Amianto: problema irrisolto - di Massimo Balzarini

 

Il rischio amianto è certamente quello meno valutato, sia a livello aziendale che ambientale. L’Italia è stato il primo paese europeo, nel 1992, a introdurre il bando totale dell’amianto, ma gli effetti dell’esposizione a fibre aerodisperse di tale materiale è tuttora un tema di grande rilevanza per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro e di vita, e va affrontato in tutte le sue dimensioni di tipo sanitario, ambientale e risarcitorio.

I dati non sono confortanti: secondo il registro tumori specializzato (Rml), in Lombardia si accertano ben 450 casi all’anno, e si valuta che la regione abbia sul suo territorio più del 35% del materiale contenente amianto sul totale nazionale. Si stima una presenza di circa 4,8 milioni di metri cubi di materiali contenenti amianto, sia in tetti e coperture di edifici pubblici e privati, sia in manufatti ancora presenti in molte realtà senza conoscerne il rischio.

Ogni anno, a livello nazionale, la stima per difetto delle vittime per neoplasie dovute all’amianto è di circa 4mila casi, con una crescita significativa delle vittime civili. Solo nel sito di Broni (nel pavese) si registrano più di venti casi all’anno. Cittadini che non necessariamente hanno avuto una vita lavorativa di esposizione diretta, ma che hanno vissuto in ambienti contaminati da soggetti occupati nel settore, o hanno vissuto (o vivono) in aree geografiche ad alta presenza di amianto.

Malgrado la cessazione più che ventennale di ogni attività estrattiva, di lavorazione e commercio di amianto, data la lunga latenza delle malattie asbesto-correlate si prevede che il picco massimo possa essere raggiunto nei prossimi 10-15 anni per le persone esposte negli anni ‘70 e ‘80. Inoltre le caratteristiche eziopatologiche - che per il mesotelioma rilevano notoriamente un rischio nullo associabile ad assenza di un livello di dose inalata - e la numerosità delle persone esposte prima e dopo la messa al bando, impongono la permanenza di un’adeguata attività di sorveglianza epidemiologica e sanitaria, accompagnata da iniziative di formazione ai lavoratori e di informazione ai cittadini. Non è sufficiente aver bandito l’utilizzo dell’amianto nelle nuove installazioni per minimizzare i rischi sanitari di materiali e installazioni ancora presenti in Lombardia.

Trascorsi 11 anni dall’approvazione del Piano regionale amianto (Pral), a seguito della legge regionale del 2003, e con la presenza in Lombardia di uno dei principali siti d’interesse nazionale da bonificare, l’area di Broni della ex-Fibronit, siamo ancora molto lontani da una regione “amianto free”. Solo in Lombardia, infatti, la rilevazione dei siti, di tipo pubblico e privato, ammonta a 199.862, con un volume censito a febbraio 2016 di oltre 4,4 milioni di metri cubi. Resta in campo anche il problema della destinazione finale perché le discariche, che necessitano di una gestione accurata e con il massimo consenso dei soggetti coinvolti, sono una destinazione temporanea in attesa della definitiva inertizzazione.

La terza Conferenza governativa Amianto, il 24 e 25 novembre a Casale Monferrato, uno dei luoghi simbolo in Italia, dovrà affrontare le questioni prioritarie: sistemi di finanziamento e incentivo di tutta la filiera delle bonifiche con congrue dotazioni; sistemi d’indennizzo e tutela sociale più incisivi tramite il Fondo nazionale vittime dell’amianto nei confronti dei malati di mesotelioma e tumori asbesto-correlati ad eziologia professionale e ambientale, garantendo una tutela previdenziale con pensionamento anticipato e semplificando il riconoscimento della malattia professionale da parte dell’Inail del lavoratore già inserito nel registro mesoteliomi.

Ancora, servono programmi di ricerca clinica, per il miglioramento delle metodiche diagnostiche e di cura sanitaria, e di ricerca tecnologica, per ottimizzare le tecniche di smaltimento e inertizzazione. Stante le previsioni di picco massimo entro il prossimo decennio, in tema di sorveglianza sanitaria l’obiettivo, in ambito nazionale e regionale, è quello di sviluppare una migliore e più intensa attività di contrasto del rischio accumulato e di diagnosi precoce. Sviluppando la ricerca dei soggetti esposti e il monitoraggio dei casi di malattia asbesto-correlata sospetta e accertata da parte del Registro mesoteliomi lombardo e dell’Inail e assicurando, in rapporto ai diversi profili di rischio degli esposti ed ex esposti nei vari settori lavorativi, le migliori strategie diagnostiche, oltre i normali protocolli con Rx torace, efficaci per la diagnosi delle placche pleuriche e dell’asbestosi, ma non in caso di ispessimento pleurico e mesotelioma.

Molto è stato fatto ma è necessario un forte impegno e stanziamento di fondi dalla politica e dalle istituzioni. Le organizzazioni sindacali sono in campo.

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