è sempre meno celebrativa la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, sempre meno scarpette rosse e manifesti con donne tumefatte e vittime. Archiviata quella fase, pure fondamentale, di denuncia, le donne ora reagiscono con grande determinazione, con grande coraggio. Lo fanno in ogni parte del mondo, scendono in piazza, si mobilitano, combattono, denunciano. Rompono gli schemi di un mondo governato dagli uomini, che relegava le “giornate dedicate alle donne” in due occasioni l’anno: l’8 Marzo e il 25 Novembre, tanto poi si rientrava in riga.
Non è più così, non ci bastano due giorni di calendario, non ci appagano le sole celebrazioni quando una donna viene uccisa ogni due giorni come accade in Italia, dove gli stupri non si contano. Non bastano quando la violenza si applica in ogni ambito della vita di una donna, da quello fisico a quello psicologico, fino a quello economico. Sì, perché sono violenze anche la forte disparità salariale, quella pensionistica, le molestie nei luoghi di lavoro.
Sono tutte declinazioni delle disuguaglianze e delle discriminazioni, a partire da quelle nel lavoro, che sono la causa profonda e insieme il grande ostacolo al raggiungimento della parità di genere. Non solo: alimentano la violenza maschile contro le donne, che spesso non sono nella condizione di denunciare maltrattamenti e minacce proprio perché economicamente e socialmente rese deboli, in posizione subalterna. Si esorta a denunciare, giusto, ma se solo una donna su due lascia un marito violento, uno dei principali motivi è proprio la mancanza di lavoro, di autonomia, di effettiva libertà di poter scegliere.
Contro tutto questo è partita negli ultimi anni una mobilitazione mondiale, forse la più vivace, numerosa, colorata e determinata, in questi tempi bui di scarsa reattività generale. Le donne della Cgil non hanno aspettato il 25 Novembre e sono scese nelle piazze dell’intero paese lo scorso 30 settembre, per dire basta alla violenza maschile con l’appello “Riprendiamoci la libertà”, che ha raccolto oltre 19mila firme e che continua a raccoglierne (http://www.progressi.org/avetetoltoilsensoalleparole).
Si, siamo scese in piazza, ancora una volta, per chiedere agli uomini, alla politica, ai media, alla magistratura, alle forze dell’ordine e al mondo della scuola un cambio di rotta nei comportamenti, nel linguaggio, nella cultura e nell’assunzione delle responsabilità rispetto a questo dramma. Per dire che la violenza maschile sulle donne non è un problema delle donne ma una sconfitta per tutti, e che continueremo a batterci perché vogliamo risposte dal governo. Perchè vogliamo norme certe per l’inserimento al lavoro delle donne che escono da un percorso di violenza, finanziamenti certi per centri antiviolenza e case rifugio. Vogliamo lavoro qualificato, non vogliamo essere pagate di meno rispetto a un uomo a parità di lavoro.
Siamo scese in piazza per ribadire che violenza, stalking, molestie non sono inevitabili. Sono atti gravi, inaccettabili e ingiustificabili, che vanno denunciati e puniti. La violenza sulle donne non è un fatto privato, e sono sempre le donne a farsi carico della violenza maschile, come se gli uomini non c’entrassero. Abbiamo rotto il muro del silenzio con la denuncia delle moleste nei luoghi di lavoro, esplosa negli Stati Uniti con il caso Weinstein, ma che ha raggiunto simultaneamente l’Europa e l’Italia, anche se per ora soltanto nel mondo dello spettacolo. Ma che non riguarda soltanto il cinema e nemmeno tanto il sesso. Bensì il potere, imprenditoriale o di altro tipo, detenuto da sempre in grandissima maggioranza da uomini. Un sistema di potere che fino ad oggi li ha fatti sentire in diritto di esercitare ricatti sessuali, molestie e violenze, con la certezza dell’impunità.
Le donne hanno detto basta. Lo hanno fatto anche con la partecipata manifestazione di “Nonunadimeno” nelle strade di Roma, il 25 Novembre. Lo ha fatto la terza carica dello Stato, la presidente della Camera, con un 25 Novembre di rottura rispetto al passato, scegliendo una modalità fortemente simbolica: l’aula di Montecitorio aperta solo alle donne. Per dare la parola alle donne che il silenzio l’avevano rifiutato. Non era mai accaduto nella storia della Repubblica.
Nelle stesse ore un uomo, Pietro Grasso, affermava che “della violenza maschile sulle donne non devono parlare ‘anche’ gli uomini ma soprattutto gli uomini”. E’ stato importante che lo abbia detto il presidente del Senato. Ma gli uomini non lo hanno ancora seguito e continuano a tacere. Se vogliamo un mondo nuovo è arrivato il momento anche per gli uomini di rompere il silenzio, se si vuole veramente combattere insieme questa battaglia di civiltà.