebbe giustificare provvedimenti come quelli oggi in vigore. Non si tratterebbe di situazioni identiche, perciò un provvedimento che si volesse proporre in tali circostanze sarebbe da considerarsi eversivo della legalità costituzionale. (24 aprile 2020)

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