I risultati delle elezioni in Emilia Romagna, una delle tre, quattro regioni che compongono la cosiddetta “locomotiva d’Italia”, hanno confermato una linea di tendenza che si è affermata dopo lo scoppio della crisi finanziaria del 2008, diventata a cascata una crisi economica e sociale paragonabile a quella epocale dei primi anni trenta del secolo scorso. In questo contesto, anche le elezioni emiliano romagnole, così come era accaduto alle politiche del 2018, hanno registrato che nelle aree più periferiche, rispetto ai centri decisionali ed economici della regione, si è votato in opposizione allo “stato delle cose”. A riprova, la carta geografica del voto è tinta di verde Lega lungo i comprensori appenninici e nelle province più lontane da Bologna, e di rosso lungo la via Emilia.
Dopo le elezioni politiche del 2018, una meritoria ricerca del “Cantiere delle idee”, condotta con approfondite interviste a 50 residenti in quartieri periferici sia di metropoli che di città di medie dimensioni, aveva già evidenziato questa tendenza: sintetizzando, la provincia italiana sta votando sempre più in reazione al ‘centro’, perché pensa che lì ci sia la ricchezza, mentre tutto il resto è una gigantesca periferia. Ecco così che nelle “aree profonde” si vota in reazione all’establishment dei capoluoghi, con una scelta di campo che inizialmente ha premiato il Movimento 5 Stelle, e in seguito si è diretta verso la Lega di Salvini.
Non per caso, dalle interviste del “Cantiere delle idee” nelle periferie era emerso un forte disagio, dovuto alla mancanza di una progettualità della governance sui servizi pubblici e sociali, sul governo del territorio, e sulle altre condizioni che possono favorire la nascita di un tessuto civile. Di qui un voto di rottura, catalizzatosi in questa fase politica sulla Lega.