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Questo è il centesimo numero ordinario di Sinistra Sindacale, senza contare i diversi numeri speciali. Abbiamo cominciato le pubblicazioni con il numero “00” del 27 marzo 2015. In questi oltre cinque anni abbiamo progressivamente consolidato la cadenza quindicinale e aumentato la foliazione: sempre più rari i numeri di otto pagine, come all’inizio, ormai quasi sempre a 16 pagine (qualche volta di più). Vuol dire che abbiamo pubblicato oltre 1.400 articoli, tutti rigorosamente originali, grazie alla collaborazione volontaria di più di 280 compagne e compagni (li ringraziamo una per uno, nelle ultime pagine). A loro si aggiungono il centinaio di delegate e delegati intervistati da Frida Nacinovich per la rubrica “Officina del Lavoro”.
Uno strumento collettivo quindi, che ha cercato di dare voce ad una sinistra sindacale diffusa nella Cgil, non smettendo mai di interloquire con la sinistra sociale e politica dei movimenti, delle associazioni, delle ong, dei giuristi democratici che continuano ad innervare riccamente la società italiana.
Si è consolidata anche la frequentazione del sito www.sinistrasindacale.it e della sua pagina facebook, con migliaia di accessi agli articoli, ai numeri in pdf, ai documenti, alle relazioni e alle locandine degli eventi che puntualmente vi pubblichiamo.
Sinistra Sindacale è diventata una presenza consolidata nel panorama delle pubblicazioni Cgil e non solo. Mantenendo continuità d’ispirazione e accompagnando il dibattito e i cambiamenti che la nostra aggregazione sindacale, Lavoro Società per una Cgil unita e plurale, ha percorso da un congresso all’altro.
Ricerca e cambiamenti sempre in progress, e che oggi ci richiedono un “salto” di fronte alla situazione inedita della pandemia globale e della crisi-trasformazione che essa ci richiede. Partendo dalle solide radici di un’analisi e di una prospettiva di classe, della centralità del lavoro e dei diritti sociali universali, della battaglia teorica e pratica per un nuovo paradigma economico e sociale che risponda alla crisi climatica, alla riconversione ecologica, al bisogno di una nuova società egualitaria e solidale. In un mondo che, finalmente, bandisca le guerre, armate e commerciali, l’imperialismo e il neocolonialismo.
Uno strumento speriamo utile, soprattutto per la sua natura di voce collettiva, a partire dalle delegati e i delegati che costituiscono l’ossatura fondamentale della nostra organizzazione. Grazie a tutte e a tutti, altri 100 di questi numeri!
Questa emergenza sanitaria è avvenuta nel pieno di un’emergenza climatica e di una rivoluzione tecnologica. Questi tre elementi, lo capisce chiunque, ci impongono di riprogettare il modello di sviluppo, restituendo un significato e un senso al lavoro e alla qualità della vita delle persone”. Intervistato dal quotidiano di casa Agnelli “La Stampa” all’indomani della firma del nuovo Protocollo in vista delle riaperture del 4 maggio, Maurizio Landini guarda ai tanti problemi della crisi ai tempi della pandemia. Con una chiave di lettura che guarda anche alle opportunità per un necessario, salutare cambiamento.
“Chiunque sia intellettualmente onesto – osserva ad esempio il segretario della Cgil - non può non vedere che l’emergenza virus ha fatto emergere tutti i limiti del modello di sviluppo che ha dominato in questi anni, con al centro il mercato senza regole, il profitto e il consumo fine a sé stesso. Un modello che ha determinato un livello di diseguaglianza senza precedenti, e attraverso i tagli al sistema sanitario ha messo in pericolo tutti noi. Pensare che la soluzione per uscire dall’emergenza sia ripetere gli errori che ci hanno portato in questa situazione è inaccettabile”.
Dunque occorre progettare il futuro, mettendo alcuni punti fermi come uscire dalla logica dell’austerità, e riflettendo sulla nefasta divisione di un lavoro sempre più “atomizzato” e fonte di sperequazioni. Non solo all’interno delle filiere produttive e dei servizi ma anche dentro le singole aziende, a partire dai diversi contratti fra i “vecchi” e i “giovani” assunti, per finire con gli appalti e i subappalti che finiscono per svilire quotidianamente il valore del lavoro: “L’emergenza ha dimostrato quanto sia grave l’assenza di un sistema di ammortizzatori sociali uguali per tutti – segnala così Landini - sono troppi, sono differenti, e bisogna unificarli. Così come bisogna unificare il lavoro, cancellando la precarietà.
