Il più grande Paese dell’America del Sud dopo il Brasile nel giro di poco tempo si è trovato a dover affrontare la vecchia e ripetuta emergenza economica e la nuova legata all’epidemia, con il drammatico dilemma se scegliere fra l’incolumità degli argentini o lo stato di salute dell’economia. Ma per Alberto Fernandez, capo dello Stato, peronista moderato vicino alla sinistra e già alla testa del Gabinetto dei ministri durante l’intera presidenza di Néstor Kirchner e nei primi mesi di Cristina Fernández de Kirchner, non ci sono dubbi: è la vita degli argentini ad avere la priorità.
In un’intervista a Net Tv, Fernandez ha spiegato che la salute continua a prevalere sull’economia, valutando le attuali misure di isolamento: “Preferisco avere il 10% in più di poveri rispetto a 100mila morti in Argentina a causa del coronavirus. Coloro che pongono il dilemma dell’economia e della salute dicono qualcosa di falso. So che devo preservare le piccole e medie imprese, e anche le grandi, ma dalla povertà, non dalla morte”.
Di fronte a questo scenario fatto di almeno duemila contagiati e un centinaio di morti, cifre purtroppo destinate a salire, il presidente ha cercato di creare più posti letto in un Paese che certo non brilla per il sistema sanitario. L’idea è stata sorprendente: è stato infatti trasformato in ospedale Tecnòpolis, il più grande spazio permanente dell’America Latina. Si tratta di una struttura realizzata recentemente dall’Ambasciata italiana a Buenos Aires, in occasione dei 500 anni dalla morte di Leonardo da Vinci. All’interno di questo ambiente era stata presentata la mostra “Macchine e invenzioni”, con decine di riproduzioni in legno ideate dal grande genio italiano. Questo luogo può ospitare fino a 5mila posti letto di pazienti che non necessitano della rianimazione, diventando così il più grande ospedale da campo dell’Argentina, con tutte le apparecchiature necessarie per le terapie di contrasto, e con un medico e due infermieri ogni 50 pazienti.
Questa tragedia si inserisce in un contesto economico problematico, che sembra essere purtroppo una caratteristica permanente del grande Paese sudamericano. E’ noto che queste difficoltà hanno contribuito non poco alla sconfitta dell’ex presidente Mauricio Macri. Che ha lasciato una eredità complessa al nuovo esecutivo che avrà il difficile compito di voltare pagina e di soddisfare le esigenze degli argentini. Combattendo contemporaneamente la recessione, l’inflazione e l’aumento della povertà.
Tutto questo dovrà essere conciliato con gli obbligazionisti privati e con il Fondo monetario internazionale (Fmi), per identificare un percorso di sostenibilità del debito estero. Una sfida difficile in un contesto economico peggiore di quello di quattro anni fa, con una crescita del Pil inferiore del 3% e con un’inflazione che viaggia intorno al 55%. Il tutto accompagnato dall’incubo del debito estero, sul quale Fernandez è stato netto. Non intende onorarlo, preferendo spendere questa somma nei settori sociali – aumenti delle imposte per i più ricchi e la classe media, agevolazioni fiscali per i più poveri, introduzione di una tassa del 30% sull’acquisto di valuta estera, un piano per combattere la fame attraverso la distribuzione di buoni pasto per più di due milioni di persone, un po’ come fece Lula in Brasile - e uno stimolo alle esportazioni per aumentare le riserve di valuta estera.
Appare dunque fuori discussione che Fernadez si accinga ad intraprendere le famigerate “misure di aggiustamento strutturale”. Sia per le aspettative suscitate nella popolazione, sia per quanto avvenuto recentemente in Cile ed Ecuador. A proposito del quadro internazionale, Fernandez ha a che fare con un contesto poco favorevole rispetto a quello dei Kirchner, quando era in atto nell’intero continente il cosiddetto “Rinascimento latinoamericano”. L’unico interlocutore fidato è il presidente messicano Andres Manuel Lopez Obrador, che infatti ha già incontrato a novembre. Con il brasiliano di estrema destra Jair Bolsonaro le relazioni sono pessime, vista anche l’amicizia di Fernandez con Lula. E tuttavia l’Argentina non può permettersi di peggiorarle, perché il Brasile è il suo principale partner commerciale.
Per quanto riguarda il Venezuela, Fernandez è più propenso ad assumere un ruolo di mediatore tra i Paesi che cercano di trovare una soluzione tra il presidente Maduro e Juan Guaidó, portando l’Argentina fuori dal gruppo di Lima che sostiene quest’ultimo. Certamente ne uscirebbero peggiorate le relazioni con gli Usa, i quali al momento del suo insediamento hanno subito messo in guardia il nuovo governo dal sostenere le “dittature” presenti nel continente. Con Trump che, al pari dei suoi predecessori, continua a considerare il continente latinoamericano il proprio “patio trasero”.