“Pensioni: adesso risposte concrete” è il titolo dell’iniziativa promossa dalla Cgil lo scorso 10 luglio, a Roma, presso il Centro Congressi Frentani. Ai lavori, aperti dalla relazione del segretario confederale Roberto Ghiselli, sono intervenuti fra gli altri Domenico Proietti, segretario confederale Uil, Renata Polverini, vicepresidente commissione Lavoro e previdenza della Camera, e Debora Serracchiani, capogruppo Pd della stessa commissione.
Certo non basta un convegno per rilanciare la piattaforma unitaria Cgil, Cisl e Uil sulla previdenza. Ma l’iniziativa ha avuto il merito di rendere chiaro, se ce ne fosse stato bisogno, che la Cgil non ha alcuna intenzione di rimanere alla finestra, in attesa che il nuovo governo faccia uscire dalle nebbie della confusione quanto sbandiera di voler fare in materia.
Le conclusioni del segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, così come la relazione di Ghiselli e l’intervento del segretario generale dello Spi, Ivan Pedretti, sono state molto esplicite nel chiedere l’immediata apertura di un confronto tra governo e sindacati, e nel porre un deciso altolà alle “proposte” ventilate dalla maggioranza pentaleghista.
Secondo la Cgil infatti l’ipotesi d’introdurre “quota 100” non risolve i problemi, e rischierebbe di creare un’ulteriore divisione nel paese, perché parla solo agli operai maschi del nord e a parte del pubblico impiego. La riforma necessaria e urgente è quella di dare risposte ai giovani e alle donne. Quanto al taglio delle “pensioni d’oro”, significherebbe in realtà aprire il varco al ricalcolo delle pensioni per tutti, una scelta drammatica che metterebbe a rischio la certezza del diritto.
La Cgil vuole invece avviare il confronto con il governo con l’obiettivo di una riforma organica della previdenza, che superi strutturalmente la legge Monti-Fornero: una vera riforma previdenziale, sostenibile ed equa, che parli a tutte le generazioni. Non bastano parziali aggiustamenti. Le priorità sono i giovani, le donne, la flessibilità in uscita e i lavori gravosi, misure da introdurre già nella prossima legge di bilancio. Per questo si sta lavorando ad una ripresa di iniziativa e mobilitazione unitaria con Cisl e Uil.
Si parte dalla constatazione che in Italia “abbiamo il peggiore sistema previdenziale d’Europa”, che “non risponde alle esigenze delle persone, in particolare dei giovani, non risponde al principio di giustizia, è pieno di iniquità e non aiuta il sistema produttivo”, come ha detto Camusso nelle sue conclusioni. L’inseguimento sistematico dell’aspettativa di vita non ha alcuna relazione con il lavoro concreto delle persone, non considera per nulla rilevante quanti anni e in che condizioni si lavora.
Per questo serve un sistema flessibile, che garantisca la libera scelta del lavoratore, tenendo conto delle diverse condizioni soggettive, professionali, familiari, di salute, anche motivazionali. Oltre una certa età (la piattaforma parla di 62 anni), e senza vincoli reddituali minimi, il lavoratore deve poter scegliere, anche nel sistema misto. Va riconosciuto e valorizzato il lavoro di cura e delle donne. Serve poi una reale commisurazione delle condizioni d’accesso alla pensione alle diverse speranze di vita connesse alle diverse attività, affermando comunque il limite dei 41 anni di contributi.
Serve, ancora, la pensione contributiva di garanzia a favore delle carriere discontinue, povere o a bassa contribuzione, cosa ben diversa da uno zoccolo minimo garantito a tutti (anche a chi non ne ha bisogno). Bisogna fermare la corsa all’innalzamento dell’età. Vista dal punto di vista di un ragazzo di trent’anni, fa paura solo a pensarci: 70 anni con 20 di contributi e pensioni poverissime. Una vera bomba sociale che va disinnescata oggi, non domani.
La spesa previdenziale non è fuori controllo. Lo dimostrano i bilanci dell’Inps, in particolare la gestione lavoratori dipendenti. Nelle comparazioni europee, vanno chiariti almeno tre aspetti. Da noi l’imposizione sulle pensioni è ordinaria, mentre negli altri sistemi il carico fiscale è molto più basso: questo significa che le imposte, essendo una partita di giro per lo Stato, gonfiano impropriamente il livello di spesa. Inoltre, nella spesa previdenziale italiana affluiscono alcune spese di natura assistenziale. Infine nel calcolo del costo si include inappropriatamente anche il Tfr, che è salario differito e non trattamento previdenziale. Al netto di questi tre elementi, l’incidenza sul Pil della spesa per le pensioni, adesso e anche in prospettiva, tende ad essere fra le più basse a livello europeo.
Per la Cgil è importante ripartire, nel confronto col governo, da dove siamo rimasti: dalla piattaforma unitaria, e dagli avanzamenti che nel frattempo si sono realizzati. Per poter raggiungere gli obiettivi la mobilitazione unitaria, e il coinvolgimento dei lavoratori e dei pensionati, devono crescere ulteriormente.