Ill Primo Maggio, come il 25 Aprile, rinnova gli ideali della lotta antifascista, delle grandi conquiste del lavoro, di libertà, giustizia e solidarietà. Questo Primo Maggio, così diverso per l’emergenza che stiamo vivendo, porta comunque il suo messaggio di speranza. C’è un terreno nuovo, drammaticamente dissodato dalla tragedia che ci ha investiti, sul quale coltivare il progetto di un mondo migliore.
Si dice che dopo la pandemia nulla sarà più come prima, ma tornare a quel “prima” dovrebbe farci paura. Le nuove generazioni ci hanno indicato la strada per salvare il pianeta da un modello di sviluppo che lo sta portando al collasso. Dobbiamo lottare con loro per un futuro che è possibile solo con un deciso cambio di rotta.
C’è un desiderio diffuso di voltare pagina che non va disperso, e che nasce dalla solitudine, dal dolore, dal bisogno di sicurezza e di solidarietà. Occorre affrontare questa tragedia senza consegnare a nessuno decenni di conquiste sindacali e politiche, né delegare a chi è responsabile della situazione del paese la costruzione del dopo. Dovremo rilanciare la lotta contro un sistema economico che distrugge l’ambiente, sfrutta donne e uomini, privatizza il bene pubblico, mette il profitto davanti alla vita delle persone e alimenta disuguaglianze, guerre, povertà.
Come dopo ogni crisi il capitalismo cercherà di rigenerarsi imponendo la sua egemonia e mettendo al centro il profitto e i propri interessi. Sarà ancora lotta di classe, e la nostra opzione è salvare il pianeta, non certo il capitale.
Dopo cinquant’anni di liberismo e di centralità del mercato e dell’impresa, non possiamo permettere al padronato e al capitalismo di riprendersi il controllo della forza produttiva modificando unilateralmente orari, turni, condizioni organizzative, mettendo a rischio salute e sicurezza non applicando il protocollo del 14 marzo e disconoscendo il ruolo del sindacato e delle Rsu, o negando persino l’entrata in azienda agli Rls. Non crediamo agli imprenditori che prima accumulano ricchezze sfruttando e poi diventano filantropi.
Forse dinanzi al Covid 19 siamo sulla stessa barca, ma non tutti hanno le stesse condizioni sociali e materiali per salvarsi. Il virus si abbatte sulle inadempienze sociali e sanitarie, su chi è senza casa, senza lavoro e reddito, sugli anziani lasciati soli a morire nelle Rsa, e può colpire chi è obbligato a recarsi al lavoro senza adeguati sistemi di protezione.
Ogni famiglia sta soffrendo, ma l’impatto sociale non è uguale, e la quarantena in una villetta non è come stare in tanti in un appartamento modesto. Per la scuola a distanza non tutti hanno gli strumenti adeguati. Questo è il volto della società classista. Basta con il mercato prima di tutto, con l’irresponsabilità sociale del padronato, con politici che fomentano odio e nazionalismo, con un’Europa incapace di essere sociale e solidale. Abbiamo bisogno di radicalità, di pensiero alto, di un’economia sostenibile, di un sistema produttivo di qualità capace di riconvertire le fabbriche di armi e inquinanti.
Si ridia centralità al Servizio sanitario nazionale pubblico, si garantisca il diritto al buon lavoro anche riducendo l’orario, si redistribuisca la ricchezza e si riducano le disuguaglianze con una riforma fiscale progressiva e una patrimoniale. L’evasione fiscale in primis, il lavoro nero, la corruzione, la speculazione, le mafie, hanno avuto e hanno una conseguenza diretta sulla vita e la morte delle persone. Verso questi crimini sociali, da oggi per il futuro tolleranza zero.
Si ridia valore al lavoro, quello pubblico, quello manuale dei lavoratori delle cooperative e degli appalti, con pochi diritti e miseri salari, che a rischio della vita garantiscono i servizi essenziali, quello degli immigrati sfruttati da caporali e mafia, perseguitati dalle politiche razziste di una destra che specula anche nella tragedia. Lo smart working non è agibile per la maggioranza dei lavoratori.
Si metta fine all’autonomia differenziata e si riveda la nefasta riforma del titolo V della Costituzione, perché abbiamo bisogno di coesione e di uno Stato che governi i processi e fermi le spinte regionaliste del fai da te. All’emergenza si deve far fronte con proposte e leggi che, nel pieno ruolo del Parlamento, riconoscano i diritti fondamentali sanciti dalla nostra Costituzione e i limiti che essa pone, che non vanno superati perché non sarebbe scontato un ritorno indietro.
La Cgil sta facendo la sua parte affrontando con difficoltà e responsabilità una situazione grave, inaspettata, complicata e mai vissuta. Ci unisce un profondo senso di appartenenza e di solidarietà nel garantire rappresentanza, aiuto e voce al mondo del lavoro, ai cittadini tutti, forti di un progetto di paese e di mondo alternativi, animati da ideali e da valori che nessun virus può annientare. Buon Primo Maggio!
