Nel 2019 appena lasciato alle spalle abbiamo rievocato, a distanza di cinquant’anni, un anno molto importante per il movimento sindacale e democratico di questo paese: quel 1969 culminato in dicembre con la “strage di Stato” di Piazza Fontana ma segnato anche nei giorni immediatamente successivi dalla firma dello storico ccnl dei metalmeccanici. Un contratto giunto al culmine di un ciclo, realmente straordinario, di lotte e mobilitazioni in cui, emerse, in forme e dimensioni mai viste prima, un inedito protagonismo operaio e di tutto il mondo del lavoro.
Spesso parlando del ‘69 sono molti gli studiosi che parlano di un “lungo ‘68”, includendovi a ragione e a pieno titolo fatti ed eventi che incubarono gli accadimenti di quel biennio, ma anche tutto quanto si realizzò successivamente, a partire – ovviamente – dalla conquista nel 1970 dello “Statuto dei Lavoratori”. Non c’è dubbio tuttavia che nella ricostruzione storica di quella fase della storia italiana, l’ “Autunno caldo” rappresenta forse il momento più significativo e al tempo stesso la linea di collegamento ideale, e non solo temporale, tra il 1968 degli studenti e il 1970, anno in cui “la Costituzione entrò in fabbrica”.
Per queste ragioni dovremmo forse più propriamente, riconoscendo a ciascuno dei tre anni dal 1968 al 1970 la peculiarità e la rilevanza che meritano in termini di conflitti e mobilitazioni suscitate e risultati prodotti, iniziare a parlare non più di “biennio rosso” bensì di “triennio rosso”. Furono anni di grande conflittualità sociale che ebbero come epicentro iniziale le scuole superiori e le università, un epicentro che però si spostò rapidamente nel mondo del lavoro. In particolare nelle grandi fabbriche, ma che coinvolse - nelle regioni più industrializzate - anche le piccole imprese in un movimento generale di contestazione dell’autoritarismo vigente con l’obiettivo, per la prima volta esplicito e dichiarato, di metterne in discussione le gerarchie economiche e sociali.
Uno straordinario moto di vitalità e protagonismo si estese nella società italiana, facendo emergere una ricchezza di valori e linguaggi fino ad allora sconosciuta nella giovane e quantomai fragile democrazia italiana.
A questi giacimenti sociali e culturali che vennero portati alla luce dall’“Autunno caldo” è stato dedicato il convegno “Un altro sguardo sul 1969. I territori sociali del conflitto in Italia”, svolto a Firenze il 17 e 18 dicembre scorsi. Il convegno, promosso da Ires Toscana e Cdlm di Firenze in collaborazione con Fondazione Di Vittorio, Società italiana di Storia del Lavoro (Sislav), Associazione italiana di Storia Orale (Aiso) e Fondazione Valore Lavoro, si è svolto negli spazi messi a disposizione dall’Università di Firenze e dalla Camera del Lavoro, con una partecipazione nutrita e qualificata di storici e studiosi insieme a sindacalisti e giovani studenti e studentesse.
Un convegno ideato e costruito sulla base di una “call for paper”, per stimolare l’approfondimento scientifico su aspetti e vicende meno note e conosciute ma non per questo meno importanti e significative su un anno per molti versi indimenticabile, in cui il conflitto raggiunse e toccò tutti i contesti sociali, dentro e fuori le fabbriche.
Un convegno “per indagare il rapporto complesso, dinamico, non adeguatamente studiato fra il conflitto sociale (industriale in particolare) e la dimensione territoriale in cui si inserisce. Non solo quindi una cornice in senso spaziale, ma un contesto di repertori di azione e regolazione, di relazioni pubbliche e private, di modelli imprenditoriali e di culture del lavoro che interagiscono e si modificano, provocando la rottura dell’ “Autunno caldo”.
Il risultato che ne è scaturito, grazie a ben 25 comunicazioni ed a svariati contributi programmati e non, ha restituito un quadro d’assieme che ha riportato a quella stagione di straordinaria bellezza e ricchezza democratica e sociale. Una fotografia che ha saputo mettere in controluce il ruolo del sindacato, con la sua forza e le sue contraddizioni in fabbrica e sul territorio, assieme al mondo contadino ed agli ambienti rurali, all’associazionismo cattolico di base e alle reti sociali di quartiere nelle grandi aree urbane, non dimenticando i luoghi della socialità popolare. Un grande affresco all’interno del quale hanno ritrovato valore e vita strutture sindacali, Case del popolo, sezioni di partito, comitati di base e cellule studentesche.
Due giorni importanti di riflessione non liturgica e tantomeno commemorativa su un anno ma soprattutto su un ciclo di lotte e una stagione feconda di partecipazione democratica di tutta la società italiana, che darà frutti per molti anni a seguire. Un anno, il 1969, che ha detto e dice ancora tanto della e nella storia della Repubblica. Un anno da cui apprendere ancora per il futuro.