Uffici in affanno e sempre più servizi affidati all’esterno. 

Turn over bloccato, servizi sempre più a rischio di esternalizzazione e uffici oberati di lavoro: è la situazione in cui si trova il Comune di Ancona, che in circa vent’anni ha visto scendere del 35% i suoi dipendenti, attualmente intorno ai settecento. Il lento declino dell’organico, causato da una progressiva riduzione dei trasferimenti di risorse e da pesanti impedimenti alle assunzioni, ha determinato tagli dolorosi con effetti sui servizi indispensabili e vasti processi di privatizzazione. Una condizione che accomuna molti municipi italiani. Ma Ancona sembra pagare anche lo scotto di una riorganizzazione della struttura, spesso invocata ma mai effettivamente portata a termine.

L’inizio del problema deriva certamente da uno scellerato disegno nazionale, che ha finito per smantellare lo spazio pubblico piegandolo a vantaggio di interessi privati, attraverso la mercificazione dei beni comuni che è giunta a mettere a repentaglio la sicurezza sociale e la stessa vita dei cittadini. Un disegno imputabile tanto alle politiche di centrodestra quanto a quelle di centrosinistra, e che ha prodotto effetti devastanti anche nel capoluogo dorico. Manutenzioni e cura del verde pubblico risentono della mancanza di personale. Nel settore sociale, di fronte al disagio crescente in strati sempre più grandi di una popolazione che vive un malessere diffuso e profondo, gli operatori, in numero sempre più ridotto, sono letteralmente presi d’assalto.

Tra i servizi più sotto pressione, oltre al sociale, c’è anche il demografico, sottoposto a elevati ritmi per domande di servizi. Sguarniti anche i settori tecnici, a causa dell’assenza di turnover, di professionalità infungibili, tra le quali il sostegno al “fare impresa” che rischia di diventare assai problematico. Condizione sempre più insopportabile per gli operatori, costretti a continui cambi di mansioni, non sempre gestibili senza adeguata formazione. Così, spesso, dietro l’accusa della “mala burocrazia”, che crea tanto scontento fra i cittadini, si cela l’impossibilità effettiva, per la mancanza di personale, di rispondere alle esigenze degli utenti.

Il “rimedio” è stato quello di esternalizzare. In particolare nel settore educativo, per la gestione degli asili nido, con otto strutture convenzionate e gestite da cooperative, che assicurano meno tutele e salari più bassi rispetto ai dipendenti pubblici. Gli asili nido gestiti direttamente dal Comune sono cinque, ai quali si aggiungono una sezione primavera e due strutture per “Tempo per le famiglie”. Ma il rapporto tra pubblico e privato potrebbe a breve sbilanciarsi ancor più a favore del secondo: per il prossimo anno sono previsti tre pensionamenti tra le ventinove educatrici comunali, e l’impegno assunto dal Comune con i sindacati, per la pubblicazione di bandi di concorso per la sostituzione del personale, non è ancora stato rispettato. Così anche per il servizio mensa, dove il pensionamento di una unità mette a rischio la gestione diretta di uno dei centri di cottura comunali: tre attualmente quelli gestiti dal Comune, due quelli in appalto. E tra i servizi affidati all’esterno c’è anche la gestione dei musei civici e dell’Informagiovani. Così, sotto la bandiera del risparmio e della semplificazione burocratica, si va verso lo smantellamento di alcuni settori.

Ad Ancona si sono rincorse ipotesi di riorganizzazione: negli ultimi anni ne abbiamo contate a iosa. Nessuna, però, capace di produrre effetti. Anche per le modalità seguite, negando incomprensibilmente il confronto e la contrattazione. Lavoratori e rappresentanze sono visti come ostacolo piuttosto che come opportunità e risorse. Anche in questo caso i risultati sono evidenti quanto magri, sommando le disastrose politiche nazionali di disinvestimento, al colpevole disinteresse organizzativo a livello locale.

Alcuni studiosi hanno di recente correttamente posto la questione dello scarto tra pubblico e privato, a proposito delle scarse iniziative messe in atto per migliorare la qualità di “prodotto”, la sicurezza del lavoro, l’innovazione e l’incremento di produttività, che non sembrano essere prioritarie, finendo in tal modo per scaricare costi e inefficienze sul sistema e sui cittadini.

Che dire? Affrontiamo insieme il vero problema. Deve crescere la consapevolezza che stiamo parlando di servizi strategici per tutti, per i cittadini come per le imprese, condizione indispensabile per uno sviluppo sostenibile ed equilibrato del paese. Come Cgil, dal canto nostro, dobbiamo essere capaci di aprire una prospettiva diversa, coerente con le aspirazioni di un sindacato come il nostro che si definisce “soggetto di trasformazione”.

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