“La grande illusione. L’Afghanistan in guerra dal 1979”, a cura di Emanuele Giordana, pagine 166, euro 12,50, Rosemberg&Sellier. Saggi di: Affatato, Battiston, Carati, De Maio, Foschini, Giordana, Giunchi, Giustozzi, Sulmoni, Recchia, Sergi, Shiri, e un saluto della principessa Soraya. Prefazione di Gianni Rufini, direttore di Amnesty Italia.
Nel 1951 l’editore Vallardi pubblicò “Afghanistan crocevia dell’Asia” di Caspani e Cagnacci, due sacerdoti vissuti per 15 anni nel Paese. I due compilarono un’opera che ancora oggi resta un caposaldo per la correttezza e la quantità delle informazioni. Da allora la pubblicistica italiana, salvo rarissime eccezioni, non si è più occupata dell’Afghanistan, se si esclude la breve parentesi che, negli anni dell’impegno militare italiano (ancora in essere), ha visto sortire una discreta quantità di libri che – con altrettanto rare eccezioni – restano tutt’al più un racconto di colore che spesso riproduce stereotipi duri a morire, quale quello della “tomba degli imperi”o del “popolo guerriero”.
Ci sembrava insomma che non ci fosse stato uno sforzo approfondito per capire l’Afghanistan, e ancor meno che vi fosse l’ammissione senza se e senza ma del grande fallimento di una guerra che – nonostante gli accordi di Doha – è ancora alla ribalta. “La Grande Illusione”, un lavoro collettivo, ha l’ambizione di colmare quel vuoto, e quello di sottolineare l’inutilità della guerra come mezzo per risolvere i conflitti, come per altro ben spiega la nostra Costituzione.
La raccolta di saggi ripercorre solo brevemente le ultime guerre afgane, iniziate nel dicembre del 1979 con l’invasione sovietica, e si concentra sull’ultima, sui suoi insuccessi e sulle illusioni prodotte: illusioni basate sulle stesse regole che, non molto diversamente da quanto fecero la Russia zarista e la Corona britannica nell’800, e non meno diversamente da quanto fecero poi l’Urss, il Pakistan o l’Occidente negli anni Ottanta, forgiarono i dogmi del Grande Gioco – ora ribattezzato Nuovo Grande Gioco.
Interessi geopolitici (e, pur se in misura assai minore, economici) hanno governato anche questa ennesima avventura dimostratasi un fallimento militare e politico, ma partita con grande fanfare in nome di una Nuova Grande Illusione, agitando la bandiera dei diritti e finendo per violarli di continuo: prigioni segrete, uccisioni mirate, tortura, corruzione, esecuzioni, bande criminali addestrate dalla Cia. Una “missione di pace” costata oltre 200mila morti, un bilancio che è probabilmente per difetto.
Al netto della buona fede dei singoli si è insomma ripetuto il quadro che anni prima aveva demonizzato i sovietici: nella cruda realtà dei fatti, con una guerra che ha ormai raddoppiato il tempo che l’Urss impiegò per tentare di controllare l’Afghanistan, sono stati ripetuti – più o meno consapevolmente – non solo gli stessi errori dei sovietici, ma si è perseguito lo stesso desiderio di egemonia sul Paese, ammantandolo come sempre di buoni propositi.
In realtà appare abbastanza evidente come per gli americani, il vero dominus della coalizione a guida Nato, il controllo del Paese, e soprattutto delle sue basi aeree, sia fondamentale. Il che spiegherebbe sia perché gli Usa hanno pagato miliardi di dollari e un alto contributo umano, sia perché – in un modo o nell’altro – non hanno alcuna intenzione di lasciare il Paese, benché ne abbiano appena negoziato l’abbandono.
Il Security and Defence Cooperation Agreement, siglato con Kabul nel 2014, prevede sia l’immunità per i soldati americani davanti a un tribunale nazionale, sia la possibilità di interventi di guerra mirati ma non per forza concordati con gli afgani, sia soprattutto il diritto di usufruire della logistica militare afgana, ossia delle basi aeree delle forze armate locali. Basi da cui si può sferrare un attacco all’Iran, e da cui è possibile controllare il fianco sud dei Paesi ex sovietici che costituiscono in Asia centrale la cintura di protezione meridionale di Mosca. La vecchia geopolitica, cacciata dalla porta, rientra dalla finestra.
Al di là di queste ipotesi – ovviamente contestabili - gli autori hanno cercato di chiarire il quadro non solo dell’ultima guerra ma di tutto ciò che la circonda e l’ha circondata. Il presente e il passato del Paese, la sua cultura e tradizione, anche le sue responsabilità interne. E naturalmente quelle degli attori esterni che hanno di volta in volta alimentato o raffreddato un conflitto che, dall’invasione del 1979, compiva - mentre questo libro usciva in libreria nel dicembre 2019 - quarant’anni.