Si è fatto un gran parlare di Industria 4.0 e invece ci “svegliamo” in un mondo che senza i lavoratori si ferma, resta immobile. Questo vale anche per il pubblico. In un momento in cui il paese vive una situazione così inedita e così dura riscontriamo tanta generosità nei lavoratori. Tutti i lavoratori evidentemente, ma io qui parlo dei lavoratori pubblici. Molte aziende e amministrazioni, per esempio, ragionano ancora come se fossimo in una situazione ordinaria, tipo ad esempio rifiutare lo smart working, che ora nelle pubbliche amministrazioni è la prassi, tranne che per le attività indifferibili. È stato difficilissimo riuscire a fare applicare le norme, sembra incredibile, anche nella Pubblica amministrazione.
C’è più generosità nei lavoratori che in tanti imprenditori che anche in queste ore dimostrano cinismo e volontà di sfruttamento nei confronti di questi custodi della Costituzione. Non solo il comparto sanitario, l’emergenza coinvolge tanti altri settori: dai Vigili del fuoco alla polizia locale, dagli agenti penitenziari a chi lavora negli uffici pubblici, da chi si occupa di igiene ambientale a chi è impiegato nel variegato mondo del terzo settore. Se ne parla poco, ma anche loro sono in prima linea.
La Fp Cgil Polizia penitenziaria ha chiesto al ministro di farsi carico della sicurezza di tutti coloro che vivono la dimensione carceraria, e di affrontare con coraggio il tema del sovraffollamento. I Vigili del fuoco, pur essendo coinvolti dalle stesse carenze del resto del personale, operano in rafforzamento del sistema della Protezione civile. Si parla poco anche dei lavoratori delle dogane, altra categoria molto esposta, che in questi mesi hanno sequestrato e sdoganato milioni di mascherine e di materiali diretti soprattutto ai nostri presidi sanitari. E, per piacere, non crediamo a quelli che ci dicono, sindaci per primi, che i materiali sanitari sono bloccati dai “doganieri”: non è vero.
Sappiamo che le regole a tanti non piacciono e ne approfittano. Se non fosse per l’Agenzia delle Dogane che controlla, in tempi brevissimi soprattutto in questo momento, i materiali contraffatti, cosa arriverebbe nei nostri ospedali? E la polizia locale insieme ai demografici, che in queste ore presidiano i Comuni e integrano le altre forze di polizia per ogni tipo di controllo? Insomma per tanti lavoratori pubblici il lavoro è aumentato, moltissimo. Dove è finito il refrain sui “fannulloni”? Speriamo sia morto e sepolto. Oggi materialmente i servizi pubblici tengono “vivo” il nostro paese.
Cosa è venuto fuori in questa situazione? Quello che noi denunciamo, inascoltati, da anni. Non solo (e non è poco) il de-finanziamento della sanità pubblica, che in qualche territorio ha creato una vera tragedia, ma tutto il pubblico è stato fortemente ridimensionato.
Quando ascoltiamo e leggiamo delle vere e proprie barzellette sull’Inps, cosa pensiamo? Sappiamo che tutta l’informatizzazione di questo ente, che dovrebbe essere di proprietà dei lavoratori, è stata privatizzata? Sappiamo che questi lavoratori non riuscivano a collegarsi e sentendosi addosso la responsabilità dell’erogazione dei vari istituti (casse integrazioni, incentivi, ecc.), provavano e provano a farlo a qualsiasi ora della notte e del giorno per poterci riuscire?
Quando tutto questo incubo sarà finito, dovremmo ricominciare a ricostruire sulle macerie che il virus ha provocato. La nostra “rete pubblica” sta reggendo anche nel momento in cui la “rete familiare” che ha supplito in anni di tagli al welfare non può intervenire, banalmente per le misure di contenimento. Forse è il caso di ripartire da lì, dall’idea che il servizio pubblico è un bene comune e come tale fondamentale, per preservarlo bisogna innovarlo e alimentarlo, farlo crescere e strutturare. Speriamo soltanto di fare tesoro di quanto sta accadendo per non ritrovarci, in futuro, nella stessa situazione.
Facciamo in modo che l’odioso ritornello che abbiamo ascoltato fino allo sfinimento, de-burocratizzare, non significhi più abbattimento della Pubblica amministrazione, ma investire nel pubblico e velocizzare i controlli. Che si apra una grande campagna di assunzioni nel pubblico, riportiamo nel pubblico tutto quello che in questi anni abbiamo svenduto ad un privato che non si è dimostrato all’altezza degli standard pubblici e che oltretutto non rispetta i lavoratori. L’epidemia ha dimostrato che la pubblica amministrazione è pronta per nuovi modelli organizzativi, basta crederci.